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Valutazione del rischio di recidiva dei condannati per reati sessuali e di mafia

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO

Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

Si tratta di un programma di ricerca scientifico-criminologica proposto da un team di professionisti ed accademici (responsabile scientifico: prof. V. Caretti, Università LUMSA di Roma) articolata in due progetti da svolgere in diverse carceri del territorio nazionale, su un campione di detenuti per reati commessi con violenza sulle persone. Finalità: rispondere alle esigenze di valutazione del rischio in ambito giuridico e psichiatrico-forense e formare gli operatori con indicazioni operative per il trattamento penitenziario più efficace a prevenire la recidiva di questi gravi reati. valutare la validità predittiva di uno strumento diagnostico, l’HCR-20 V3, per i crimini sessuali e la possibilità di utilizzarlo nel contesto italiano. Metodologia: indagine documentale, sulla storia personale, interviste professionali, semistrutturate e di autovalutazione (HCR-20 V3, PCL-R adattamento italiano di Caretti et al., 2011 validato in Italia con la ricerca S.O.Cr.A.TE.S, PID-5), con la partecipazione di detenuti condannati per reati a sfondo sessuale, violenti, nonché su affiliati ad organizzazioni a stampo mafioso. Si presenta in questa sezione una sintesi dei DUE PROGETTI 1. La valutazione del rischio della pericolosità sociale e del rischio di recidiva in soggetti detenuti condannati per reati sessuali. Indagine su un campione di sex offenders e su un gruppo di controllo con reati contro la persona presenti nelle carceri di diverse regioni italiane. Seguirà una fase di follow up per verificare la capacità predittiva dell’ HCR-20 V3 e l’uso di tale strumento per valutare il rischio di crimini sessuali anche nel contesto italiano. Obiettivo: individuare i diversi fattori – storici, clinici attuariali e di personalità – che possono differenziare i sex offenders dagli altri autori violenti e restituire i risultati dando agli operatori penitenziari strumenti più adeguati ed efficaci per la valutazione del detenuto ai fini del trattamento. 2. La valutazione del rischio criminologico in soggetti afferenti a organizzazioni mafiose. Indagine sui detenuti per reati di mafia presenti in due carceri (Palermo e Trapani). Obiettivo: approfondire i tratti di personalità diversi dalla psicopatia e l’incidenza del trattamento penitenziario, al fine di individuare gli elementi di rischio criminologico maggiormente presenti nei soggetti appartenenti ad organizzazioni mafioseperfezionare il sistema di valutazione del rischio criminologico e migliorare i protocolli di trattamento rieducativo rivolti ai detenuti per reati di mafia.

Fonte Ministero della Giustizia – A. Paloscia, 2015

Donne e carcere

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO

Ufficio Studi Ricerche

Nelle nostre carceri oltre il 95% dei detenuti sono maschi e il numero delle donne è poco inferiore al 5%. Gli istituti penitenziari destinati in modo esclusivo alle donne sono cinque (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli, Venezia Giudecca) e per il resto le donne sono collocate in 52 reparti isolati all’interno di penitenziari maschili. Quindi le donne vivono prevalentemente una realtà che è pensata e realizzata nelle strutture e nelle regole per gli uomini mentre i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi. In molti casi esse sono ristrette in carceri che si trovano lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento con i quali i contatti sono difficili e onerosi La detenzione di coloro che sono in attesa di giudizio è molto meno tutelata dal punto di vista del trattamento.

Differenziare detenuti definitivi da quelli in attesa di giudizio è già difficile, differenziare ulteriormente all’interno di queste categorie tra uomini e donne è quasi impossibile, così le donne detenute definitive e non, si trovano sempre assieme. Le donne mediamente hanno condanne più brevi di quelle degli uomini e hanno minori probabilità di avere qualcuno cui affidare la casa e la famiglia.

Così anche una breve condanna per una donna arreca danni e conseguenze a lungo termine. Se le pene detentive brevi come punizione in generale non possono dirsi efficaci, esse lo sono ancora meno per le donne. Molto più efficace in alternativa al carcere, sarebbero misure di probation e di giustizia ripartiva, diffuse in altri Paesi. Concordare il modo migliore per riparare il danno e reintegrare le donne nella società vuol dire sostenere i loro figli, con risultati in termini di abbattimento di recidiva, e con l’ulteriore effetto di ridurre la possibilità che i figli diventino a loro volta delinquenti .

Regole sovranazionali per le condizioni detentive delle donne

Le Regole penitenziarie europee del 2006 (regola 18.8b) affermano che deve essere dato rilievo alla necessità di tenere separati uomini e donne. Le Regole Minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite [1] adottate quasi 70 anni fa e al momento soggette ad un processo di revisione, affermano (regola 8) che “uomini e donne, per quanto possibile, devono essere ristretti in istituti separati, o in sezioni completamente separate dello stesso istituto”, ma non prestano particolare attenzione a come si possa ovviare alle pratiche discriminatorie che di fatto impediscono alle donne di beneficiare di tutte le disposizioni che possono rendere più accettabile il regime carcerario.

Il 21 dicembre 2010, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite[2] ha adottato un nuovo testo di disposizioni volte a colmare una lacuna negli standard internazionali riguardanti le esigenze specifiche delle donne in conflitto con la legge penale. Sono le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute e le misure non detentive per le donne autrici di reati, note come le “Regole di Bangkok” a riconoscimento del ruolo determinante svolto dal Regno di Tailandia nella loro elaborazione. Seppure sprovviste di efficacia vincolante, le 70 Regole di Bangkok fanno parte dell’ampia raccolta di principi e linee guida, standard e norme, sviluppate dalle Nazioni Unite nel corso di più di 50 anni. L’Ufficio Studi del DAP ha provveduto a tradurne il testo e a diffonderlo. Esse sono divise in due sezioni, una contenente le disposizioni di applicazione generale e l’altra le regole dedicate a categorie speciali quali le madri, le straniere, le giovani.

interessante sottolineare che nella parte relativa alla valutazione del rischio le Regole considerano che generalmente le detenute presentano una pericolosità relativamente debole e che le misure di alta sicurezza su di loro hanno un effetto particolarmente negativo.

La regola n. l fissa il principio di individualizzazione del trattamento (“bisogna tenere conto delle esigenze peculiari delle donne detenute per l’attuazione delle presenti regole. Le misure adottate per soddisfare tali necessità non devono essere considerate discriminatorie”). E’ necessario prendere in considerazione le esigenze diverse delle donne rispetto a quelle degli uomini: l’attenzione a queste esigenze non è discriminatoria “il concetto di eguaglianza significa ben più che trattare tutte le persone allo stesso modo. Il trattamento uguale di persone in situazioni diseguali contribuirà a perpetuare l’ingiustizia e non a eradicarla”. Proprio perché le donne costituiscono una minoranza nell’ambito penitenziario i loro bisogni specifici sono spesso disattesi.

Tradizionalmente le carceri sono progettate e costruite da uomini per contenere uomini, quindi secondo un modello che mal si adatta alle necessità emotive, familiari, sociali e sanitarie femminili. In molti paesi le donne sono ospitate in sezioni sommariamente separate dalle sezioni maschili, per evitare situazioni di promiscuità ad esse è negato l’accesso alle strutture comuni per le attività sportive, lavorative e formative.

Spesso sono ristrette in carceri che si trovano molto lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento, rendendosi così difficili e onerosi i contatti con le loro famiglie. Le detenute sono spesso madri. La lontananza dai figli aggiunge sofferenza alla pena detentiva mentre i locali per le visite raramente offrono uno spazio adatto per ritrovare la vicinanza tra madre e figlio. In genere, la mancanza di affetti e i ritmi del carcere sono più difficili da accettare per le donne che per gli uomini e ciò si traduce in un numero maggiore di suicidi e di atti di autolesionismo. Uno degli aspetti su cui le Regole di Bangkok mettono più l’accento è l’incidenza dei casi di abuso sessuale e di violenza, anche familiare, delle detenute. Grande attenzione viene dedicata alla necessità di evitare il ripetersi di questo tipo di traumi, introducendo protocolli adeguati nelle relazioni tra le detenute e lo staff, soprattutto maschile, e cautele in materia di colloqui se la violenza può essere di carattere familiare. Le Regole di Bangkok dedicano molto spazio alle specifiche necessità delle donne in materia di salute ginecologica (PAP TEST, screening per il seno…), psicologica, psichiatrica, etc… e raccomandano la possibilità d’accesso a cure equivalenti a quelle disponibili all’esterno.

Le Regole di Bangkok sono il primo testo normativo internazionale che si occupa dei bambini che si trovano in carcere con le loro madri, estendendo ad essi il diritto ad una assistenza sanitaria adeguata. Ampio spazio è dedicato alle cure prenatali, all’allattamento al seno e alla difficile decisione sul se e fino a quando lasciare il bambino con la madre, nonché a come preparare la separazione nel modo meno traumatico possibile, sempre rispettando l ‘interesse superiore del minore. Sono molto interessanti le Regole 68, 69 e 70 che riguardano la promozione di lavori di ricerca sul numero di minori la cui madre è detenuta e sull’impatto che questa situazione ha su di essi, allo scopo di contribuire alla formulazione delle politiche e programmi che tengano conto dell’interesse superiore dei bambini e al fine di promuovere il reinserimento sociale delle donne autrici di reato e conseguentemente ridurre l’impatto negativo su di essi. Alcune disposizioni sono dedicate alle detenute straniere con particolare riferimento alle politiche di trasferimento dei detenuti nel loro paese di origine e di rimpatrio dei figli.

Nelle Regole di Bangkok troviamo anche un importante capitolo sul personale penitenziario il cui ruolo nell’assistenza delle donne detenute nel loro percorso di reinserimento è più volte sottolineato. La formazione professionale specifica diventa lo strumento principale affinché il personale, a tutti i livelli, possa mettere in atto le misure necessarie a soddisfare le esigenze specifiche di genere e a rimuovere le pratiche discriminatorie contro le donne. Importante la parte delle Regole dedicata alle sanzioni non detentive. Tutela delle detenute madri con i figli in carcere La legge 21 aprile 2011, n. 62 tutela il rapporto tra i minori e le madri che si trovano in stato di privazione della libertà personale. Secondo la legge le detenute madri (o i detenuti, in mancanza o nell’impossibilità delle madri) devono essere collocate negli istituti a custodia attenuata, ICAM (sul modello di quello che nacque a Milano nel 2007), che hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto alle carceri tradizionali e ispirate a quelle di una casa di civile abitazione. In queste strutture è attuato un regime penitenziario di tipo familiare-comunitario incentrato sulla responsabilizzazione del ruolo genitoriale in modo da dare un’adeguata garanzia alla genitorialità e assicurare la crescita armoniosa e senza traumi dei minori.

Sono in procinto di aprire nuovi ICAM in Piemonte, Toscana, Lazio e Campania, mentre è già operativo, oltre a quello di Milano, l’ICAM del Veneto (Venezia-Giudecca, per 12 posti) ed è stato di recente inaugurato quello della Sardegna (Senorbì). La stessa legge per le donne incinte o con prole di età inferiore ai dieci anni, prevede che le pene detentive non superiori a quattro anni, anche se costituenti parte residua di maggior pena, siano espiate in regime di detenzione domiciliare presso la propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora o presso la nuova figura della casa-famiglia protetta. Queste strutture agevolano l’accesso alla misura cautelare degli arresti domiciliari e alla misura alternativa della detenzione domiciliare e in questo senso rappresentano uno snodo essenziale per l’attuazione delle finalità della predetta legge. Il Ministro della Giustizia, come previsto dall’art. 4 comma 1 della legge, sulla base di un’intesa con la Conferenza Stato-Città ed Autonomie Locali, con decreto 8 marzo 2013 ha individuato le caratteristiche tipologiche delle “case-famiglia protette”. Esse, tra l’altro, debbono essere collocate in località vicine ai servizi territoriali, devono consentire un modello di vita comunitario, devono avere spazi interni da poter utilizzare per i colloqui con operatori e familiari e per effettuare eventuali visite mediche, devono prevedere servizi igienici e camere riservate agli uomini. La legge ha previsto che lo stesso Ministro della giustizia possa stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma mentre prevede una provvista finanziaria su specifici capitoli di bilancio per la realizzazione degli istituti a custodia attenuata ICAM, per quanto riguarda le case-famiglia protette non vi è alcuna previsione di investimento. Al fine di consentire l’attuazione della legge alcune Associazioni in varie Regioni del territorio nazionale si sono attivate per mettere a disposizione strutture aventi i requisiti previsti. Deve essere segnalato in modo particolare il Progetto Nazionale di Accoglienza delle Donne detenute con figli predisposto dalla Caritas italiana insieme ai Centri diocesani Migrantes e all’Ispettorato dei Cappellani delle carceri italiane che assicura una rete di strutture di accoglienza disponibili su tutto il territorio nazionale e cura con grande impegno un piano di intervento che, tenendo conto della posizione giuridica delle detenute madri, predispone percorsi personalizzati in grado di garantire il reinserimento nella società. La presenza di detenute madri con prole al seguito che negli ultimi anni è sempre oscillata tra le 60 e le 40 unità è considerevolmente diminuita e il 7 gennaio 2015 le detenute madri erano 26 e i minori 27.

Detenute madri con i figli fuori dal carcere Il legislatore tutela, come si è detto, i bambini fino a tre o dieci anni d’età che vivono in carcere con la madre. Ma in realtà sono ancora numerose le madri detenute che non vedono mai i loro figli o li vedono saltuariamente durante le ore di colloquio. La legge n°54 del 08/02/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” ha introdotto il principio della bigenitorialità, inteso come diritto del minore a mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori anche dopo la cessazione della loro convivenza.

Il decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, entrato in vigore lo scorso 7 febbraio, ha disposto una revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e all’art. 55 ribadisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori di ricevere cura educazione istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. La convivenza cessa non soltanto in caso di separazione ma anche in caso di detenzione di uno dei due genitori e anche in questa situazione i figli mantengono il diritto alle relazioni con entrambi i genitori e non devono essere discriminati.

Non sempre la genitorialità del detenuto è salvaguardata pienamente e ancora si è portati a ritenere, con troppa superficialità, che colui che si trova in carcere possa non essere in grado di occuparsi dei propri figli. Per tutelare i bambini e gli adolescenti che vivono la condizione di avere padre, madre o entrambi i genitori in carcere, il 21 marzo 2014 è stata sottoscritta dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e dall’Associazione

Bambinisenzasbarre la Carta dei figli dei genitori detenuti, documento unico in Europa, che afferma i diritti fondamentali del minore il cui genitore sia recluso (oltre 100.000 in Italia). La Carta impegna il sistema penitenziario all’accoglienza dei minori e istituisce un Tavolo permanente per il monitoraggio sull’attuazione dei suoi principi.

Tra i punti fondamentali è sancito che di fronte all’arresto di uno o di entrambi i genitori, il mantenimento della relazione familiare costituisce un diritto del bambino, al quale va garantita la continuità di un legame affettivo fondante la sua stessa identità e un dovere/diritto del genitore di mantenere la responsabilità e continuità del proprio stato. La preservazione dei vincoli familiari svolge un ruolo importante per il genitore detenuto anche nella sua reintegrazione sociale e nella prevenzione della recidiva. L’impegno per l’Amministrazione penitenziaria è quello di creare un ambiente che accolga adeguatamente i bambini trovando il giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i necessari contatti familiari e grande rilevanza è data alla formazione del personale che sappia accogliere i bambini e i loro familiari.

Nel recente passato si è dato corso alla sperimentazione dell’uso di una scheda unica per acquisti al sopravitto e telefonate. Recentemente sono state date disposizioni agli istituti penitenziari affinchè i colloqui siano organizzati su sei giorni alla settimana, prevedendo almeno due pomeriggi ed è stata data la possibilità di cumulare le visite nel mese, qualora non siano state usufruite, e questo per favorire i minori che vanno a scuola. Anche l’eliminazione del bancone divisorio nelle sale colloqui, la realizzazione di spazi verdi, un sistema di visite su prenotazione, l’introduzione della tessera telefonica e l’utilizzo di skype (anche se non realizzati in tutti gli istituti) vanno sicuramente nella giusta direzione. Sono molti gli interventi che volontari e associazioni già realizzano in molti istituti italiani: accompagnano i bambini ai colloqui in carcere, rendono più brevi le attese e sostengono i bambini durante le perquisizioni, rendono più gradevoli i locali adibiti al colloquio; danno sostegno al genitore che si rifiuta di condurre il figlio in carcere a visitare il padre o la madre; aiutano ai bambini a mantenere rapporti costanti con il genitore detenuto; danno modo agli stranieri di mettersi in contatto telefonico con la propria famiglia in modo che chi ha problemi di fuso orario possa comunque interloquire con i figli lontani.

Attività trattamentali Le donne hanno una minore possibilità di accesso alle attività trattamentali. E’ una discriminazione involontaria dovuta al loro numero limitato e all’impossibilitàdi condividere con gli uomini le strutture. Alle donne sono però affidate molte lavorazioni d’eccellenza, anche se queste opportunità sono ancora destinate soltanto ad una parte di loro. Nell‘istituto di Bollate le sezioni femminili sono coinvolte nel lavoro di imprese di scenografia, cucina e catering, esperti di controllo qualità, giardinieri e laboratorio di cosmetici.

Vi è pure una sartoria per la realizzazione anche di abiti d’epoca; nel laboratorio si lavora su ordinazioni ricevute presso il negozio a Castello “Banco IO”, dove lavora la coordinatrice del progetto). Nella Casa Circondariale della Giudecca a Venezia lavora una lavanderia e l’azienda agricola con un orto, che misura 6000 metri quadri ed è provvisto di grandi serre; al suo interno si coltiva un po’ di tutto, compresi numerosi ortaggi regionali: i radicchi di Treviso, Verona e Castelfranco, il broccolo padovano e quello di Creazzo, il carciofo violetto di Sant’Erasmo.

Nell’orto c’è spazio anche per un oliveto, un frutteto, la zona per il compost, il tunnel con i semenzai e una sezione denominata “aromantica”, dedicata alle officinali e ai peperoncini. La produzione è abbondante e i frutti e gli ortaggi raccolti vengono venduti al mercatino che si tiene fuori dal carcere ogni giovedì mattina (Fondamenta delle Convertite, Giudecca 712). Quelli in eccedenza finiscono in borse assortite di verdure vendute e distribuite dai gruppi di acquisto solidale della zona, mentre le erbe aromatiche e medicinali vengono usate dal laboratorio di cosmetica per la preparazione di prodotti di bellezza e di cortesia richiesti da alcuni alberghi della laguna.

L’officina Creativa degli istituti di Lecce e Trani che produce e distribuisce borse, accessori e capi di abbigliamento realizzati con materiale di riciclo (in vendita anche presso il negozio Eataly di New York) e ha un’importante scuola di cucina. A S. Vittore a Milano vi è una sartoria che lavora tra l’altro anche le toghe per avvocati e magistrati riuscendo a spezzare il meccanismo giudiziario. Sono attuati anche il progetto “parole in libertà nel quale le donne scrivono un libro e il progetto flamenco nel quale le detenute gitane raccontano la loro esperienza nonché il giornale “Oltre gli occhi”.

A Vercelli la sartoria “Codice a sbarre” produce camici per i medici dei reparti di pediatria, abiti da lavoro, divise scolastiche e capi di abbigliamento commercializzati in numerose boutique. Nella Casa circondariale di Monza vi sono la produzione di assemblaggio giocattoli e la revisione merce con un punto vendita di elettrodomestici che sono stati revisionati dalle detenute come funzionanti ed integri anche se hanno le confezioni deteriorate. A Pozzuoli la produzione di caffè “Lazzarelle” ottenuto da una pregiata miscela di chicchi provenienti da Brasile, Costa Rica, Colombia, Guatemala, India, Uganda. A Rebibbia l’azienda agricola e la produzione di borse realizzate in pvc riciclato (ogni borsa è un pezzo unico); vi è pure il laboratorio di sartoria “Ricuciamo” che recentemente ha cucito un abito per Miss Italia.

A Torino nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno le detenute inventano accessori femminili con i materiali che normalmente vengono buttati o dimenticati , li lavorano come se fossero rari e preziosi . Il marchio è “Fumne” (donne in torinese) ha prodotto di recente anche un profumo. A Bologna la sartoria “Gomito a gomito” confeziona generi di abbigliamento e accessori. Nella sezione femminile della Casa circondariale di Benevento vi sono il laboratorio di oreficeria e le ceramiche. A Latina cappelli, sciarpe, borse sono realizzati dalle detenute. Nel carcere vi è pure un teatro come in tanti altri istituti.

Vita quotidiana C’è una sostanziale differenza di genere nel modo di vivere il carcere. Gli uomini hanno una maggiore capacità di adattarsi all’ambiente o di accettare la carcerazione come conseguenza di comportamenti devianti. Le donne subiscono con sofferenza il carcere e per esse il bisogno di aggregazione e socialità è molto più forte che per gli uomini e i loro rapporti interpersonali rispondono più a logiche di espressione di affettività, che a quelle di comparazione della forza, sia essa forza fisica o forza del prestigio criminale. Generalmente le donne considerano i reati che le hanno portate in carcere come incidenti di percorso e non scelte di vita consapevoli. Hanno un senso di vergogna e la preoccupazione per il dopo, legata non soltanto alla possibilità di reinserimento lavorativo, ma anche a quella di essere accettate in società e di poter tornare a vivere un’esistenza normale (esse spesso hanno avuto una vita normale e non hanno solide carriere criminali alle spalle).

Le celle e gli spazi individuali vengono curati dalle donne con attenzione particolare: le stanze sono ordinate e pulite, tenute meglio di quelle maschili; le donne tendono a riprodurre nella loro stanza l’ambiente familiare e i gesti consuetudinari compresa l’attenzione al proprio corpo. E’ stato diffuso dal DAP uno schema di Regolamento interno predisposto per le sezioni femminili che tiene conto delle peculiarità dell’esecuzione penale riguardante il genere femminile al fine di elaborare accorgimenti organizzativi e offerte riabilitative idonei a cogliere e valorizzare la specificità della popolazione detenuta femminile. In esso trovano particolare attenzione la dimensione affettiva, le specifiche necessità sanitarie, il diverso rapporto con le esigenze della propria fisicità, la necessità di offrire pari opportunità di reinserimento sociale e sono accresciuti i momenti di compresenza con i detenuti maschi (scuola e formazione in genere, iniziative culturali, ricreative e sportive, partecipazioni alle commissioni di rappresentanza previste dall’Ordinamento penitenziario, ecc.).

Nel Regolamento penitenziario della sezione femminile di Vercelli per esempio è previsto espressamente che la detenuta possa tenere con sé la fede, catenine, orecchini e oggetti di bigiotteria (di modico valore); creme depilatorie, deodoranti, creme, smalto, cosmetici, pinze per le ciglia, depilatore elettrico, extention, tinta per i capelli, crema lisciante per capelli crespi; lenti a contatto, ferri per lana con punta arrotondata, kit per cucito. All’atto dell’ingresso la detenuta riceve anche un kit per l’igiene personale tra cui assorbenti igienici. L’arredo della cella comprende uno specchio, infine sono disponibili una lavatrice e un servizio di parrucchiera. Tutela della salute delle donne detenute Le donne in carcere hanno esigenze di salute molto diverse rispetto agli uomini . La normativa di riordino della sanità penitenziaria prende in considerazione in modo specifico il tema della detenzione femminile. Il d.lgs. 230/1999 nell’art. 1, comma 2, lettere e) e f) stabilisce che il servizio sanitario nazionale assicura appropriate, efficaci ed essenziali prestazioni di prevenzione, diagnosi precoce e cura per le donne detenute e internate, l’assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità, nonché l’assistenza pediatrica e i servizi di puericultura per i figli delle recluse. Le “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale” allegate al D.P.C.M. 1.4.2008 dedicano attenzione alla detenzione femminile: l’allegato A contiene un apposito piano di interventi dedicato alla condizione detentiva femminile.

Pur costituendo una netta minoranza rispetto alla popolazione maschile, alle detenute si riconoscono specifiche e particolari esigenze legate ad una situazione sanitaria preoccupante. Tra le azioni programmatiche, si ricordano in particolare: • il monitoraggio dei bisogni assistenziali delle recluse con particolare riguardo ai controlli di carattere ostetrico-ginecologico • gli interventi di prevenzione e di profilassi delle malattie a trasmissione sessuale e dei tumori dell’apparato genitale femminile • corsi di informazione sulla salute per le detenute e le minorenni sottoposte a provvedimento penale e di formazione per il personale dedicato, che forniscano anche utili indicazioni sui servizi offerti dalla Azienda sanitaria al momento della dismissione dal carcere o dalle comunità (consultori, punti nascita, ambulatori ecc.) • potenziamento delle attività di preparazione al parto svolte dai Consultori familiari • espletamento del parto in ospedale o in altra struttura diversa dal luogo di reclusione • sostegno e accompagnamento al normale processo di sviluppo psico-fisico del neonato Problemi di salute mentale originano per le donne dal loro stato di detenzione e dallo stress per la necessità di essere lontane dai figli e una percentuale non trascurabile degli atti di autolesionismo è compiuta dalle donne.

I rappresentanti dell’Amministrazione che prendono parte al Tavolo di consultazione permanente per la sanità penitenziaria, hanno mandato di promuovere le azioni necessarie per perseguire gli obiettivi di salute previsti nel D.P.C.M.[3] La Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento autorizza negli istituti penitenziari del territorio nazionale lo svolgimento di iniziative di studio e di ricerca condotte soprattutto da Università, ma anche da Enti sanitari, quali l’Istituto Superiore di sanità, riguardanti le patologie presenti in ambito detentivo femminile. Roma, Luglio 2015 Il Direttore dell’Ufficio Roberta Palmisano [1] Adottate dal Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Delitto ed i l Trattamento dei Delinquenti , svoltosi a Ginevra nel 1955, e approvate dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite con le risoluzioni 663C (XXIV)del 31 luglio 1957 e 2076 (LXIl) del 13 maggio 1977. [2] Risoluzione 65/229, United Nations Rules for the Treatment of Women Prisoners and Non-cu stodia) Measures for Women Offenders (the Bangkok Rules). [3]Obiettivi di salute e Livelli essenziali di assistenza In accordo con il Piano sanitario nazionale sono, di seguito, indicati i principali obiettivi di salute che devono essere perseguiti, tenuto conto della specificità della condizione di reclusione e di privazione della libertà, attraverso l’azione complementare e coordinata di tutti i soggetti e le istituzioni che, a vario titolo, concorrono alla tutela della salute della popolazione ristretta negli istituti di pena: • promozione della salute, anche all’interno dei programmi di medicina preventiva e di educazione sanitaria, mirata all’assunzione di responsabilità attiva nei confronti della propria salute • promozione della salubrità degli ambienti e di condizioni di vita salutari, pur in considerazione delle esigenze detentive e limitative della libertà • prevenzione primaria, secondaria e terziaria, con progetti specifici per patologie e target differenziati di popolazione, in rapporto all’età, al genere e alle caratteristiche socio culturali, con riferimento anche alla popolazione degli immigrati • promozione dello sviluppo psico-fisico dei soggetti minorenni sottoposti a provvedimento penale, • riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio, attraverso l’individuazione dei fattori di rischio Fonte: Ministero della Giustizia di R.Palmisano

Carcere e droghe: aspetti organizzativi

 

Convegno “Carcere e droghe: aspetti organizzativi”

(Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, 4 giugno 2009)

“Giustizia minorile e prospettive d’intervento per i minori assuntori di sostanze stupefacenti entrati nel circuito penale”
di S.Pesarin


Il fenomeno del disagio, del disadattamento e della devianza dei minori – ragazzi che entrano nel circuito penale dai 14 ai 18 anni di età – è un fenomeno tristemente in crescita. L’attività del Dipartimento è rivolta alla comprensione del fenomeno “disagio minorile” nelle sue diverse espressioni e in quanto fattori produttivi dei comportamenti devianti e della commissione di reati.
La residualità di applicazione della misura del carcere, secondo i principi fondamentali del codice di procedura penale per i minorenni (D.P.R. 448/88), è dovuta alla previsione di misure cautelari non detentive  quali le prescrizioni, la permanenza in casa e il collocamento in comunità, oltre che ad una più ampia agibilità delle sanzioni sostitutive alla detenzione.
Tutti gli interventi destinati ai minori sono centrati sulle particolari esigenze rilevate e sono svolti nel territorio attraverso progetti educativi individualizzati.
In particolare, l’istituto della messa alla prova, art.28 D.P.R. 448/88, collegabile all’impianto filosofico della “probation” corrisponde alla necessità di evitare la definizione del processo in quanto anticipa la messa alla prova rispetto alla pronuncia sul caso.
Il giudice può disporre la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne in esito alla realizzazione di un progetto di intervento elaborato dai servizi minorili della Giustizia, a cui il minore è affidato, in collaborazione con i servizi degli Enti locali. Il processo viene sospeso per un periodo non superiore ai tre anni ed il progetto di intervento deve prevedere le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente sociale, gli impegni specifici assunti dal minore, le modalità di partecipazione degli operatori dei servizi minorili e di quelli degli Enti locali, le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa.

TIPOLOGIA DELL’UTENZA

Dati statistici a livello nazionale(1)
Appare opportuno, in questa sede, dare un quadro generale della dinamica del fenomeno della “criminalità minorile” sull’intero territorio nazionale nel periodo relativo all’ultimo quinquennio (2004-2008). In tal modo sarà più facile inquadrare il fenomeno più specifico dei minori assuntori di sostanza stupefacenti in ingresso e/o presi incarico dai servizi del sistema giustizia minorile italiano.
La tabella n. 1 evidenzia l’andamento degli ingressi nei Centri di prima accoglienza (CPA).
Nell’arco di tempo preso qua in considerazione, si registra un evidente calo degli ingressi totali nei CPA. Solo negli ultimi due anni il decremento è pari al -14,1%.

Tabella 1
Ingressi nei Centri di prima accoglienza
20042005200620072008
3.8663.6553.5053.3852.908
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 1

In relazione alla provenienza dei soggetti secondo le categorie maggiormente rappresentate nelle statistiche (italiani, romeni, dall’ex Yugoslavia(2) e marocchini), il generale decremento registrato si riscontra in particolar modo per quanto riguarda i minori provenienti dal Marocco e, in misura minore, dai paesi dell’ex Yugoslavia. Questi ultimi, tuttavia, manifestano un andamento altalenante, mentre c’è una sostanziale stabilità degli italiani. Per quanto concerne i minori romeni, si registra il forte incremento dei loro ingressi fino all’anno 2006, mentre tra il 2006 e il 2008 si è innescata una tendenza inversa che indica una marcata inflessione.
Il calo degli ingressi registrato nei Centri di prima accoglienza (CPA) si è verificato, nello stesso arco temporale preso in considerazione in precedenza, anche per quanto riguarda gli ingressi negli Istituti penali per i minorenni (IPM), così come evidenziato dalla tabella n. 2. 

Tabella 2
Ingressi negli Istituti penali per i minorenni
20042005200620072008
15941489136213371347
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 2

Si registra, però, negli Istituti penali per i minorenni un crescente aumento di provvedimenti emessi dall’Autorità giudiziaria minorile di esecuzione di pene e di custodia cautelare per soggetti provenienti dalla libertà, nonché si evidenzia un innalzamento della presenza media giornaliera dei minori ristretti. Ciò produce un continuo stato di sovraffollamento in tutti gli Istituti penali per i minorenni operanti sul territorio nazionale, anche a motivo di una riduzione della capacità ricettiva dovuta a oggettive situazioni di inagibilità e allo svolgimento di lavori di ristrutturazione. Questa situazione provoca un  movimento continuo di detenuti e un incremento del numero dei minori da ospitare notevolmente al di sopra della effettiva ricettività. Gli effetti immediati di tale condizione sono: per i minori la limitazione dell’esercizio del diritto a mantenere i rapporti con la propria famiglia ed i difensori. Per il personale un aggravio di lavoro per l’organizzazione e la gestione di un numero elevato di detenuti e per il consistente numero di traduzioni fuori distretto, con ciò che ne consegue in termini di regolare svolgimento delle attività trattamentali a fronte di un notevole impegno di risorse umane ed economiche.
Relativamente agli ingressi secondo provenienza dei soggetti, il dato inerente gli stranieri continua ad essere in calo (da 965 del 2004 a 653 del 2008), mentre per quanto riguarda gli italiani, persiste l’incremento iniziato nel 2006.

Tabella 3.
Ingressi negli Uffici dei servizi sociali per i minorenni
20042005200620072008
1389213901130661477417814
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 3

Per quanto concerne gli Uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM), il dato relativo alle azioni di servizio sociale attivate indica (tabella n. 3) un netto incremento che inizia nel 2006.
Per quanto riguarda la provenienza dei soggetti, gli Uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM) da sempre sono caratterizzati dalla prevalenza di utenza italiana poiché, come è noto, la legislazione minorile pone, come requisito per l’accesso ai benefici diversi da quelli della restrizione in carcere ( prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità, altro), vincoli legati alla sussistenza di adeguate condizioni personali, familiari e sociali. Ed è altrettanto noto che la fenomenologia della devianza minorile straniera, oramai da qualche anno, è caratterizzata, oltre che da altri ed articolati elementi, dal fenomeno dei minori non accompagnati, comunitari e non.
Per quanto riguarda le comunità, si può evidenziare, nella tabella n. 4, un costante e forte aumento degli ingressi. Detto incremento si distribuisce sia per quanto concerne gli italiani, sia per quanto concerne gli stranieri.

Tabella 4
Ingressi nelle Comunità
20042005200620072008
18061926189920552188
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 4

La valutazione qualitativa dell’utenza impone una prima considerazione, quella della presenza di tutte le problematiche che investono gli universi del disagio minorile, infatti, emergono:

  • problematiche di tossicodipendenza,
  • soggetti bordeline dediti al policonsumo di sostanze,
  • il fenomeno della manovalanza minorile ad uso della criminalità organizzata,
  • i minorenni stranieri privi di riferimenti familiari spesso non accompagnati,per i quali è difficile costruire percorsi di reinserimento,
  • minori con problematiche psicopatologiche che richiedono interventi specialistici in stretta connessione con la competenza clinica,
  • i minori abusanti;
  • il fenomeno delle baby gang e di atti di bullismo ai limiti del penale,
  • l’utenza ultradiciottenne, costituita per la maggior parte dei casi da soggetti in espiazione di pena, detenuti prevalentemente negli Istituti meridionali, non di rado collegati alla criminalità organizzata.


Tutto ciò rappresenta un momento del “malessere” che attraversa gli universi giovanili che appare trasversale e non più riconducibile alle cosiddette “povertà sociali”. L’uso di sostanze stupefacenti non è più associato ad una ricerca di evasione, ma bensì ad un’ ansia correlata al raggiungimento di prestazioni sempre più elevate richieste da una società che si trasforma velocemente ed il cui sistema valoriale non è più un riferimento stabile. Si assiste ad una caduta di “impegno educativo” verso le nuove generazioni, che risentono della frammentazione di questo periodo, aggravate da fenomeni che si susseguono con una rapidità temporale mai registrata come oggi. La globalizzazione ha accentuato paradossalmente i localismi, da qui il frantumarsi di “categorie omogenee” e di “valori unici” di riferimento, che oltre ad ingenerare una “orfananza” di culture, producono una sempre più crescente frammentazione e destabilizzazione rispetto a percorsi volti ad acquisire l’identità personale e sociale senza la quale si manifestano situazioni di disagio, disadattamento e devianza.

Dati statistici sui minori assuntori di sostanze stupefacenti (3)

La tabella n. 5 evidenzia un trend che, a partire dal 2006, indica un netto e costante aumento di minori assuntori di sostanze stupefacenti e/o dediti al policonsumo, in ingresso e/o in carico ai servizi della giustizia minorile. Detto aumento appare determinato, in modo esclusivo, dal dato relativo ai ragazzi italiani che, dal 2006 al 2008, hanno fatto registrare un allarmante incremento pari al 41,3%, a fronte di un decremento dei ragazzi stranieri, nel medesimo periodo, pari al -11,8%. Nel 2008, così, i ragazzi italiani sono arrivati a costituire oltre l’80% del totale di minori assuntori di sostanze stupefacenti di cui si fanno carico e per i quali lavorano i servizi della giustizia minorile(3).

Tabella 5
Minori assuntori di sostanze stupefacenti transitati nei servizi minorili
Ingressi20042005200620072008
Italiani752716612764865
Stranieri280291245233216
Totali1.0321.0078579971.081
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 5

Relativamente al 2008, il numero di soggetti assuntori di sostanze stupefacenti in ingresso e/o in carico ai servizi della gustizia mnorile è aumentato, rispetto all’anno precedente, dell’8%. Come detto, la stragrande maggioranza di essi sono italiani, seguiti, a notevole distanza, dai ragazzi provenienti dal Marocco (9%) e dalla Romania (1,6%). Per quanto riguarda le loro caratteristiche, la maggioranza è composta da maschi (95%) di età compresa tra i 16 e i 17 anni (71%).
Questi soggetti, nella loro totalità, rispondono, in prevalenza, di reati di detenzione e spaccio per il 58% e contro il patrimonio per il 36%. Residuali sono le rimanenti categorie di imputazione.
Appare necessario indicare che tra le varie sostanze stupefacenti, i cannabinoidi risultano essere le sostanze maggiormente assunte (78%), ma preoccupante è anche l’uso di cocaina (10%) e oppiacei (7%). Queste ultime due sostanze aumentano d’importanza statistica con l’aumento dell’età dei soggetti, mentre accade l’inverso con i cannabinoidi che sono maggiormente usati dai ragazzi più piccoli.
In questo quadro generale, appaiono allarmanti i dati che indicano la percentuale di assuntori giornalieri di sostanze stupefacenti (35%, in aumento rispetto al precedente anno) e quella di chi presenta forme di dipendenza da più di un anno (38%).
L’introduzione di nuove sostanze sul mercato e l’evoluzione del consumo di quelle tradizionali hanno diversificato la modalità di assunzione delle sostanze. I cannabinoidi, ad esempio, vengono assunti anche per via inalatoria mentre è possibile consumare oppiacei o cocaina fumando sostanze come il kobret o il crack.
I dati riguardanti il contesto di assunzione della sostanza fanno registrare che è in aumento la percentuale degli assuntori in gruppo.
Gli accertamenti sanitari effettuati nell’anno 2008 dai servizi minorili della Giustizia per verificare l’assunzione di sostanze stupefacenti sono stati 2.029 nei Centri di prima accoglienza e 1007 negli Istituti penali per i minorenni.
Gli interventi di tipo farmacologico effettuati dai CPA, IPM, Comunità e Uffici di servizio sociale per i minorenni sono stati 326, gli invii al servizio tossicodipendenze sono stati 389 e in comunità sono stati 50.
Si specifica che secondo i dati dell’Istat su “l’uso e l’abuso del consumo di alcol in Italia” esiste un forte incremento del consumo di alcol tra giovanissimi con modalità a rischio in quanto l’assunzione avviene fuori dal contesto familiare e non in corrispondenza dei pasti. Inoltre, emerge la precocità dell’assunzione rispetto all’età dei consumatori abituali e in genere l’alcol diviene una sorta di automedicazione contro gli stati d’ansia e di stress. L’estensione del fenomeno nella fascia giovanile fa presumere che anche tra l’utenza penale minorile vi sia questa diffusione anche se non sempre rilevabile, in quanto tale condotta non viene percepita come rischiosa.
Secondo informazioni pervenute dai servizi minorili risulta che l’abuso di sostanze si caratterizza come poliassunzione di sostanze stupefacenti e alcol.
L’uso di sostanze da parte di minori stranieri sembra essere legato allo spaccio o ad un consumo normale ed abituale non percepito come sintomo di devianza in quanto culturalmente accettato nel paese di origine, come nel caso delle popolazioni provenienti dal nord Africa.
La problematicità del minore che accede ai servizi della giustizia minorile è piuttosto complessa e variegata, quasi mai esclusivamente centrata sulla tossicofilia o la tossicodipendenza.
Il profilo tipologico del minore che usa e abusa di sostanze stupefacenti non può essere in alcun modo assimilato a quello dell’adulto in quanto l’orientamento verso comportamenti di tossicofilia raramente comporta una  certificazione di tossicodipendenza, pur richiedendo interventi specialistici da parte delle Aziende sanitarie e dei Ser.T  che prevengano la cronicizzazione del comportamento. Le modalità di aiuto e i percorsi di recupero devono privilegiare un approccio individualizzato con la realizzazione di interventi di sostegno e accompagnamento educativo.  L’entrata nel circuito penale costituisce, paradossalmente, una opportunità di aggancio del minore e una opportunità di crescita e responsabilizzazione rispetto ai comportamenti devianti messi in atto.

Minori assuntori di sostanze stupefacenti: competenze, funzioni e modello d’intervento

Il decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230 “Riordino della medicina penitenziaria”, all’articolo 1 stabilisce che i detenuti e gli internati, al pari dei cittadini in stato di libertà, hanno diritto alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali”. In particolare, con detto decreto e con il decreto del 21 aprile 2000 di “Approvazione del progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario”, il sistema sanitario nazionale è stato chiamato ad intervenire nei settori della prevenzione e cura della tossicodipendenza e delle patologie ad essa correlate e nella cura e prevenzione delle patologie psichiche. cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali e uniformi di assistenza.
L’articolo 2 definisce il quadro di riferimento per le azioni da porre in essere, stabilendo che:

  1. Lo Stato, le regioni, i comuni, le aziende sanitarie e gli istituti penitenziari uniformano le proprie azioni e concorrono responsabilmente alla realizzazione di condizioni di protezione della salute dei detenuti e degli internati, attraverso sistemi di informazione ed educazione sanitaria per l’attuazione di misure di prevenzione e lo svolgimento delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione contenute nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali.
  2. L’assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati è organizzata secondo principi di globalità dell’intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, di integrazione della assistenza sociale e sanitaria garanzia della continuità terapeutica.
  3. Alla erogazione delle prestazioni sanitarie provvede l’azienda sanitaria. L’amministrazione penitenziaria provvede alla sicurezza dei detenuti e a quella degli internati ivi assistiti.

La riforma del Titolo V parte II della Costituzione della Repubblica ha attribuito alla Regioni ed alle Amministrazioni locali un ruolo centrale. Le Regioni, infatti nell’ambito della predetta normativa hanno assunto, con il concorso degli Enti locali e dei Comuni, anche la titolarità per l’esercizio di funzioni di indirizzo programmazione e coordinamento in materia socio assistenziale e sanitaria.
La riforma della Legge Costituzionale ha ridisegnato in maniera sostanziale l’assetto delle Istituzioni della nostra Repubblica, in modo da renderle più vicine ai bisogni locali e più capaci di dare voce alla società civile ed alla pluralità dei soggetti coinvolti, al fine di garantire “livelli essenziali di assistenza” per tutti i cittadini.
Il sistema giuridico attuale è ispirato al principio di sussidiarietà. Infatti la generalità delle competenze e delle funzioni amministrative (art. 118 come modificato dalla legge costituzionale del 18.10.2001 n. 3) vengono attribuite ai Comuni alle Province agli altri Enti locali sovracomunali, poi alle Regioni ed infine allo Stato. Il riconoscimento di una pluralità soggettuale nella gestione, nella organizzazione ed erogazione dei servizi e delle prestazioni per il governo delle politiche sociali, coinvolge nuovi e differenti attori “istituzionali e non” che concorrono a soddisfare i crescenti e sempre più complessi bisogni delle persone , delle famiglie, delle comunità locali e dell’intera società.
La cultura del dialogo e della operatività interistituzionale, della collaborazione della comunità civile e dell’Amministrazione della Giustizia minorile, è presente nell’ordinamento penitenziario (L. 354/75, Regolamento di esecuzione DPR 230/2000), ma in misura ancora più determinante nel codice di procedura penale minorile (DPR 448/88, DL.vo 272/89).
Tale processo di decentramento ha interessato le politiche socio-assistenziali e sanitarie, ispirando le norme del settore. Ne consegue che l’Amministrazione della giustizia minorile, nel perseguire i propri fini istituzionali, non può prescindere da un’attività di programmazione, di progettazione e di erogazione di servizi e prestazioni con le Regioni e gli Enti locali, cui la vigente normativa attribuisce titolarità di ruolo. Significa, allora, la co-costruzione di azioni-progettualità integrate con dette istituzioni locali rivolte non solo alla prevenzione primaria e secondaria, ma anche a quella terziaria in materia socio-assistenziale e sanitaria.
Dette trasformazioni istituzionali dell’organizzazione amministrativa statale e locale hanno originato la conseguente contrazione delle risorse finanziarie di questo Dipartimento rispetto agli anni passati e per il decentramento in atto sempre più le relative disponibilità si ridurranno in favore di nuovi bacini di risorse esigibili solo attraverso progettualità integrate, interistituzionali e territorialmente pianificate.
Con il DPCM 1° aprile 2008, predisposto dal Ministero della salute, di concerto con il Ministero della giustizia, dell’economia e della funzione pubblica e dopo l’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, dal 1° gennaio 2009 sono state trasferite al SSN  le  funzioni sanitarie e le relative risorse finanziarie, umane e strumentali afferenti la medicina penitenziaria.
Tale passaggio di competenze richiede la definizione e a livello locale di accordi interistituzionali tra i referenti delle Regioni, delle ASL e Centri per la giustizia minorile e i servizi minorili di rispettiva competenza territoriale per garantire la continuità nell’erogazione del servizio e del trattamento terapeutico nei confronti dei minorenni sottoposti a procedimento penale.
Per l’attuazione del DPCM sono state predisposte le  ‘Linee di indirizzo per gli interventi del servizio sanitario nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale’, che disciplinano obiettivi di salute e livelli essenziali di assistenza. In particolare, in accordo con il piano sanitario nazionale i principali obiettivi di salute che devono essere perseguiti sono:

  • promozione della salute, anche all’interno dei programmi di medicina preventiva e di educazione sanitaria, mirata all’assunzione di responsabilità attiva nei confronti della propria salute
  • promozione della salubrità degli ambienti e di condizioni di vita salutari, pur in considerazione delle esigenze detentive e limitative della libertà
  • prevenzione primaria, secondaria e terziaria, con progetti specifici per patologie e target differenziati di popolazione, in rapporto all’età, al genere e alle caratteristiche socio culturali, con riferimento anche alla popolazione degli immigrati
  • promozione dello sviluppo psico-fisico dei soggetti minorenni sottoposti a provvedimento penale, riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio, attraverso l’individuazione dei fattori di rischio

In considerazione di quanto sopra, i Centri per la giustizia minorile e i servizi minorili che hanno storicamente operato, tramite accordi di programma e protocolli, con le Aziende ASL e i SERT per gli interventi trattamentali  nei confronti dei minori ristretti in I.P.M. , ospiti delle Comunità ministeriali, dei C.P.A. o in carico all’USSM, stanno attivando le procedure per l’attualizzazione delle collaborazioni secondo i riferimenti definiti dal DPCM  e dalle Linee di indirizzo sopra citate.  
Lo scenario attuale prevede, pertanto, che l’assistenza ai soggetti tossicodipendenti sia garantita dal Ser.T. dell’Azienda sanitaria, competente per territorio, che stabilisce rapporti di interazione clinica, sia con i servizi minorili che con la rete dei servizi sanitari e sociali che sono coinvolti nel trattamento e nel recupero dei tossicodipendenti. La presa in carico del tossicodipendente prevede l’attuazione delle misure preventive, diagnostiche e terapeutiche che riguardano sia l’aspetto clinico che quello della sfera psicologica.
I programmi di intervento devono garantire la salute complessiva del minorenne dell’area penale e a tale scopo, è necessario prevedere:

  • la formulazione di percorsi capaci di una corretta individuazione dei bisogni di salute, in particolare tramite la raccolta di dati attendibili sulle reali dimensioni e sugli aspetti qualitativi che costituiscono la popolazione giovanile sottoposta a provvedimento penale con problemi di assunzione di sostanze stupefacenti e di alcol per la quale non è stata formulata una diagnosi di tossicodipendenza e delle eventuali patologie correlate all’uso di sostanze (patologie psichiatriche, malattie infettive)
  • la sistematica segnalazione al Ser.T., da parte dei sanitari dei possibili nuovi utenti o soggetti con diagnosi anche solo sospetta e l’immediata presa in carico dei minori sottoposti provvedimento penale, da parte del Ser.T. e la garanzia della necessaria continuità assistenziale
  • l’implementazione di specifiche attività di prevenzione, informazione ed educazione mirate alla riduzione del rischio di patologie correlate all’uso di droghe
  • l’effettuazione di ogni eventuale intervento specialistico necessario per l’approfondimento diagnostico e terapeutico
  • la predisposizione o la prosecuzione di programmi terapeutici personalizzati, sulla base di una accurata diagnosi multidisciplinare dei bisogni del minore
  • la definizione di protocolli operativi per la gestione degli interventi predisposti per i minori sottoposti a provvedimenti penali presso le comunità terapeutiche, nei tempi previsti dal provvedimento di esecuzione
  • la realizzazione di iniziative permanenti di formazione che coinvolgano congiuntamente sia gli operatori delle Aziende sanitarie, che quelli della giustizia.

      La presa in carico dei minori prevede la diagnosi e la predisposizione di un programma terapeutico che possa continuare anche dopo la dimissione del ragazzo dalla struttura minorile o comunque al termine della misura penale.

Collegamento con i servizi sanitari per tossicodipendenti

Le strutture e i servizi che vengono attivati dai servizi minorili sono il Dipartimento di salute mentale, il servizio tossicodipendenze, le comunità pubbliche o private, i centri diurni.
Gli interventi di tipo sanitario che vengono svolti nei Centri di prima accoglienza, negli Istituti penali per minorenni e nelle Comunità riguardano gli accertamenti diagnostici con la ricerca di sostanze stupefacenti ed interventi di tipo farmacologico. Il minore arrestato che entra in contatto col CPA viene visitato dai servizi sanitari per rilevare la tipologia ed il livello di sostanze presenti nell’organismo. Parallelamente sono previsti dei colloqui con gli assistenti sociali dell’USSM che devono riferire quanto osservato all’Autorità giudiziaria minorile. Essendo limitato a quattro giorni il termine massimo di permanenza del minore nella struttura non sempre si riesce a rilevare, se non in casi conclamati, il consumo di sostanze psicotrope.
Per tutti i servizi, un problema comune è la mancata percezione da parte del giovane del proprio stato, in altre parole il minore non si riconosce come tossicodipendente. Pertanto il grado di consapevolezza sembra rientrare tra gli indicatori utili per capire quale progetto rieducativo adottare.

Collocamento di minori in comunità terapeutiche

Tra le aree di collaborazione di maggiore rilevanza tra il sistema sanitario e quello della giustizia minorile, si individua certamente l’esecuzione del collocamento in comunità terapeutiche.
In attuazione dell’art. 7 del DPCM 1° Aprile 2008, è stato sottoscritto l’accordo in sede di Conferenza unificata Stato Regioni che stabilisce le forme di collaborazione e di collegamento tra le funzioni riguardanti la salute e le funzioni di sicurezza e trattamento.  In merito agli inserimenti in comunità terapeutiche di minorenni sottoposti a procedimento penale è previsto “ (…)  le Regioni, ferma restando la titolarità degli oneri relativi, forniscono l’elenco delle Comunità presenti sul proprio territorio ai Centri per la giustizia minorile che provvedono all’esecuzione del provvedimento con invio alla struttura terapeutica individuata di concerto a seguito di valutazione diagnostica”.
Pertanto, nel caso specifico di un minore tossicodipendente, che deve essere collocato in comunità in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria l’individuazione della struttura deve essere effettuata congiuntamente dalla ASL competente per territorio e dal servizio minorile della giustizia che ha in carico il minore sulla base di una valutazione delle specifiche dello stesso.
Tuttavia, in questa complessa fase di transizione emerge la questione, già evidenziata nel corso degli anni precedenti, relativa alla scarsità ed alla diversa distribuzione territoriale delle comunità terapeutiche, non omogenea nel territorio nazionale, in grado di accogliere minori tossicodipendenti o tossicofilici. Tale problematica ha assunto dimensioni rilevanti in quanto l’attuale normativa è diventata più esplicita riguardo all’obbligo per le Regioni di provvedere al collocamento dei minorenni in comunità terapeutiche. Precedentemente, infatti, il collocamento veniva realizzato anche in comunità fuori dal territorio regionale in base alla tipologia della struttura e al progetto d’intervento.  
Ulteriori difficoltà di inserimento si riscontrano nei casi di doppia diagnosi di cui sembra registrarsi un aumento negli ultimi anni. Molti sono i casi di tossicodipendenza o tossicofilia associati a psicopatologia, per i quali non risultano esserci strutture specializzate e pronte allo specifico trattamento.
L’attuale fase di passaggio di competenze ha comportato il trasferimento degli oneri finanziari e quindi delle relative risorse dalla giustizia minorile alle regioni: ciò ha riguardato anche il capitolo di spesa 2135 destinato alle “Spese per gli interventi per i minori tossicodipendenti, tossicofili, portatori di patologie psichiche” sul quale gravano, quindi, anche le spese per i collocamenti in comunità dei soggetti sopra individuati.  
Tale capitolo era stato istituito a seguito dell’art. 4 duedecies della legge 49 del 21 febbraio 2006 che aveva inserito due nuovi commi  nel Testo unico in materia di leggi sulla tossicodipendenza, il D.P.R. 309/1990, prevedendo il  riconoscimento degli oneri per il collocamento in comunità terapeutiche e per il trattamento sanitario e socio-riabilitativo dei minori con provvedimenti penali. Tale inserimento aveva permesso di colmare il vuoto legislativo e, pur salvaguardando gli accordi con gli enti territoriali che in alcune regioni ( Puglia e Sicilia ) già assicuravano la realizzazione di tale intervento,  consentiva a tutti i minori di fruire di uno stesso trattamento socio-sanitario indipendentemente dalle regioni in cui veniva eseguita la misura penale. La normativa aveva infatti assicurato, in attesa della piena attuazione del trasferimento di tali competenze al Servizio sanitario nazionale, al Dipartimento giustizia minorile, per gli anni 2006, 2007 e 2008, uno stanziamento annuale di 2.000.000 di euro per la copertura di tali spese.
Nella definizione dell’entità degli oneri da trasferire alle regioni sono stati considerati anche tali stanziamenti e pertanto tutti gli interventi destinati all’utenza penale minorile con problemi di tossicofilia o tossicodipendenza non sono più sostenibili dall’Amministrazione della giustizia minorile.
Emerge, infatti, come elemento problematico la questione della diagnosi dello stato di tossicodipendenza e/o di disturbo psichiatrico in quanto non sempre può essere realizzata poiché trattandosi di soggetti adolescenti il rischio di etichettamento potrebbe condizionare pesantemente l’evoluzione della personalità.
Conseguentemente il collocamento in strutture specializzate per il trattamento dei tossicodipendenti potrebbe non essere corrispondente alle effettive esigenze del minore e privilegiare invece l’inserimento in una comunità socio-educativa per minori in cui siano garantiti anche interventi specialistici da parte del S.S.N. o la frequenza di un centro diurno che attui percorsi terapeutici adeguati.
In proposito il D.P.R. 309/90, così come modificato dalla Legge 46/2006 prevede all’art. 96 che l’intervento sanitario e socio-riabilitativo è rivolto ai minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche ed è realizzato sia in comunità terapeutiche che in comunità socio-riabilitative(4).
Invece, poiché resta ancora a carico del sistema giustizia, nelle more dell’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, art. 8 del D.P.C.M. 1° aprile 2008 da parte delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, le funzioni e le competenze in materia di sanità penitenziaria tra cui anche quelle relative al collocamento dei minori con problemi di tossicodipendenza nelle comunità del territorio per dette regioni e province, si reputa opportuno la riattribuzione di risorse finanziarie dedicate al settore sanitario penale minorile.
Tutto ciò premesso, l’ambito di lavoro sarà quello di dare concreta attuazione, attraverso gli strumenti indicati dal predetto DPCM alle modalità di collaborazione operativa sui collocamenti in comunità terapeutica per i minori del circuito penale.
Su questo versante dovranno essere affinate modalità di lavoro congiunte e condivise con le ASL di tutte le province al fine di attuare una presa in carico congiunta dei minori/giovani con problematiche di tossicodipendenza e di quelli con disagio psichico,  spesso entrambi presenti nello stesso soggetto.
A breve termine verrà inoltre dato avvio al progetto “Insieme per”, curato dalla Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento per la giustizia minorile e finanziato, per un importo pari a € 143.000,00, dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il progetto consentirà l’inserimento della figura del “Compagno adulto” nel lavoro terapeutico tradizionale individuando, per i ragazzi destinatari dell’intervento, un percorso di riabilitazione sociale che consenta di ridurre l’emarginazione, di migliorare le competenze personali e le capacità relazionali per abbattere uno degli aspetti che aumentano la sofferenza psichica e il rischio di approccio a sostanze stupefacenti ed alcool.
L’accompagnamento educativo nelle attività previste dal progetto individuale elaborato dal servizio minorile della giustizia che ha in carico il minore/giovane adulto avrà l’obiettivo di aumentare il livello di autonomia personale e di facilitare il reinserimento sociale del soggetto.
A decorrere dalla data di entrata in vigore del D.P.C.M. 1° aprile 2008, sono state trasferite al Servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, comprese quelle concernenti il rimborso alle comunità terapeutiche sia per i tossicodipendenti e per i minori affetti da disturbi psichici delle spese sostenute per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica.  
Nella prima fase di applicazione del decreto le risorse finanziarie, sono state ripartite tra le regioni, sulla base anche della tipologia delle strutture penitenziarie e dei servizi minorili presenti sul territorio di competenza, nonché dei flussi di accesso ai medesimi, secondo i criteri definiti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
   
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE E PROPOSTE                                                      

In relazione al quadro tipologico dell’utenza ed in base alla vigente normativa, appare necessario:

  • rivedere il Testo unico in materia di leggi sulla tossicodipendenza, il D.P.R. 309/1990 in relazione alla necessità di prevedere espliciti richiami al settore della giustizia minorile;  
  • potenziare le strategie di intervento comuni, a livello nazionale e locale, quale metodo d’intervento più efficace per il conseguimento dei risultati attesi,
  • uniformare su tutto il territorio nazionale la modalità di attuazione degli interventi e delle prestazioni sanitarie, compresi i collocamenti dei minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche correlate all’uso di sostanze stupefacenti assuntori di sostanze stupefacenti e sottoposti a procedimento penale; tale obiettivo sarà perseguito da questo Dipartimento giustizia minorile, in sede del tavolo di consultazione, costituito da rappresentanti dei dicasteri della Salute e della Giustizia, delle regioni e province autonome e delle Autonomie locali, presso la Conferenza Unificata, anche attraverso la costituzione di un sottogruppo specifico per l’area penale minorile;
  • privilegiare l’intervento individualizzato rispettando la centralità del minore e quindi assicurando tutte le prestazioni e gli interventi a prescindere dalla struttura in cui vengano realizzati: in particolare si fa riferimento alla possibilità che i minori dell’area penale con problemi di tossicofilia possano essere collocati anche in strutture di tipo socio-riabilitativo con oneri a carico del S.S.N.;
  • attivare in ogni regione e provincia autonoma, gli  Osservatori permanenti sulla sanità penitenziaria, con la presenza di rappresentanti della regione, dell’Amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile, competenti territorialmente, al fine di valutare l’efficienza e l’efficacia degli interventi a tutela della salute dei minorenni sottoposti a provvedimento penale.
  • Stipulare gli accordi a livello territoriale tra A.S.L., Centri per la giustizia minorile e servizi minorili per disciplinare le modalità di collaborazione operative;
  • Assicurare, come previsto dalla normativa vigente, le prestazioni ed erogazioni di medicina specialistica, di assistenza farmaceutica ed effettuare gli accertamenti sanitari ai minori  con problemi di tossicofilia e tossicodipendenza presenti nei CPA, negli IPM e nelle Comunità pubbliche;
  • prevedere per tutta l’utenza penale minorile con problemi riguardanti la dipendenza da sostanze un “presidio” del Ser.T nei tribunali per i minorenni in sede di udienza al fine di una presa in carico congiunta con i servizi minorili del minore e della programmazione degli interventi. La sperimentazione potrebbe essere attuata nelle sedi di Milano e Torino attraverso una convenzione che permetta un presidio del Ser.T nei due tribunali per i minorenni: tale esperienza è stata attuata a Milano dal Dipartimento amministrazione penitenziaria e il Ser.T per gli adulti;
  • riattribuzione delle risorse dedicate al settore sanitario penale minorile, stante, tra l’altro il non ancora avvenuto passaggio della medicina penitenziaria da parte delle regioni a statuto speciale;
  • Implementare il numero delle strutture comunitarie destinate specificamente al trattamento dei minori tossicodipendenti e predisporre un elenco delle comunità terapeutiche e/o socio-riabilitative che possano accogliere i minori tossicofili e portatori di sofferenza psichiatrica;
  • Garantire, qualora sussistano specifiche esigenze di tipo terapeutico, in osservanza del principio di continuità della presa in carico, la permanenza del minore nella stessa struttura anche a conclusione della misura penale.
  • Per l’utenza penale minorile di nazionalità straniera prevedere: 1) una regolamentazione delle competenze amministrative rispetto all’ultima residenza accertata quale criterio unitario e condiviso, esteso a tutto il territorio nazionale, che consenta quindi una certezza dei referenti operativi ed organizzativi; 2 ) l’attività di mediazione culturale quale supporto indispensabile alla definizione e all’attuazione del programma trattamentale.
  • Prevedere percorsi di accompagnamento con forte centratura educativa e di tutoraggio dei minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche correlate all’uso di sostanze stupefacenti assuntori di sostanze stupefacenti e sottoposti a procedimento penale attraverso specifiche progettualità che investono la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari ed il territorio.
  • Attivare percorsi di formazione professionale specifica per i minori del settore penale che consentano di acquisire competenze idonee a favorire il raccordo con il mondo del lavoro ed un possibile sbocco occupazionale.
  • Prevedere progettualità sperimentali di alternanza scuola, tempo libero, lavoro, realizzati in integrazione con le istituzioni competenti, scanditi in momenti applicativi e laboratoriali, alternati a momenti più teorici finalizzati a costituire per il giovane un’esperienza che favorisca un suo futuro inserimento sociale.
  • Sostenere il reinserimento sociale e lavorativo, spostando la centratura dalle sostanze e dai percorsi di cura, compresi i collocamenti in comunità terapeutiche, socio-riabilitativo ed educativo, a quelli dedicati al rafforzamento dell’identità personale, sociale e civile di ciascun adolescente e dei suoi accresciuti bisogni di sicurezza, di accompagnamento educativo e di riferimenti emotivi ed affettivi.
  • Attivare percorsi di formazione integrata tra operatori del sistema penale minorile e del servizio sanitario, degli enti territoriali, del terzo settore, del volontariato e tutte le agenzie educative per armonizzare le diverse competenze e metodologie d’intervento.

Il modello, infatti,  attuato dal sistema penale è quello di un intervento integrato che costruisce reti interistituzionali capaci di riportare al centro il giovane con i suoi specifici bisogni a cui dare riscontro attraverso un progetto individualizzato e specializzato che con il coinvolgimento di tutte le agenzie  educative gli consenta non solo la fuoriuscita dal sistema  penale, ma anche il suo inserimento sociale e lavorativo e l’opportunità di poter esercitare una cittadinanza attiva fatta di diritti e doveri centrata sulla responsabilità senza la quale è impossibile ottenere qualsiasi successo riabilitativo.
Occorre infine recuperare come dice il Ministro Alfano una “squadra” chiamata Stato, capace di lavorare con una vera lealtà interistituzionale ed interorganizzativa, senza più autoreferenzialismi e/o riserve, avendo come unico obiettivo quello di costruire percorsi comuni, di promuovere il benessere, di assumere una coerente responsabilità verso le nuove generazioni con atti ed azioni di senso e di significato, centrando ogni processo sui reali bisogni della persona e della sua famiglia.


IL DIRETTORE GENERALE
Serenella Pesarin

Documento elaborato con la collaborazione di:
Maria Teresa Pelliccia, funzionario Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari
Giovanna Spitalieri, funzionario Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari
Massimiliano Lucarelli, funzionario Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari

Note
1. Dati del Servizio statistico – Ufficio I del Capo dipartimento ed elaborati dalla Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari.
2. Nella categoria “ex Yugoslavia” sono comprese la Bosnia e Erzegovina, la Croazia, la Macedonia, la Serbia, il Montenegro e la Slovenia.
3. Dati del Servizio statistico – Ufficio I del Capo dipartimento.
4. Art. 4 duodecies 6-bis. Per i minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche correlate all’uso di sostanze stupefacenti, sottoposti alle misure cautelari non detentive, alla sospensione del processo e messa alla prova, alle misure di sicurezza, nonche’ alle misure alternative alla detenzione, alle sanzioni sostitutive, eseguite con provvedimenti giudiziari di collocamento in comunità terapeutiche e socio-riabilitative, gli oneri per il trattamento sanitario e socio-riabilitativo sono a carico del Dipartimento giustizia minorile, fatti salvi gli accordi con gli enti territoriali e, nelle more della piena attuazione del trasferimento di dette competenze, del Servizio sanitario nazionale.

Minori detenuti tra devianza e abuso di sostanze

Relazione presentata nel corso del Convegno di Milano del 18 novembre 2010 dal titolo: “Minori oltre la detenzione”

Interventi territoriali multiprofessionali con minori d’area penale abusatori di sostanze stupefacentiIntroduzione

La giustizia minorile si interroga sul tema dell’interazione tra abuso di sostanze e devianza, tema che si colloca in realtà su una zona di confine tra le competenze specifiche della giustizia e quelle dei servizi territoriali. Il senso di questo interrogarsi è legato alla costruzione del progetto terapeutico che, nel caso di minori in carico alla Giustizia mnorile che presentano problemi di dipendenza, diviene ovviamente più complesso perché legato a due obiettivi tra loro interdipendenti, il superamento della dipendenza (che non ricade nelle competenze dalla giustizia ma dei servizi sanitari) e il processo rieducativo (che invece attiene a questa amministrazione). Le riflessioni su questo tema pongono inevitabilmente gli operatori della giustizia minorile a contatto con una sofferenza psicologica dell’adolescente che ha subito importanti trasformazioni rispetto al passato, trasformazioni che è necessario conoscere per chi si trova ad occuparsi del minore seppure, come detto, non dal punto di vista strettamente sanitario. Coerentemente con quanto segnalano gli esperti, e senza entrare in questa sede nel dettaglio di tale questione, da un punto di vista prettamente psicopatologico, si assiste ad un accentuarsi dell’incidenza dei disturbi di personalità, che si esprimono attraverso sintomi e manifestazioni comportamentali oggi sempre più difficilmente inquadrabili nei sistemi nosografici a disposizione. Da un punto di vista psico-sociale, invece, il crescere degli episodi di violenza che vedono coinvolti adolescenti, sia come agenti sia come vittime, ci invita a riflettere da una parte sullo specifico della condizione adolescenziale nella società contemporanea, dall’altra sul significato che tali episodi assumono oggi, alla luce di tutta una serie di cambiamenti che ora cercheremo sinteticamente di delineare.

Entrambi i dati segnalano che le tradizionali teorie psicologiche, che vedevano l’adolescenza come una fase di passaggio individuando il nucleo del disagio adolescenziale proprio nella sfida posta dai diversi compiti evolutivi cui l’adolescente doveva far fronte, è oggi messo in crisi, o se vogliamo reso più complesso, da una serie di altri fattori contestuali che riguardano, più in generale, i cambiamenti che hanno investito negli ultimi decenni la struttura sociale e familiare. Anche sulla base di tali cambiamenti, l’adolescenza è andata sempre più perdendo la sua valenza di fase di passaggio per diventare una fase di sospensione temporale dai confini indefiniti.Se prima quindi l’elemento più evidente dell’adolescenza era il conflitto con le figure genitoriali, e con l’autorità in generale, oggi assistiamo ad una sorta di apparente pacificazione tra le generazioni, che caratterizza le famiglie moderne o, come direbbe Bauman, post-moderne. Non a caso, il rapporto esistente tra la realtà dei nuovi adolescenti e le modalità di esercizio della funzione educativa da parte degli adulti costituisce un argomento centrale anche nel dibattito socio-psicologico attuale. L’interpretazione del ruolo genitoriale che si realizza nella così detta ‘famiglia affettiva’ trova espressione non solo nelle modalità di regolazione delle dinamiche interpersonali, ma anche nel modo in cui oggi viene assolta la funzione educativa.

L’esercizio di questa funzione sembra basarsi sulla convinzione secondo la quale è possibile una educazione neutrale, cioè non fondata sulla necessità di trasmettere ai figli valori e regole universali, quanto piuttosto di creare condizioni favorenti la libera espressione della loro personalità.

Obiettivo primario in questo nuovo tipo di famiglia è quello di favorire un clima relazionale intrafamiliare fatto di reciproca accettazione; laddove nella ‘famiglia normativa’ di stampo tradizionale l’accesso ai valori e alle norme sociali presentificate dai genitori, passava necessariamente attraverso una buona dose di repressione, e determinava una coloritura decisamente conflittuale della relazione. Questa particolare modalità di esercizio della genitorialità produce un clima relazionale sufficientemente pacificato: gli adolescenti si mostrano soddisfatti delle loro relazioni familiari (1), e non hanno da lamentarsi circa le regole che i genitori prescrivono o per altri aspetti, quali il poco tempo che trascorrono insieme a loro, che sembra oramai accettato come una realtà di fatto su cui si strutturano le dinamiche familiari. Tuttavia va segnalato che questa trasformazione implica anche il venir meno della funzione di “contenitore” educativo della famiglia. Infatti, a ben guardare, dietro questo quadro di ‘famiglia pacificata’ emergono alcuni segnali di disagio.

Come sottolinea P. Charmet (2), gli adolescenti, se utilitaristicamente apprezzano i vantaggi che tale clima relazionale comporta, ad un livello più profondo mostrano inquietudine per l’impossibilità di rinvenire solidi punti di riferimento. E’ in questo scenario che la richiesta di una autorevolezza, percepita come assente in ambito familiare, viene proiettata all’esterno. La sostanziale ‘latitanza’ dell’adulto e della sua funzione normativa, sono alla base di quella tendenza dell’adolescente a ‘farsi il suo Edipo con la polizia’, di cui parlano Benasayag e Schmit nel loro libro L’epoca delle passioni tristi: “Il giovane che deve esplorare la sua potenza, sperimentare i limiti della società, che deve insomma affrontare tutte le funzioni tipiche dei riti di passaggio dell’adolescenza occidentale, non trovando un quadro familiare sufficientemente stabile, sposta la scena nella città, nel quartiere.” (3) In sostanza, questa pacificazione apparente che caratterizza l’ambito familiare si regge, di fatto, su uno spostamento del conflitto da parte dell’adolescente in altri ambiti, come peraltro segnalato dall’esasperazione delle sfide con la morte che altro non sono, dal punto di vista simbolico, che trasposizioni dei riti di passaggio che caratterizzavano l’epoca pre-moderna.

Uso e abuso di sostanze e nuove modalità di consumo come facilmente intuibile, parallelamente a queste trasformazioni che attraversano l’ambito sociale e famigliare, e che come detto riguardano anche il concetto stesso di adolescenza e la lettura del disagio che la caratterizza, è rintracciabile anche una significativa trasformazione della fenomenologia dei comportamenti di assunzione di sostanze e di dipendenza. Anche su questi cambiamenti ci soffermeremo brevemente perché, seppure essi come detto all’inizio non ricadono nelle specifiche competenze della Giustizia, è però evidente che hanno un peso legittimo nella costruzione del piano trattamentale.

Se da un lato c’è il dato allarmante dell’abbassamento dell’età della prima assunzione di sostanze, dall’altro si è sempre più in difficoltà nel definire, sia quantitativamente sia qualitativamente, un fenomeno che non risponde più alle tradizionali interpretazioni di esso, utili fino a qualche decennio fa. Gli elementi di novità consistono non tanto nelle sostanze utilizzate, quanto piuttosto nelle modalità di approccio alla sostanza e negli atteggiamenti- ad un tempo cognitivi, emotivi e relazionali – che sottendono il consumo di queste sostanze. E’ per questo che piuttosto che di “nuove droghe”, termine largamene utilizzato in letteratura, sarebbe più corretto parlare di “nuove modalità di consumo”. Un corollario di queste nuove modalità di consumo è il fenomeno della poliassunzione nel quale “l’innamoramento” per una determinata sostanza viene sostituito da una propensione generalizzata verso i consumi che, come ben ci ricorda Bauman, è indissolubilmente legata ad una più generale esasperazione consumistica anche rispetto ad esperienze, prodotti, rapporti, ecc..I nuovi profili di consumo si manifestano quindi attraverso il ricorso ad una pluralità di “vecchie” e “nuove” droghe: il nuovo consumatore è soprattutto un policonsumatore.

D’altra parte, la novità delle modalità di consumo chiama immediatamente in causa i cambiamenti intervenuti nel soggetto dei consumi: il profilo del “nuovo consumatore” è distante sotto molti aspetti da quella del “vecchio consumatore” di sostanze. L’elemento di maggior distanza tra “nuovo” e “vecchio” consumatore sta nella piena adesione del primo ai valori predominanti, nella sua piena integrazione sociale: adesione e integrazione che egli ricerca attivamente, laddove il “vecchio” consumatore si poneva deliberatamente ai margini della società, partendo da una posizione di contestazione dei modelli culturali prevalenti (4).

A tale proposito si parla oggi di invisibilità del consumatore, a cui si accompagna una seconda caratteristica che è quella dell’ubiquità sociale: la sostanza, nel caso delle nuove modalità di consumo, sembra costituire uno strumento per entrare nella realtà, un mezzo per mantenere con maggiore facilità la propria posizione sociale assolvendo apparentemente in modo meno faticoso ai compiti che essa richiede. Questo bisogno di ricerca ed esplorazione, nel caso delle cosiddette nuove droghe sembra dirigersi proprio verso l’esterno: la definizione stessa di sostanze empatogene enfatizza questo aspetto, esse vengono ricercate perché inducono un innalzamento della performance e consentono il superamento dei limiti soggettivi. Tutto ciò si riflette anche in una minore consapevolezza da parte del consumatore rispetto alla propria dimensione di dipendenza e all’insieme di fattori che la determinano, soprattutto se a ciò si aggiunge il fatto che la dipendenza oggi non è più legata solo a sostanze notoriamente nocive, ma anche a comportamenti comuni, largamente diffusi e ampiamente accettati dal sociale (vedi le dipendenze tecnologiche, i disturbi alimentari psicogeni, la diffusione del doping legato ad attività sportive, ecc.).

Anche in virtù di ciò, è attualmente molto difficile delineare un unico ed inequivoco profilo del consumatore attuale che oggi ha mille e nessun volto, e sembra rientrare in quelle forme di identità patchwork tipiche delle generazioni cresciute nella cultura postmoderna o delle identità a palinsesto della società dell’incertezza(5). La tendenza emergente sembra essere quella di un polimorfismo della costruzione identitaria che porta a privilegiare un adattamento autoplastico all’ambiente, modificando abitudini e stili comportamentali in funzione delle richieste dei differenti contesti. In tale modalità adattiva, coerente con la richiesta di flessibilità che caratterizza l’attuale fase storica e con le esigenze poste dalla società dei consumi, si inserisce il polimorfismo dei fenomeni di consumo di sostanze.Riassumendo, si può quindi dire che oggi il profilo del “nuovo” consumatore può essere quello di un poliassuntore, il cui consumo di sostanze è spesso limitato al weekend o alle occasioni sociali, nelle quali la funzione della sostanza è quello di offrire una sorta di autoterapia finalizzata al superamento delle inibizioni.

Minorenni tra devianza e consumo di sostanze: il ruolo della Giustizia Minorile

Qual è in questo nuovo scenario, di cui abbiamo cercato di delineare a grandi tratti alcune caratteristiche, il ruolo specifico della giustizia minorile? Intanto è noto che vi è tra i minori in carico alla giustizia minorile una quota minoritaria di soggetti che entrano nel sistema della giustizia per reati legati al consumo e allo spaccio di sostanze. Va specificato che, in molti casi, i reati legati allo spaccio non hanno all’origine anche un problema di consumo da parte dell’autore di reato, in altri casi si tratta invece di reati (spaccio, furto, ecc.) effettivamente legati all’uso e abuso di sostanze. In particolare, come evidenziano i dati relativi al 2008, la maggior parte degli assuntori di sostanze stupefacenti è di cittadinanza italiana (79%) mentre, per quanto riguarda gli stranieri, i più rappresentati sono i marocchini.

Per ciò che concerne i reati a carico, quello di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti rimane il più rappresentativo (57% del totale), seguito dai reati contro il patrimonio (36%), mentre quelli contro la persona sono meno frequenti (6%).

I cannabinoidi rimangono le sostanze maggiormente consumate (77% dei casi), seguiti dalla cocaina (9%) e dagli oppiacei (9%).

L’uso di cannabinoidi è maggiore per gli italiani che non per gli stranieri (rispettivamente 80% e 68%), mentre l’uso di eroina è riferibile per il 11% agli stranieri e per l’8% per gli italiani. In riferimento all’età, si rileva che la cocaina rappresenta il 10% delle sostanze assunte tra i minori della classe d’età 16-17 e tra gli ultradiciottenni, mentre è il 5% nella classe d’età 14-15 anni.

La stessa tendenza si registra per quanto riguarda il consumo di eroina (11% degli ultradiciottenni e percentuali minori per le altre classi d’età). I cannabinoidi sono invece maggiormente diffusi tra le classi d’età più basse (87% dei 14-15 anni, 77% dei 16-17 anni, 71% degli ultradiciottenni).

Per gli stranieri spesso si tratta di ragazzi senza permesso di soggiorno, senza famiglia e spesso senza fissa dimora, provenienti da paesi in cui vivono, probabilmente, in condizioni di maggiore disagio. Secondo informazioni pervenute dai servizi minorili risulta poi che l’abuso di sostanze si caratterizza come poliassunzione di sostanze stupefacenti e alcol.

L’uso di sostanze da parte di minori stranieri sembra essere legato allo spaccio o ad un consumo normale ed abituale non percepito come sintomo di devianza in quanto culturalmente accettato nel paese di origine, come nel caso delle popolazioni provenienti dal nord Africa(6)

I dati danno conto di questo segmento di soggetti all’interno del circuito della giustizia minorile che pone, per le specificità di cui è portatore, un problema di ordine trattamentale reso ancora più complesso dal cambiamento delle modalità di assunzione e del profilo del consumatore, secondo quanto prima descritto. Inoltre va tenuto presente anche un ulteriore elemento di complessità introdotto dai nuovi riferimenti normativi che hanno modificato l’assetto delle competenze e degli ambiti di intervento per quanto riguarda il ruolo degli psicologi, e quindi dell’intervento sanitario, all’interno del sistema della giustizia minorile.

Con il DPCM 1° aprile 2008, predisposto dal Ministero della Salute, di concerto con il Ministero della Giustizia, dell’Economia e della Funzione Pubblica e dopo l’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, sono state trasferite al SSN tutte le funzioni sanitarie e le relative risorse finanziarie, umane e strumentali afferenti la medicina penitenziaria. Tale passaggio di competenze richiede come da allegato A del DPCM “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale” la definizione a livello locale di accordi interistituzionali tra i referenti delle Regioni, delle ASL e i Centri per la Giustizia Minorile e i Servizi Minorili di rispettiva competenza territoriale per garantire la continuità nell’erogazione del servizio e del trattamento terapeutico nei confronti dei minorenni sottoposti a procedimento penale. Al fine poi di gestire la complessità di tale passaggio e garantire l’omogeneità degli interventi su tutto il territorio nazionale sono stati attivati presso la Conferenza Unificata due Tavoli Interistituzionali previsti dal DPCM (il Tavolo di Consultazione permanente sulla sanità penitenziaria e il Tavolo Paritetico sugli OPG).In particolare il tavolo sulla sanità penitenziaria ha elaborazione un accordo ‘Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio sanitario nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale’, che disciplinano modalità, criteri e principi del nuovo assetto della medicina penitenziaria. In considerazione di quanto sopra, i Centri per la giustizia minorile e i servizi minorili che hanno storicamente operato, tramite accordi di programma e protocolli, con le Aziende ASL e i SERT per gli interventi trattamentali nei confronti dei minori ristretti in I.P.M.(istituti penale per i minorenni), ospiti delle Comunità ministeriali, dei C.P.A.(centri di prima accoglienza) o in carico all’USSM (uffici di servizi sociali), hanno attivato le procedure per l’attualizzazione delle collaborazioni secondo i riferimenti definiti dal DPCM e dalle Linee di indirizzo sopra citate. Lo scenario attuale prevede, pertanto, che l’assistenza ai soggetti tossicodipendenti sia garantita dal Ser.T. dell’Azienda Sanitaria, competente per territorio, che stabilisce rapporti di interazione clinica, sia con i servizi minorili che con la rete dei servizi sanitari e sociali che sono coinvolti nel trattamento e nel recupero dei tossicodipendenti. La presa in carico del tossicodipendente prevede l’attuazione delle misure preventive, diagnostiche e terapeutiche che riguardano sia l’aspetto clinico che quello della sfera psicologica. Alla luce di questo nuovo assetto normativo, e quindi organizzativo, è necessario ridefinire anche le funzioni e le responsabilità che attengono alla giustizia minorile.

Se, come detto, la presa in carico del minore sotto l’aspetto strettamente sanitario è ora posta all’esterno, e attiene ai servizi sanitari, alla giustizia rimane la competenza rieducativa che però non può prescindere da tutti quegli elementi di complessità fin qui delineati. Complessità che rende necessario innanzitutto individuare le competenze che attengono alla giustizia minorile, per integrarle con quelle degli altri servizi, al fine di costruire progetti terapeutici globali e multimodali. In tal senso, una prima questione da dirimere è quella riguardante la cosiddetta “doppia diagnosi”, di cui la letteratura psicopatologia negli ultimi anni si è molto occupata.

Ovvero, il comportamento di dipendenza rappresenta l’epifenomeno di una organizzazione psicopatologica della personalità dell’adolescente, oppure esso va considerato quale tratto e disturbo primario sul versante socio-patico? In altre parole, il disturbo psicopatologico viene “nascosto” dall’uso di sostanze o, al contrario, è da esse scatenato? E’ chiaro che la propensione verso l’una o l’altra ipotesi, entrambe ampiamente dibattute in letteratura, comporta scelte trattamentali differenti, l’una più schiacciata sul versante della cura psichiatrica, l’altra più orientata al livello rieducativo e “correttivo”.

Proprio rispetto al problema posto dai casi di doppia diagnosi va detto che sono scarse le strutture di tipo comunitario dedicate ai soggetti che necessitano di un trattamento legato e al disturbo psicopatologico e al problema di assunzione di sostanze. Se infatti questi casi possono rappresentare un segmento limitato dell’utenza all’interno degli Istituti Penali Minorili, il loro numero aumenta di significatività se si considerano anche tutti i minori in carico al servizio della giustizia minorile. Si pone quindi il famoso problema del lavoro di rete tra servizi, volto alla costruzione di un sistema integrato multisettoriale e multispecialistico in grado di offrire all’adolescente un progetto terapeutico individualizzato, integrato e multimodale. La necessità di lavorare in rete non costituisce di certo una novità né per il sistema della giustizia minorile né tanto meno per i servizi territoriali, tuttavia essa sembra tutt’ora impegnare le varie amministrazioni in una sfida complessa e ancora lontana dalla sua piena realizzazione.

E ciò tanto più se il lavoro di rete viene inteso non come semplice operazione di invio del minore ai servizi territoriali competenti, o scambio di informazioni tra un servizio e l’altro, ma come strumento di costituzione di un’equipe di lavoro formata dai vari attori sociali preposti ad occuparsi, con funzioni diverse e sulla base delle specifiche competenze, del minore.

A tale scopo, gli interventi di ordine sanitario nei confronti dei minori ristretti che presentano un problema di assunzione di sostanze, pur mantenendo la propria specificità, sono parte di un intervento socio-sanitario-educativo che si attua all’interno del contesto penale, il quale caratterizza ulteriormente la qualità dell’azione dei soggetti coinvolti. La presa in carico di questi minori, così come di tutti quelli che entrano in contatto con le strutture della Giustizia minorile, avviene a partire da una valutazione multidisciplinare che deve essere fatta da una equipe di operatori: medici, psicologi, educatori, assistenti sociali da attuarsi anche in tempi successivi che consenta di evidenziare le caratteristiche del minore e i suoi bisogni “assistenziali” (sanitari, educativi e sociali) rispetto ai quali costruire un programma di presa in carico che preveda tutti gli interventi necessari individuando contestualmente gli enti e gli operatori responsabili della loro attuazione. C’è da dire che la valutazione multidisciplinare congiunta consente di attuare anche tutti gli interventi necessari a risolvere situazioni di urgenza.Da ciò consegue che soprattutto per i soggetti minorenni e giovani adulti che presentano disturbi psicopatologici, alcol dipendenza, tossicodipendenza o portatori di doppia diagnosi, sono necessarie non solo una valutazione specialistica – che si integri con quelle di diversa natura – da realizzarsi in tempi relativamente brevi ma anche eventualmente l’immediato collocamento in strutture di cura – si pensi ad esempio a soggetti che presentano sindromi acute o comunque la previsione di interventi terapeutico(7) . Nello specifico dei minori con problemi di dipendenza, sono state in tal senso già avviate da questa amministrazione progettualità basate su un intenso lavoro di rete. Presso l’IPM Meucci di Firenze, nel corso del 2003 è stato attivato il progetto Aladino in collaborazione con il SerT, il C.G.M di Firenze, la Cooperativa sociale CAT, il CeSDA (Centro Studi Dipendenze e Aids di Firenze). Le finalità del Progetto sono state quella di modificare i comportamenti a rischio legati all’uso e all’abuso di sostanze stupefacenti, quella di offrire una maggiore informazione e sensibilizzazione sulle opportunità terapeutiche e riabilitative rese disponibili dai servizi pubblici, dagli Enti Ausiliari e dall’Associazionismo, oltre che una più approfondita conoscenza delle condizioni di vita dei minori stranieri accompagnati e dei servizi a questi rivolti.Allo stesso modo, presso l’IPM Malaspina di Palermo è stata avviata la collaborazione con medici ed esperti del Ser.T. che effettuano interventi specifici di consulenza e presa in carico di giovani detenuti portatori di problematiche legate all’uso di sostanze stupefacenti e alcoliche, individuando con il personale dell’Area Tecnica interventi trattamentali individualizzati (vedi inserimenti in comunità terapeutiche, trattamenti farmacologici, etc.) come previsto dalla legge sugli stupefacenti di cui al D.P.R. 309/90. Sempre a Palermo, sono stati anche realizzati incontri con i giovani detenuti di informazione e prevenzione su tematiche diverse (uso e abuso di sostanze alcoliche e sostanze stupefacenti), realizzati all’interno dei gruppi-classe e che hanno coinvolto nella fase progettuale sia l’équipe del Ser.T. sia l’équipe tecnica dell’Istituto e per quanto concerne la fase operativa anche gli insegnanti della scuola elementare e media che operano all’interno di questa struttura. Tuttavia ci rendiamo conto che quello del lavoro di rete tra le varie istituzioni è una sfida ancora aperta se consideriamo che oggi, ancor meno che nel passato, la complessità assunta dalle manifestazioni dell’uso e abuso di sostanze non possono trovare risposte efficaci in un interlocutore unico, mentre necessitano invece della forte coesione tra enti e servizi finalizzata a costruire un sistema di protezione che può esser immaginato come una vera e propria rete capace di avvolgere e contenere il minore.ConclusioniPremettendo che sarebbe interessante capire quanto i paradigmi interpretativi attuali rispecchino effettivamente la realtà osservata, cioè il minore adolescente e il suo disagio, e non l’osservatore di tale realtà, tali paradigmi evidenziano quale elemento caratterizzante l’adolescente contemporaneo, la confusione e lo stato di sospensione temporale e spaziale (che assume poi le forme dei ben noti fenomeni di “espansione dell’adolescenza” anche fino ai 30 anni). Se è vero che tale confusione, da una parte rappresenta uno dei tratti caratteristici dell’adolescenza, dall’altra è il riflesso, come detto prima, di una molteplicità di trasformazioni che hanno investito ambiti diversi (da quello familiare a quello sociale), allora è necessario costruire insieme interventi che prevedano un’integrazione tra servizi, e quindi tra competenze differenti. Il rischio che vogliamo però segnalare, e quindi scongiurare, è che questo lavoro di rete entri in una sorta di corto circuito ovvero in un sovrapporsi di interventi, giustapposti, se non addirittura in contrasto tra loro.

Un esempio attuale di tale rischio è il conflitto, che diventa sempre più evidente, tra l’istituzione scuola e l’istituzione famiglia, spesso divisi e frammentati rispetto ad interventi educativi che non di rado risultano essere in antitesi l’uno con l’altro, finendo per rafforzando la sensazione dell’adolescente di non poter individuare punti di riferimento stabili. Il rischio che vogliamo segnalare è quindi quello di cadere, per restare in tema, in una progettualità di interventi pachtwork, figli della stessa confusione a cui essi si propongono di dare risposta. E’ proprio l’analisi critica dei limiti e dei fattori di debolezza degli interventi attuali e le considerazioni sull’aspetto della confusione fatte prima, che spinge la giustizia minorile a riflettere su come sviluppare azioni di contenimento, inteso in senso winnicottiano, del minore.

E’ su questo ambito che vogliamo impegnarci per contribuire al superamento di tutti quegli aspetti di frammentazione e solitudine che rendono il disagio adolescenziale di difficile intercettazione per gli operatori e le istituzioni, i quali finiscono a loro volta per rimanere vittime dello stesso isolamento che si prefiggono di contrastare. In tal senso la giustizia si sta interrogando su quali strategie mettere in campo per costruire un sistema protettivo intorno al minore, costituito da una pluralità di soggetti interagenti tra loro, che ha come finalità ultima quella di potenziare il “capitale sociale” dei giovani, inteso quale bagaglio relazionale e valoriale che un soggetto costruisce nel corso della propria esistenza, in una determinata società.Lo sviluppo e il rafforzamento del capitale sociale potrebbe infatti costituire un efficace deterrente rispetto al gesto violento che, alla luce di quanto detto, nell’attuale società posmoderna può essere letto quale modo distorto di affermazione della propria individualità, in un contesto nel quale l’impoverimento della dimensione relazionale, del rapporto interpersonale affettivamente saturo, sembrano aver ridotto la possibilità per l’adolescente di ricevere conferma e riconoscimento dall’altro. Nel gesto violento, così come nell’atto vandalico, non sembra più prevalente l’aspetto della sfida e della trasgressione delle norme; piuttosto, tali fenomeni possono essere visti come effetti prodotti dall’esperienza di isolamento, di delegittimazione identitaria e di perdita di senso(8)

.Milano, 18 novembre 2010

il Direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento giustizia minorile S. Pesarin

NOTE:(1) ICARO, Indagine sugli stili di consumo delle cosiddette “nuove droghe” a Cagliari, Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, Casa Editrice Psicoanalisi Contro, Roma, 2004.(2) Ragazzi sregolati. Regole e castighi in adolescenza (a cura di), (Franco Angeli, 2001).(3) Benasayag M., Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2004.(4) ICARO, Indagine sugli stili di consumo delle cosiddette “nuove droghe” a Cagliari, Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, Casa Editrice Psicoanalisi Contro, Roma, 2004.(5) Z.Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1994.(6) Dati Giustizia Minorile 2008(7) Conferenza Unificata Stato Regioni, Linee di indirizzo per l’assistenza ai minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria, 26 Novembre 2009.(8) U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007.

Minori vittime e autori di reati a sfondo sessuale – “Sex Offender”

Attività svolte dagli uffici di servizio sociale per i minorenni
rilevazione anno 2011

1. INTRODUZIONE

Il presente documento espone le attività di assistenza e sostegno realizzate nell’anno 2011 dai funzionari della professionalità di Servizio Sociale afferenti ai 29 Uffici di Servizio Sociale per i minorenni che insistono sul territorio nazionale nei confronti dei minori autori e vittime di reati a sfondo sessuale ed è curato dalla Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari ed effettuato con la fattiva collaborazione dei predetti Uffici.

2. OBIETTIVI DELLA RILEVAZIONE

Lo scopo della presente rilevazione è documentare sotto il profilo quantitativo e qualitativo le caratteristiche anamnesiche, personali, familiari e di contesto sia dei minori vittime che degli autori di reato a sfondo sessuale, nonché di rilevare le modalità di intervento dei Servizi minorili nei loro confronti.

Si sente l’esigenza, da una parte di conoscere il fenomeno della violenza sessuale commessa da minori e in danno dei minori, dall’altra di conoscere se e come si stia evolvendo il fenomeno, per mettere a fuoco modalità di intervento sempre più appropriate sia nel trattamento diretto degli utenti sia nel campo della prevenzione del fenomeno.

Lo scopo ultimo, infine, è anche quello di individuare eventuali punti da sviluppare all’interno di proposte di legge affinchè l’esercizio dei principi e dei diritti dei minori, sanciti a livello internazionale attraverso nella fattispecie dalla Convenzione di New York del 1989 e da quella di Lanzarote del 2007, dalla Costituzione e recepiti nel nostro ordinamento dalla normativa nazionale di settore, siano adempiuti in modo esaustivo ed efficace.

Il documento vuole anche testimoniare alla società civile, in un’ottica di “rendicontazione” della pubblica Amministrazione, il lavoro trattamentale svolto dai Servizi della Giustizia minorile nei confronti degli “autori” e il lavoro di assistenza e supporto all’Autorità Giudiziaria ai minori e alle famiglie delle “vittime” svolto dagli Uffici di Servizio Sociale per i minorenni.

In tale ottica, uno specifico paragrafo evidenzia gli accordi stipulati e le progettualità sviluppate con gli attori sociali del territorio sulla tematica in questione.

Un ulteriore paragrafo è dedicato alla partecipazione dei  funzionari degli USSM ad attività di aggiornamento e/o formazione sul tema, nonché alla segnalazione di eventuali bisogni formativi da parte degli stessi, considerato che, soprattutto per le vittime, è richiesta una specifica formazione.

3. MINORENNI VITTIME DI REATI A SFONDO SESSUALE

3a. Quadro normativo di riferimento per le vittime di reati a sfondo sessuale

Dal 1996 al 2006 il Parlamento ha emanato tre normative concernenti i reati a sfondo sessuale che tengono in debito conto i mutamenti culturali e sociali avvenuti alla fine del XX secolo con l’avvento di internet e la “globalizzazione” della comunicazione di immagini e video: la legge 15 febbraio 1996, n. 66 “Norme contro la violenza sessuale”, la legge 3 agosto 1998, n. 269, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, la legge 6 febbraio 2006, n. 38 “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”.

Tali normative recepiscono, come anzidetto, i mutamenti culturali e sociali avvenuti alla fine del XX secolo per cui i reati sessuali diventano reati contro la persona e non più contro la moralità e soprattutto tengono conto degli effetti della globalizzazione e dell’utilizzo sempre più frequente e diffuso di internet. Per alcuni reati, ad esempio la prostituzione minorile, il turismo sessuale e la detenzione di materiale pornografico minorile, viene introdotta la perseguibilità degli autori di reato anche per fatti commessi all’estero se compiuti da cittadini italiani ovvero in danno di cittadini italiani. Inoltre, in un’ottica di prevenzione della recidiva viene prevista l’istituzione del fondo per la prevenzione e la cura delle vittime e degli autori di reato.

Gli Uffici di Servizio Sociale per i minorenni del Dipartimento Giustizia Minorile seguono le vittime di reati a sfondo sessuale ai sensi del comma 3 dell’art.11 della legge 66/1996. Rispetto all’assistenza fornita alle “vittime” è bene rammentare che questo Dipartimento Minorile ha emanato specifiche disposizioni con la circolare 9/2001 del 1º giugno 2001.

Le normative suddette, in particolare le leggi 269/98 e 38/2006, hanno previsto numerose azioni che, a vari livelli, perseguono l’obiettivo di contrastare i reati di violenza sessuale, prostituzione e pedopornografia, quali:

  • l’istituzione presso il Ministero dell’Interno del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete internet,
  • Istituzione dell’Osservatorio per la il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile presso il Dipartimento per le pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri
  • l’istituzione presso il predetto Osservatorio di una banca dati, in cui vengono contemplate le azioni di contrasto alla commercializzazione di materiale pedopornografico su la rete internet affidate alla polizia postale e giudiziaria,
  • l’introduzione di obblighi per i fornitori dei servizi e per i fornitori di connettività delle reti di comunicazione elettronica.

Nel quadro degli interventi a tutela dei minorenni vittime di reati a sfondo sessuale, è opportuno citare la Carta di Noto, redatta nel giugno 1996, che costituisce un orientamento per l’”ascolto” del minore vittima di reati a sfondo sessuale durante il procedimento giudiziario in quanto fornisce indicazioni precise in merito alla modalità tecnico-operative (audio-video registrazione) per l’ascolto della testimonianza del minore in caso di abuso sessuale, ascolto che deve avvenire sempre in presenza di un operatore specializzato e specificatamente formato che fornisce assistenza psicologica al minore. Tali orientamenti intendono tutelare la sfera psicologica ed emotiva del minore che rende la propria testimonianza in un processo in cui è la parte lesa.

Un’altra tappa importante concernente la tutela dei diritti dei minori in tale ambito è la recente approvazione da parte del Parlamento della legge 1° ottobre 2012, n. 172 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno” la quale punta ad un rafforzamento della tutela e della protezione giuridica dei minori attraverso una serie di  misure. Questo Dipartimento Minorile ha emanato, nel merito, la circolare prot. n. 39209 del 13/11/2012.

Tra le novità maggiormente rilevanti apportate dalla legge 172/2012 concernenti le “vittime” si evidenzia:

  • L’art. 4, comma 1, lettera v) che modifica l’art. 609 decies del codice penale ed estende quanto previsto dall’art. 11, comma 3º, della legge 66/1996 anche per i reati previsti dagli artt. 600 “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù ”, 600 bis “prostituzione minorile”, 600 ter “Pornografia minorile, 600 quinques “Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile”, 601 “tratta e commercio di persone”, 602 “Acquisto o alienazione e commercio di schiavi” del codice penale oltre che a quelli già previsti dall’art. 609 decies “Adescamento di minorenni”;
  • L’art. 5, lettere c), d) ed f), che modifica vari articoli del c.p.p., prevedendo, nei procedimenti per delitti di sfruttamento sessuale di minori, di tratta di persone, di violenza sessuale e di adescamento di minori, che l’assunzione delle informazioni da minorenni avvenga con l’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nel corso delle indagini preliminari, rispettivamente dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dal difensore;
  • L’art. 9 che reca modifiche al testo unico in materie di spese di giustizia, estendendo il gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal D.P.R. 115/2002, a favore delle vittime dei delitti di sfruttamento sessuale di minori, di corruzione di minorenne, di adescamento di minorenne, di tratta di persone oltre a quelle di violenza sessuale.


3b. Dati statistici relativi ai minori vittime di reati a sfondo sessuale

I dati statistici più recenti disponibili per gli USSM sono riferiti all’anno 2009. I minori complessivamente presi in carico dai Servizi nella predetta annualità risultano essere 184.

MinorenniItalianiStranieriTotale
MFTMFTMFT
Segnalati22951172121424107131
Per i quali sono state attivate azioni da parte degli USSM31991302101233109142
In carico per periodi precedenti al 2009123042000123042
Totale presi in carico431291722101245139184

3c. Nazionalità, genere sessuale, fascia di età delle vittime di reato a sfondo sessuale 

Come precedentemente anticipato, l’art. 11, comma 3° della legge 66/1996 prevede che “al minorenne sia assicurata l’assistenza dei Servizi Minorili dell’Amministrazione della Giustizia e dei Servizi istituiti dagli Enti locali. Dei Servizi indicati al terzo comma si avvale altresì l’Autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento”.

Nell’ambito di tale norma, per i reati previsti al comma 1, dell’art.11, come modificato dalla legge 172/12, l’Autorità giudiziaria ha facoltà di interpellare, o meno, i Servizi Minorili della Giustizia per l’assistenza al minore vittima di reati a sfondo sessuale durante le fasi del processo.

Dalla presente Rilevazione risulta che l’Autorità Giudiziaria si è avvalsa di 17 USSM per l’assistenza alle vittime e precisamente nei distretti di: Ancona, Bologna, Bolzano, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Lecce, Messina, Napoli, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Sassari, Taranto e Trieste.

Viceversa 12  USSM e precisamente, Bari, Brescia, Catania, Firenze, Genova, Milano, Palermo, Perugia, Salerno, Torino, Trento e Venezia non vengono coinvolti dall’A.G. nell’assistenza alle vittime.

I minorenni vittime di reato a sfondo sessuale seguiti dagli Uffici di Servizio Sociale (USSM) per i minorenni nel 2011 risultano essere 144 (tavola 1). Raffrontando questo dato con i dati statistici riportati nel presente documento si rileva che dal 2009 al 2011 complessivamente c’è stata una diminuzione del numero dei casi, sebbene vi sia stato un incremento del numero di USSM coinvolti dall’A.G..

Rispetto alla nazionalità, l’87% di essi è di nazionalità italiana (125) ed il 13% è di origine straniera (19). I ragazzi di nazionalità italiana sono in numero nettamente maggiore dei ragazzi di origine straniera (Tavola1). Rispetto al genere, il 76% di essi risulta essere di genere femminile ed il 24% risulta essere di genere maschile (Tavola 2).

La fascia di età a cui appartengono le vittime di reati a sfondo sessuale corrisponde nel 45% dei casi alla fascia di età 14-17 anni, nel 24% dei casi alla fascia di età 11-13 anni, nel 21% dei casi alla fascia d’età 6-10 anni e nel 7% dei casi, l’età delle piccole vittime è compresa tra 0 e 5 anni. Per 5 minori gli USSM non hanno potuto definire con esattezza l’età. La fascia d’età adolescenziale, 14-17 anni, prevale tra le vittime di reati a sfondo sessuale (Tavola 3).

Tavola 1Tavola 2Tavola 3
NazionalitàValori assolutiPercentualeGenere
sessuale
Valori assolutiPercentualeFascia d’etàValori assolutiPercentuale
Italiana12587%Maschio3524%0-5 anni107%
6-10 anni3021%
Straniera1913%Femmina10976%11-13 anni3424%
14-17 anni6545%
      non so53%
Totale144100%Totale144100%Totale144100%

3d. Relazione tra la vittima ed il reo, soggetto segnalante

 La relazione di conoscenza tra la vittima e l’autore di reato risulta molto significativa. Il reato si svolge spesso tra persone che si conoscevano; l’autore del reato risulta appartenere al contesto amicale della vittima nel 36% dei casi, al contesto familiare nel 28% dei casi, risulta essere uno sconosciuto nel 19% dei casi ed un soggetto conosciuto tramite rete nel 4% dei casi. Per 19 casi gli USSM non hanno potuto definire in che relazione fossero la vittima e l’autore di reato. La vittima, pertanto, conosceva il soggetto che ha commesso il reato nell’64% dei casi.

Per 19 casi su 144 viene segnalata la presenza di un accordo con la Magistratura locale per la segnalazione dei casi agli USSM. La tavola 5 evidenzia in quale fase del procedimento l’A.G. coinvolge gli USSM. Nello specifico l’autorità segnalante risulta essere nel 49% dei casi il Tribunale per i minorenni, nel 34% dei casi la Procura, nel 7% dei casi il GIP, nel 6% dei casi la Questura e soltanto nel 1% dei casi il GUP. Nel caso di 4 minori gli USSM non hanno potuto definire il soggetto segnalante. Pertanto, nonostante i pochi accordi formali raggiunti, risulta del tutto evidente che sono prevalentemente gli Organi giudiziari a segnalare le vittime agli USSM (91%).

Relazione reo/vittimaValori assolutiPercentuale
Tra sconosciuti2719%
Familiare4028%
Di contesto5236%
Contatto tramite rete64%
Non so1913%
Totale144100%
SegnalanteValori assolutiPercentuale
Procura4934%
Gip107%
Gup11%
S.S. territorio00%
Trib. per i minorenni7249%
Questura86%
Non so43%
Totale144100%


3e. Azione di gruppo, attivazione della procedura per l’apertura di tutela, audizione protetta

Risulta che nel 78% dei casi il reato di violenza sessuale non è stato consumato in gruppo mentre nell’10% dei casi si è trattato di un reato di gruppo. Soltanto nell’8% dei casi è stata attivata la procedura per l’apertura di tutela e, nel 20% dei casi, l’ascolto della vittima si è svolto in una aula protetta secondo la normativa vigente. Viceversa nel 24% dei casi non è stata attivata la procedura per l’apertura di tutela e nel 58% dei casi l’ascolto della vittima, minorenne, non si è svolto in un’aula protetta. Non si è potuto definire se si è trattato di un’azione di gruppo per 17 casi, se era stata attivata la procedura per l’apertura di tutela per 99 casi e se l’audizione del minore si era svolta in un’aula protetta per 32 casi sul totale complessivo di 144 minori.

Tavola 6Tavola 7Tavola 8
Azione di gruppoValori assolutiPercentualeAttivazione della procedura
per l’apertura di tutela
Valori assolutiPercentualeAudizione protettaValori assolutiPercentuale
SI1410%SI118%SI2920%
NO11378%NO3424%NO8358%
Non so1712%Non so9968%Non so3222%
Totale144100%Totale144100%Totale144100%


3f. Modalità di raccordo degli USSM con S.S. Enti Locali/Centri anti-abuso e comunità/AA.SS.LL./Privato Sociale/altro e accordi stipulati con le Procure minorili ed ordinarie relativamente alla segnalazione di casi

Le Procure, ordinarie e minorili, con le quali gli USSM hanno stipulato degli accordi per disciplinare la segnalazione dei casi di minori abusati, sono relative ai territori di Cagliari, Roma, Catanzaro, Trieste, Reggio Calabria, Lecce, Messina e Caltanissetta.

Le percentuali dei dati riferiti alla tavola 9 sono state calcolate sulle risposte valide in quanto era possibile fornire una risposta multipla. Per 16 casi il dato non era rilevabile.

Nello specifico, i soggetti con i quali gli USSM hanno stabilito delle modalità di raccordo sono: nel 46% dei casi i Servizi Sociali degli Enti Locali, nel 25% dei casi le AA.SS.LL., nel 9% dei casi i Centri anti-abuso e le Comunità, nel 10% dei casi le Procure, nell’8% dei casi il Privato Sociale, altro nel 3% dei casi.

EnteValori assolutiPercentuale
S.S Enti Locali8846%
Procure2010%
Centri anti-abuso e Comunità189%
AA.SS.LL.5025%
Privato sociale118%
Altro63%

 * Percentuali calcolate esclusivamente sulle risposte valide.


3g. Modalità di assistenza alle vittime dei reati a sfondo sessuale da parte degli USSM

Gli USSM, così come previsto dal 3° comma dell’art.11 della legge 66/1996, svolgono un ruolo di sostegno alla vittima soprattutto durante l’iter giudiziario (45%) fornendo assistenza al giudice in udienza e attraverso colloqui con la vittima ed i familiari (26%), individuali con la vittima (10%), di raccordo con i Servizi territoriali (18%) a seconda del bisogno identificato. 

Anche in questo caso, le percentuali dei dati riferiti alla tavola 10 sono state calcolate sulle risposte valide in quanto era possibile fornire una risposta multipla. Per 14 casi il dato non era rilevabile. 

AssistenzaValori assolutiPercentuale
Durante l’udienza9045%
Inoltro ai servizi competenti3718%
Colloqui vittima e familiari5226%
Colloqui personali vittima2110%

* Percentuali calcolate esclusivamente sulle risposte valide

4. MINORI AUTORI DI REATI A SFONDO SESSUALE

4a. Quadro normativo di riferimento per gli autori di reati a sfondo sessuale

I Servizi della Giustizia minorile, in base alla normativa di settore, attuano un percorso individualizzato per ogni minore che entra nel circuito penale a seconda dei bisogni e delle specifiche caratteristiche del soggetto nonchè delle potenziali risorse riferite al contesto ambientale e familiare. Gli autori di reati a sfondo sessuale usufruiscono, pertanto, di un trattamento individualizzato che non si differenzia da quello degli altri minori in carico ai Servizi della Giustizia. Non esistono nel nostro circuito, a differenza di altri Paesi, modalità di presa in carico e trattamento differenziate per “categorie”, esistono bisogni specifici, personalizzati che vanno individuati e risolti al fine di favorire il processo di crescita evolutiva di ogni minore, indipendentemente dalla restrizione della libertà.

Si fa presente, tra l’altro, che con il DPCM 1° aprile 2008 tutte le funzione sanitarie svolte all’interno del circuito della Giustizia Minorile e dell’Amministrazione Penitenziaria sono state trasferite alle competenze del Servizio Sanitario Nazionale. Le Regioni garantiscono le prestazioni sanitarie ai soggetti del circuito penale minorile e degli adulti attraverso le Aziende Sanitarie Locali. Il predetto DPCM sancisce la parità tra persone detenute o internate e cittadini liberi nell’usufruire delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione.

Rispetto alle modifiche introdotte dalla legge 172/2012 precedentemente citata, si evidenziano quelle inerenti l’ordinamento penitenziario. L’art.7 modifica la legge 354/75 in materia di concessione di benefici, vincola il trattamento dei condannati per reati sessuali in danno di minori ai seguenti elementi:

  1. In particolare il comma 1, amplia il catalogo dei delitti rispetto ai quali l’accesso ai benefici penitenziari è subordinato ai risultati positivi dell’osservazione scientifica della personalità del detenuto; 
  2. il comma 2, subordina la concessione dei benefici alla valutazione positiva della partecipazione al programma di riabilitazione specifico, che sarà considerato dal Magistrato di Sorveglianza come elemento di valutazione per la concessione dei benefici;
  3. il comma 3, individua uno specifico trattamento psicologico cui possono sottoporsi i condannati per reati di sfruttamento sessuale dei minori con finalità di recupero e sostegno.

Si rammenta che l’art.16, comma 3, della Convenzione di Lanzarote già prevedeva che gli Stati “in conformità alla propria legislazione interna, prevedessero a che programmi o misure di intervengo venissero messi in atto o adattate per corrispondere ai bisogni connessi allo sviluppo dei bambini che abbiano commesso reati di natura sessuale, inclusi coloro che sono al di sotto dell’età della responsabilità penale, allo scopo di trattare i loro problemi di condotta sessuale”.


4b. Dati statistici relativi ai minori autori di reati a sfondo sessuale

Numero delitti e numero minorenni denunciati alle Procure c/o T.M. per violenza sessuale ed incidenza % sul totale dei delitti e dei minorenni denunciati dal 2000 al 2007.

Rispetto ai dati più recenti disponibili si evince che il numero dei delitti e dei minorenni denunciati  per reati a sfondo sessuale ha un andamento altalenante e sostanzialmente esiguo rispetto al totale dei delitti e dei minorenni denunciati alle Procure presso i Tribunali per i minorenni.

Annin. Delitti denunciati alle Procure c/o T.M. e
percentuale sul totale dei minorenni denunciati
n. Minorenni denunciati alle Procure c/o T.M. e
percentuale sul totale dei minorenni denunciati
Totale%Totale%
20004891%5661%
20016522%7512%
20025881%7141%
20035821%7141%
20047382%8992%
20055691%6771%
20066792%7832%
20076822%8172%

Complessivamente nel 2011 i minorenni autori di reati a sfondo sessuale che hanno fatto ingresso nei Centri di Prima accoglienza sono 28, negli Istituti penali per i minorenni sono 19, nelle Comunità sono 86.

TipologiaIngressi CPAIngressi IPMIngressi in Comunità
MFTMFTMFT
Violenza sessuale200201201268169
Atti sessuali con minorenne20210113013
Pornografia minorile213303303
Istigazione, sfruttamento, favoreggiamento, prostituzione303303101
TOTALI271281901985186

Nell’anno 2011 l’autorità giudiziaria minorile ha emesso n.176 provvedimenti di messa alla prova ai sensi dell’art.28 del D.P.R. 448/88 per reati di “violenza sessuale” commessi da minorenni, la cui durata media del “periodo di prova” corrisponde a 13 mesi.

E’ opportuno premettere che gli USSM non sempre hanno a disposizione gli elementi per tutti i quesiti posti. Pertanto, si è ritenuto di includere nel calcolo delle percentuali anche le informazioni non rilevabili (non so), a volte piuttosto copiose. I dati, seppur a volte parziali, sono comunque molto significativi.


4c. Nazionalità, genere sessuale, età anagrafica dei minori autori di reato a sfondo sessuale

I minorenni autori di reato a sfondo sessuale seguiti dagli Uffici di Servizio Sociale (USSM) per i minorenni nel 2011 risultano essere 387; di questi alcuni potrebbero essere stati presi in carico dagli USSM negli anni precedenti e, pertanto, potrebbero essere le stesse persone conteggiate lo scorso anno. Rispetto alla nazionalità, l’83% di essi è di nazionalità italiana (322) ed il 17% è di origine straniera (65). I ragazzi di nazionalità italiana sono in numero nettamente maggiori dei ragazzi di origine straniera. I minori stranieri appartengono a tutte le nazionalità del circuito penale minorile.

Nel questionario rivolto agli USSM è stata posta una domanda più specifica volta a comprendere se i ragazzi di origine straniera vivevano, dalla nascita, da meno o da più di un anno nel nostro Paese. In molti casi questa informazione non è stata classificata. Le informazioni comunque disponibili, indicano che su 65 minori di origine straniera, 19 risultavano vivere nel nostro Paese dalla nascita, 4 da meno di un anno e 50 da più di un anno.

PeriodoMinori di origine straniera
In Italia dalla nascita19
In Italia per un periodo > 1 anno50
In Italia per un periodo < 1 anno4
TOTALE65

Rispetto al genere sessuale, 97% dei minori sex offender risulta essere di genere maschile (377) e il 3% di genere femminile (10). Il genere maschile prevale nettamente su quello femminile.

Rispetto all’età, i minorenni autori di reato risultano avere nel 47% dei casi dai 14-15 anni (182) e nel 52% dei casi 16-17 (200). La fascia d’età 16-17 anni prevale moderatamente su quella 14-15 anni. Rispetto a 5 minori, non si è potuta precisare l’età.

Il dato che emerge molto evidente in queste tavole, e che desta qualche perplessità, è l’elevato numero di minori, n.105 presi in carico dall’USSM di Bari rispetto agli altri USSM, che non è giustificato né dai dati statistici sulla popolazione minorile residente nel distretto barese né dai dati statistici sui minori del circuito penale locale. Questo dato potrebbe significare molte cose diverse. Che i reati commessi nel distretto barese sono piuttosto gravi, quindi le misure penali sono più lunghe e quindi i ragazzi presi in carico dall’USSM di Bari sono la somma di quelli relativi agli anni pregressi. Oppure si potrebbe supporre che negli altri distretti il numero “oscuro” di minori denunciati per tali reati sia piuttosto alto e quindi che negli altri distretti sia notevolmente sottostimato il numero di minorenni denunciati per tali reati.

Tavola 1Tavola 2Tavola 3
NazionalitàValori assolutiPercentualeGenere sessualeValori assolutiPercentualeFascia d’etàValori assolutiPercentuale
Italiana32283%Maschio37797%14-15 anni18247%
Straniera6517%Femmina103%16-17 anni20052%
      non so51%
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4d. Titolo di istruzione, attività di formazione e stato occupazionale dei minori autori di reato a sfondo sessuale

Rispetto al titolo di istruzione il 14% dei minori autori di reati sessuali ha concluso la scuola primaria (53), il 64% ha concluso la scuola secondaria di 1º (251) e, il 17% ha concluso la scuola secondaria di 2º (65).

Per quanto concerne l’attività formativa, il 58% dei minori autori di reati sessuali frequenta attività di formazione (224) mentre il 39% no (152).

Per quanto concerne il livello di occupazione, l’85% dei ragazzi non risulta essere occupato (327) mentre solo il 12% risulta esserlo (48).

Una parte consistente dei giovani ha, dunque, il livello di istruzione della scuola secondaria di 1º (64%), è impegnato in attività di formazione (58%) e non risulta essere occupato (85%).

Gli USSM non hanno potuto definire il titolo di istruzione rispetto a n.18 minorenni, la frequenza di attività formative rispetto a 11 ragazzi ed il livello di occupazione rispetto a 12 minori.

Tavola 4Tavola 5Tavola 5 bis
Titolo di istruzioneValori assolutiPercentualeAttività di Formazione
al momento del reato
Valori assolutiPercentualeStato occupazionale
al momento del reato
Valori assolutiPercentuale
Scuola Primaria5314%SI22458%SI4812%
Scuola Secondaria di 1º25164%NO15239%NO32785%
Scuola secondaria di 2º6517%Non so113%Non so123%
Non so185%      
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4e. Dipendenza da sostanze stupefacenti e presenza di disturbi psichiatrici.

Le tabelle che seguono, in questo paragrafo e nei successivi, intendono esaminare la presenza di problematiche, personali o familiari, dei minori autori di reati sessuali, pregresse alla commissione del reato.

Per quanto concerne l’assunzione di sostanze stupefacenti da parte dei ragazzi autori di reati sessuali, l’89% non risulta farne uso in generale (345) e l’85% non ne faceva uso al momento del reato (330), mentre solo il 6% faceva uso di sostanze stupefacenti in generale (23) e il 7% ne faceva uso al momento del reato (26). Il dato rilevato evidenzia che, complessivamente l’uso di sostanze stupefacenti non è determinante nei ragazzi che hanno commesso reati a sfondo sessuale (Tavole 6 e 6 bis).

Non si è potuto definire se i minori facevano uso in generale di sostanze stupefacenti rispetto a 19 minori e se ne facevano uso al momento del reato rispetto a 31 minori sul dato complessivo di 387 minori.

Rispetto al campione esaminato, risulta che l’82% dei minori sex offender non presentava disturbi psichiatrici. Non si è potuto riscontrare questo dato rispetto a 18 minori.

Tavola 6Tavola 6 bisTavola 10
Assuntore di sostanze
stupefacenti in generale
Valori assolutiPercentualeAssuntore di sostanze
stupefacenti al momento del reato
Valori assolutiPercentualePresenza disturbi
psichiatrici
Valori assolutiPercentuale
SI236%SI267%SI5113%
NO34589%NO33085%NO31882%
Non so195%Non so318%Non so185%
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4f. Ciclo intergenerazionale della violenza dei minori autori di reato a sfondo sessuale

Rispetto al ciclo intergenerazionale della violenza si rileva che il 83% dei sex offender (321) non ha subito abuso fisico, l’83% non ha subito maltrattamenti (320) e l’80% non ha subito abuso psicologico (309). Viceversa, il 7% del campione preso in considerazione, ha subito abuso fisico (26), il 7% ha subito maltrattamenti (27), il 10% ha subito abuso psicologico (38). Si sottolinea la difficoltà degli USSM a reperire tali informazione e che, rispetto n.40 ragazzi, per ciascuna categoria, non hanno potuto indicare alcun dato.

Si constata che una piccola quota di ragazzi sex offender abusanti, dal 7 al 10 %, sono stati, a loro volta, abusati. 

Abuso fisicoValori assolutiPercentualeMaltrattamentiValori assolutiPercentualeAbuso psicologicoValori assolutiPercentuale
SI267%SI277%SI3810%
NO32183%NO32083%NO30980%
Non so4010%Non so4010%Non so4010%
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4f. Precedente presa in carico da parte dell’Ente locale, precedenti istituzionalizzazioni/ affidamenti familiari/adozioni dei minori autori di reato a sfondo sessuale.

Anche le tabelle che seguono intendono esaminare la presenza di problematiche, personali o familiari pregresse alla commissione del reato nei minori autori di reati sessuali.

Rispetto ai dati disponibili relativi alle tabelle di cui sopra, emerge che il 70% dei minori sex offender non era stato precedentemente preso in carico da parte dei S.S. degli Enti Locali, che l’85% di essi non aveva avuto precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozione.

Viceversa, il 27% dei minori sex offender era stato precedentemente preso in carico da parte dei S.S. degli Enti Locali, il 13% aveva avuto precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozione. Non si è potuta definire la precedente presa in carico da parte dell’Ente locale rispetto a 10 minori, su eventuali precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozioni rispetto a 7 minori sul totale complessivo di 387 minori. 

Tavola 8Tavola 9
Precedente presa in carico
da parte dell’Ente locale
Valori assolutiPercentualePrecedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozioniValori assolutiPercentuale
SI10627%SI5113%
NO27170%NO32985%
Non so103%Non so72%
Totale387100%Totale387100%


4g. Struttura familiare del minori autori di reato a sfondo sessuale

La rappresentazione della struttura familiare offre alcuni elementi di riflessione. Dai dati relativi al nucleo familiare dei ragazzi autori di reato a sfondo sessuale emerge che, in prevalenza, esso: è normocostituito (64%), è disgregato (64%), sono presenti altri fratelli o sorelle (69%), non è multiproblematico (54%), non presenta svantaggio economico (56%), non presenta patologie fisiche o psichiche (65%), non si trova in una situazione di isolamento, sociale, geografico o culturale (60%), non presenta comportamenti antisociali (65%), né forme di dipendenza da sostanze stupefacenti (74%), né relazioni di attaccamento problematiche (61%).

Viceversa il nucleo familiare non è normocostituito (18%), non è disgregato (28%), non sono presenti altri fratelli o sorelle (16%), è multiproblematico (27%), presenta svantaggio economico (30%), presenta patologie fisiche o psichiche (19%), si trova in una situazione di isolamento, sociale, geografico o culturale (28%),  presenta comportamenti antisociali (21%), forme di dipendenza da sostanze stupefacenti (7%), relazioni di attaccamento problematiche (21%).

I dati sotto riportati riepilogano il numero di casi per i quali gli USSM hanno potuto, o non hanno potuto definire la struttura familiare, che in questo caso risultano abbastanza consistenti.

Struttura familiare del minori autori di reato a sfondo sessuale
 Struttura familiareNormocostituitaDisgregataMultiproblematicaPresenza altri fratelli/sorelleSvantaggio economicoPresenza patologie fisiche/psichicheIsolamento geografico, sociale, culturaleComportamenti antisocialiForme di dipendenzaRelazione di Attaccamento problematica
SI24910810326811574110802982
NO7020921060217252231253285234
Non definito68707459556146547371

Nella tavola 11 sono riportati i valori assoluti relativi alla struttura familiare dei minori autori di reati a sfondo sessuale e nei grafici sottostanti sono riportate per ciascuna voce della “Struttura familiare” le singole percentuali. 

NormocostituitaValori assoluti%DisgregataValori assoluti%Multiproblematicavalori assoluti%Presenza fratellivalori assoluti%Svantaggio economicoValori assoluti%
SI24964%SI10828%SI10327%SI26869%SI11530%
NO7018%NO20964%NO21054%NO6016%NO21756%
Non definito6818%Non definito7018%Non definito7419%Non definito5915%Non definito5514%
Presenza patologievalori assoluti%Isolamento geografico,
culturale, sociale
valori assoluti%Comportamenti antisocialivalori assoluti%Dipendenzevalori assoluti%Relazione di attaccamento
problematico
valori assoluti%
SI7419%SI11028%SI8021%SI297%SI8221%
NO25265%NO23160%NO25365%NO28574%NO23461%
Non definito6116%Non definito4612%Non definito5414%Non definito7319%Non definito7118%


4h. Relazione di conoscenza tra la vittima e l’autore del reato, età della vittima del reato.

La relazione di conoscenza tra la vittima e l’autore di reato risulta molto significativa; il reato si consuma per lo più tra persone che si conoscevano. L’autore del reato risulta appartenere al contesto amicale della vittima nel 68% dei casi, al contesto familiare nel 13% dei casi, risulta essere uno sconosciuto nel 10% dei casi e un soggetto conosciuto tramite rete nel 6% dei casi.  La vittima, pertanto, conosceva nell’81% dei casi il soggetto, minorenne, autore del reato a sfondo sessuale.

L’età della vittima non è sempre individuabile (32% dei casi). Tra i dati rilevati risulta che le vittime appartengono nel 34% dei casi alla fascia di età 14-17 anni, nel 19% dei casi alla fascia di età 11-13 anni, nell’8% dei casi alla fascia d’età 6-10 anni e nel 5% dei casi hanno compiuto la maggiore età, soltanto nel 2% dei casi l’età delle vittime è compresa tra 0 e 5 anni. La fascia d’età adolescenziale, 14-17 anni prevale tra le vittime di minorenni autori di reati a sfondo sessuale. Gli USSM non hanno potuto definire quale era la relazione reo/vittima rispetto a 11 minori. 

Tavola 12Tavola 14
Relazione reo/vittimaValori assolutiPercentualeEtà della vittimaValori assolutiPercentuale
Tra sconosciuti3810%0 – 5 anni62%
familiare5113%6 – 10 anni328%
di contesto26568%11 – 13 anni7319%
contatto tramite rete226%14 -17 anni13534%
non so113%maggiore di 18 anni195%
   non definita12232%
Totale387100%Totale387100%


4i. Azione di gruppo, presenza di  maggiorenni nella commissione del reato.

La presenza di maggiorenni nell’ambito della consumazione del delitto è piuttosto ridotta: non risultano presenti figure adulte nell’82% dei casi, mentre risultano presenti persone adulte in grado a volte di manovrare ed influenzare il comportamento dei più giovani, nel 14% dei casi.

Nel 54% dei casi si è trattato di un’azione di gruppo, mentre nel 43% dei casi no. 

Gli USSM non hanno potuto definire se l’azione/reato era stata “di gruppo” rispetto a 10 minori e, se erano stati presenti maggiorenni al momento del reato rispetto a 14 casi. 

Tavola 13Tavola 13 bis
Azione di gruppovalori assolutiPercentualePresenza di maggiorennivalori assolutiPercentuale
SI21054%SI5514%
NO16743%NO31882%
Non so103%Non so144%
Totale387100%Totale387100%

4l. Presa in carico dei minori autori di reati a sfondo sessuale da parte dell’USSM congiuntamente con i S.S. degli Enti Locali, il Privato Sociale, altro. Appartenenza dei minori a sette.

I soggetti con i quali gli USSM lavorano congiuntamente sui casi di minorenni autori di reato a sfondo sessuale risultano essere, principalmente, i S.S. degli Enti Locali (42%), segue il Privato sociale (28%), poi le AA.SS.LL. (26%), e altri soggetti (4%). La prevalenza della collaborazione degli USSM si svolge con i S.S. degli Enti Locali.

Il 95% dei ragazzi oggetto della rilevazione, non risulta appartenere a sette. Vi risulta appartenere soltanto 1%, una percentuale del tutto trascurabile. Gli USSM non hanno potuto definire l’”appartenenza a sette” rispetto a 16 minori. 

Tavola 15Tavola 16
Presa in caricoValori assolutiPercentualeAppartenenza a sette
od organizzazioni
Valori assolutiPercentuale
S.S. Enti locali19942%SI31%
AA.SS.LL.12026%NO36895%
Privato sociale12828%Non so164%
Altro174%Totale387100%


i. Situazione giuridica e benefici concessi ai minori autori di reato a sfondo sessuale

Rispetto alla posizione giuridica e alle risposte valide, risulta che il 61% dei sex offender è imputabile, il 15% è indagato, il 6% è stato condannato e il 4% prosciolto. 

Tavola 17
Posizione giuridicaValori assolutiPercentuale
Indagato5915%
Imputato23361%
Condannato256%
Prosciolto144%
Non
definibile
5614%
Totale387100%


4l. Attività di trattamento

Nel sistema della giustizia minorile viene elaborato un piano trattamentale individualizzato per ciascun minorenne autore di reato. Rispetto alle risposte valide, risulta che gli autori di reato di cui si tratta sono stati impegnati in molteplici attività, tra cui, colloqui individuali (23%) e familiari (19%), interventi psicologici / psichiatrici (13%), attività scolastiche (10%), formative (7%), attività di volontariato (7%), attività socialmente utili (6%) e ricreative sportive (6%). Una piccola parte di essi è stato coinvolto anche in attività di mediazione penale (3%), attività di sostegno specifico alla relazione empatica e alla sessualità (3%), in attività culturali (2%), altre attività non rientranti nelle predette tipologie (1%).

Attività di trattamento 
 Piano trattamentale/Interventi (risposta multipla)Valori assolutiPercentuale
Colloqui individuali34523%
colloqui familiari29519%
interventi psicologici/psichiatrici19613%
Attività scolastiche15110%
attività formative1097%
attività socialmente utili946%
mediazione culturale70%
mediazione penale443%
attività ricreative/ sportive896%
sostegno specifico alla relazione empatica e alla sessualità383%
attività artistico/culturali252%
attività di volontariato1077%
altro181%

5. PARTECIPAZIONE AD ATTIVITA’ DI FORMAZIONE O PROGETTUALI

Sono state intraprese numerose iniziative di formazione ed aggiornamento a livello locale e nazionale sulla tematica in questione. Anche questo Dipartimento ha avviato percorsi di aggiornamento o progetti quali, “Italian Network for young offenders”, “Minori stranieri non accompagnati abusati” curate dall’Istituto Centrale di Formazione del Personale della Giustizia Minorile di Roma a cui ha partecipato l’USSM di Lecce.

Il Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell’Età evolutiva dell’Università La Sapienza di Roma ha dedicato un apposito modulo formativo per gli operatori del Centro per la Giustizia Minorile di Roma a cui hanno partecipato tutti gli operatori dell’USSM di Roma. Durante i moduli formativi sono stati illustrati i modelli di classificazione dei minori abusanti, le interpretazioni sociologiche relazionali, psicopatologiche e l’integrazione dei diversi modelli, nonché gli strumenti specifici per l’assessment degli abusanti sessuali.

Esiste un accordo di collaborazione tra l’USSM di Brescia ed il Centro per il Bambino e la Famiglia della ASL della provincia di Bergamo stipulato nel 2005 finalizzato alla valutazione, al sostegno e alla definizione del piano terapeutico nonchè alla conciliazione degli autori e delle  vittime di reati a sfondo sessuale.

Save the Children ha organizzato dei Seminari sulla tematica degli abusati e degli abusanti a cui hanno partecipato gli USSM di Catania e Potenza.

Il DGM ha realizzato un progetto di ricerca sui sex offender a cui hanno partecipato l’USSM di Catania

Alcuni USSM, Reggio Calabria, Catania, Lecce, Napoli, segnalano di aver attivato collaborazioni stabili a livello locale con i S.S. degli Enti locali, i Centri Antiviolenza del privato sociale e le AA.SS.LL. come risulta anche dalla rilevazione di cui sopra, finalizzate al sostegno di minori abusati e abusanti o alle vittime di grave trascuratezza o maltrattamenti puntando alla recuperabilità delle capacità relazionali della famiglia, o almeno delle figure di riferimento positivo nel caso di vittime di abuso intrafamiliare.

La Regione Molise ha definito le linee guida di intervento per minori vittime di abusi e maltrattamenti. Nonostante ciò l’USSM Campobasso segnala che durante le indagini per abuso su minori a carico di imputati maggiorenni, non viene avviato alcun intervento a tutela delle piccole vittime. La Regione Puglia sta definendo le linee guida sulla tematica.

Il Dipartimento di Scienze Neurologiche e psichiatriche – Sezione di psichiatria dell’Università di Bari ha effettuato una ricerca “personalità, cure parentali e stili di coping nei sexual offender” i cui risultati finali sono stati illustrati durante un Seminario a cui hanno partecipato tutti gli operatori dell’USSM di Lecce. L’USSM di Lecce partecipa, con l’Università degli studi di Sassari al progetto “ A new European network to Exchange and transfer knowlege and expertise in the field of treatment programmes for perpetrators of sexual assassments and violence against children and young people”.

Alcuni USSM riferiscono che l’Autorità Giudiziaria non richiede il loro supporto per l’assistenza alle vittime di abusi sessuali ai sensi dell’art.11, c.3, della legge 66/96. La maggior parte degli USSM segnala invece di essere coinvolta dall’Autorità Giudiziaria per tali fattispecie e che è assolutamente necessario un confronto tra gli operatori sui casi e la realizzazione di un lavoro di rete dovuto alla multiproblematicità che presentano tali situazioni, per rispondere adeguatamente ai bisogni delle vittime e per attenuare il peso emotivo della gestione di questi casi. Per affrontare e superare tali aspetti, gli USSM di Milano e Napoli effettuano riunioni ed incontri di discussione e confronto anche se non hanno avuto occasione di partecipare a Seminari o corsi di aggiornamento. La maggior parte degli USSM segnala la necessità di effettuare attività di aggiornamento anche attraverso apposite convenzioni con le Università o le strutture specializzate in tale ambito.

6. SINTESI

Per quanto concerne le vittime di reato a sfondo sessuale, riassumendo, possiamo concludere che esse sono per l’87% di nazionalità italiana, nel 76% dei casi di genere femminile, nel 45% dei casi di età compresa tra i 14 e i 17 anni.

Il reato si è consumato prevalentemente nell’ambito di conoscenza con la vittima nel 36% dei casi, nell’ambito familiare nel 28% dei casi, tra sconosciuti nel 19% dei casi, nell’ambito delle conoscenze che avvengono attraverso la rete internet nel 4% dei casi. Soltanto nel 10% dei casi la violenza sulle vittime è dovuta ad un’azione di gruppo, mentre nel 78% dei casi l’azione è svolta individualmente.

La segnalazione agli USSM avviene principalmente attraverso gli organi giudiziari (91%), quali il Tribunale per i minorenni (49%), la Procura (34%), l’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari (7%) e l’Ufficio del Giudice per l’udienza preliminare (1%).

Le Procure, ordinarie e minorili, con le quali gli USSM hanno stipulato degli accordi per disciplinare le la segnalazione dei casi di minori abusati, sono relative ai territori di Cagliari, Roma, Catanzaro, Trieste, Reggio Calabria, Lecce, Messina e Caltanissetta.

Non si dispone di un numero sufficiente di dati per quantificare i casi in cui si è reso necessario avviare la procedura per l’apertura della tutela delle vittime; risulta che nell’8% dei casi si è proceduto ad avviare l’iter per l’apertura della tutela. L’audizione delle vittime si è svolta in un contesto riservato quale quello previsto dalla normativa sulle “audizioni protette” nel 20% dei casi. Gli USSM hanno stabilito degli accordi per lavorare congiuntamente sui casi soprattutto con  i Servizi Sociali degli Enti Locali (46%), le AA.SS.LL. (25%), i Centri anti-abuso e le Comunità (9%).

Gli USSM, così come previsto dal 3° comma dell’art.11 della legge 66/1996, svolgono un ruolo di sostegno alla vittima soprattutto durante l’iter giudiziario (45%) e attraverso colloqui con la vittima ed i familiari (26%), individuali con la vittima (10%), di raccordo con i Servizi territoriali (18%) a seconda del bisogno identificato.

Per quanto concerne i soggetti minorenni autori di reato a sfondo sessuale, riassumendo, possiamo concludere che essi: sono per l’83% di nazionalità italiana, nel 97% dei casi di genere maschile, nel 52% dei casi di età compresa tra i 16 ed i 17 anni. 

L’89% di essi non fa abitualmente uso di sostanze stupefacenti, l’85% di essi non né faceva uso al momento del reato, il 95% di essi non appartiene a sette.

L’82% dei ragazzi considerati non presenta disturbi psichiatrici, l’85% non ha avuto precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti/adozioni, il 70% non è stato preso in carico prima della commissione del reato dai Servizi Sociali degli Enti Locali, ma il 27% lo era stato già prima dell’evento-reato.

L’85% dei ragazzi è disoccupato, il 58% di essi frequenta attività di formazione ed il 64% di essi è in possesso della scuola secondaria di 1°. Sembrerebbe che molti di essi, dopo aver conseguito il diploma di scuola media, non frequenti alcuna attività di studio (39%) e sia in cerca di occupazione. Quindi una buona parte di questi giovani non è impegnata in un progetto di vita per il proprio futuro.

Rispetto al ciclo intergenerazionale della violenza i dati sono parzialmente confortanti. L’83% del campione non ha subito abusi fisici, né maltrattamenti e l’80% non ha subito abusi psicologici.

Il nucleo familiare dei ragazzi oggetto di questa rilevazione presenta, nella maggior parte dei casi, le seguenti caratteristiche: è normocostituito (64%), è disgregato (64%), sono presenti altri fratelli o sorelle (69%), non è multiproblematico (54%), non presenta svantaggio economico (56%), non presenta patologie fisiche o psichiche (65%), non si trova in una situazione di isolamento, sociale, geografico o culturale (60%), non presenta comportamenti antisociali (65%), né forme di dipendenza da sostanze stupefacenti (74%), né relazioni di attaccamento problematiche (61%).

Il reato si è consumato prevalentemente nell’ambito di conoscenza con la vittima nel 68% dei casi, nell’ambito familiare nel 13% dei casi, tra sconosciuti nel 10% dei casi, nell’ambito delle conoscenze che avvengono attraverso la rete internet nel 6% dei casi. Nel 54% dei casi si è trattato di un’azione di gruppo e nel 14% di casi erano presenti figure adulte o comunque maggiorenni.

Prevale, nelle vittime, la fascia di età 14-17 anni (34%), seguita da quella 11-13 anni (19%).

Il 61% dei ragazzi è imputabile. I reati sono stati commessi prevalentemente verso minorenni appartenenti alla fascia di età 14-17 anni (34%), 11-13 anni (19%), 6-10 anni (8%) e maggiorenni (5%). Gli USSM effettuano la presa in carico dei ragazzi congiuntamente ad altri Servizi del territorio, di cui risultano prevalenti, i Servizi Sociali degli Enti Locali nel 42 % dei casi, il privato Sociale nel 28% dei casi, le AA.SS.LL. nel 26% dei casi.

Complessivamente il programma di trattamento degli autori di reato è denso di impegni che si sostanziano in interventi individuali di rimotivazione al cambiamento, quali colloqui individuali (23%) e familiari (19%), interventi psicologici / psichiatrici (13%), nonché in attività che contribuiscano alla  crescita, alla maturazione e all’assunzione da parte dei giovani di un ruolo attivo verso se stessi e gli altri, propositivo e costruttivo. Tra queste attività rammentiamo, le  attività scolastiche (10%), formative (7%), attività di volontariato (7%), attività socialmente utili (6%) e ricreative sportive (6%). Una piccola parte di essi è stato coinvolto anche in attività di mediazione penale (3%), attività di sostegno specifico alla relazione empatica e alla sessualità (3%), in attività culturali (2%), altre attività non rientranti nelle predette tipologie (1%).

Merita senz’altro una riflessione da parte delle istituzioni e di tutta la società civile il fatto che molti degli autori di reati a sfondo sessuale sono disoccupati e non proseguono gli studi quindi non sono impegnati in un progetto di vita per il loro futuro e, dall’impatto con il sistema giudiziario minorile, generalmente scaturisce un impegno nella società.

Roma, 16 luglio 2013

Fonte: Ministero della giustizia

Tutela del minore: il progetto CURE

CURE è l’acronimo di  Children in the Union – Rights and Empowerment  [I Minori nell’Unione – Diritti e Empowerment (autonomizzazione e responsabilizzazione)].

Il nome del progetto sta ad indicare che esso comprende sia lo status giuridico delle vittime minori che l’espressione pratica dei loro diritti, anche attraverso le buone prassi che si consolidano a tutela degli interessi dei minori. 

  È un progetto gestito dalla Crime Victim Compensation and Support Authority [Autorità per il Sostegno e il Risarcimento alle Vittime di Reato] della Svezia ed è finanziato dal programma ISEC1 dell’Unione Europea.  

La Crime Victim Compensation and Support Authority [Brottsoffermyndigheten] 2

è un’autorità governativa svedese, che dipende dal Ministero della Giustizia svedese e che opera a favore delle esigenze e degli interessi delle vittime di reato.

I

l Ministero della Giustizia italiano, contattato dalle Sigg.e Anna Wergens e Anna Sigfridsson del ufficio dell’ Ombudsman per l’Infanzia in Svezia  ‐ membro della Rete Europea degli Ombudsman per l’Infanzia (ENOC3 )  ‐  ha partecipato al progetto con la collaborazione di Emilia De Bellis, punto di contatto nel progetto, Piero Forno, referente esperto per l’autorità giudiziaria ed il Capitano Luigi Mancuso, referente nazionale per le indagini di Polizia.  

Altri partner del CURE sono i ministeri della Giustizia di Finlandia, Francia, Belgio, Romania, Croazia, nonché l’Unità Testimoni e Vittime4 del Governo scozzese, l’Associazione Portoghese per il Sostegno alle Vittime5 (APAV) e l’Ufficio del Pubblico Difensore dei Diritti6 (Ombudsman) della Repubblica Slovacca.


1 Prevention of and Fight against Crime (ISEC) Programme [Programma di Prevenzione e Lotta alla Criminalità] della Commissione Europea. 2 BROTTSOFFERMYNDIGHETEN [Crime Victim Compensation and Support Authority], indirizzo: Storgatan 49‐ S 901 09 UMEÅ, SV‐ telefono: +46 (90) 70 82 00 fax: +46 (90) 17 83 53, e‐mail: registrator@brottsoffermyndigheten.se. 3 European Network of Ombudspersons for Children [Barnombudsmannen], http://www.crin.org/enoc/. 4 Vi possoctims and Witnesses Unit. 5 Portuguese Association for Victim Support [Associação Portuguesa de Apoio à Vítima ‐ APAV], http://www.apav.pt/portal/. 6 Office of the Public Defender of Rights, http://www.vop.gov.sk/files/File/mar_2010_eng.pd


La finalità generale del CURE è quella di rafforzare la posizione dei minori vittime.   

Lo scopo a breve termine è stato quello di fornire raccomandazioni alla Commissione Europea per migliorare in seno all’Unione Europea la posizione dei minori vittime, in particolare su quattro punti: le informazioni da fornire ai minori vittime, la condizione del minore vittima durante le indagini, la rappresentanza legale per i minori vittime e  la comparizione in tribunale del minore. 

 Il CURE ha di fatto condotto uno studio

1 sulla posizione giuridica del minore vittima, così da individuare e presentare le buone prassi

2 degli Stati membri sui  quattro punti testé indicati.

3 Il confronto con la normativa dei principali paesi europei evidenzia come l’Italia stenti nel riconoscere i diritti delle parti lese, specialmente se minorenni.

È necessario che il riconoscimento degli irrinunciabili diritti dei minori sia frutto di una visione globale del minore all’interno del processo penale.

La diffusione del testo della raccomandazione CURE, rivolta ai governi di tutti i paesi europei, richiede pertanto due livelli diversi di intervento: da un lato quello legislativo, dall’altro quello delle prassi degli uffici  giudiziari. 

  L’Europa in realtà ci obbliga a superare una visione garantista a senso unico, concernente la tutela del solo indagato/imputato, per introdurre il principio che anche il soggetto debole, segnatamente il minore, deve esser tutelato nell’ambito del processo penale.

Le raccomandazioni sono state pubblicate ad ottobre 2010 nell’ambito del “Rapporto CURE”, consultabile integralmente nella versione originale dal link richiamato nell’indice cronologico degli atti.

Il Rapporto è composto di quattro capitoli: la descrizione di come è stato svolto il progetto; il resoconto delle conclusioni di maggior rilevo tratte dagli studi condotti; una presentazione di alcuni interessanti sviluppi in materia; le raccomandazioni sviluppate nel corso del progetto assieme ad un gruppo internazionale di esperti, indirizzate agli Stati membri ed alla Commissione Europea.  

  I testi normativi di riferimento su questo tema, richiamati nel rapporto CURE, sono inseriti, unitamente ad altri atti, nella presente raccolta in segno di piena collaborazione all’attività del progetto, volto alla sensibilizzazione e formazione di tutti gli attori del sistema giuridico che a vario titolo sono a contatto con i minori vittime o testimoni di reato.

Attraverso l’aggiornamento e la piena comprensione in lingua italiana dei principi esistenti, consacrati dagli strumenti richiamati e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ‐ già oggetto di diffusione efficace attraverso il CED della Corte Suprema di Cassazione, come riconosciuto dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa  dinanzi al quale si volge il procedimento di sorveglianza sull’esecuzione delle sentenze della Corte Europea – si compie un primo passo nel processo di esecuzione delle raccomandazioni del progetto CURE.


1 Rapporto in originale : http://brom.webb215.cs.it‐norr.com/Filer/Böcker/Child victims in the Union, CURE.pdf.   2 Incluse in questa raccolta nella loro traduzione in italiano.   3 Rapporto completo: http://brom.webb215.cs.it‐norr.com/Filer/Böcker/Child victims in the Union, CURE.pdf.


Le tipologie di vittima vulnerabile individuate nei testi internazionali ed europei sono quelle colpite dai reati di criminalità organizzata; di terrorismo; di tratta; di pornografia e prostituzione minorile; di sfruttamento sessuale; di abusi sessuali nei confronti di minori.    Le procedure relative all’osservanza di obblighi internazionali, in particolare quelle afferenti la tutela dei minori vittime di reato, e le procedure volte all’adeguamento del diritto interno alle previsioni degli strumenti internazionali in materia di diritti umani, sono oggetto di studio e continua riflessione sotto l’aspetto dell’attualità degli interventi programmati. In materia di vittime, il testo di riferimento è la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio UE del 15.3.2001 sulla tutela della vittima nel procedimento penale emanata dall’Unione europea nell’ambito del terzo pilastro del Trattato di Amsterdam.     


1 CURE‐RAPPORTO: Capitolo 4 ‐ Raccomandazioni agli Stati membri UE; raccomandazioni alla Commissione UE (2010); ONU‐ECOSOC: risoluzione 2005‐20 – LINEE GUIDA sulla giustizia nelle cause che coinvolgono minori vittime e testimoni di reato ; ONU‐ECOSOC: risoluzione 2005‐20 – LINEE GUIDA sulla giustizia nelle cause che coinvolgono minori vittime e testimoni di reato nella versione per minori  (di prossima pubblicazione); UNICEF–UNODC: LEGGE MODELLO sulla giustizia nelle cause che coinvolgono che coinvolgono minori vittime e testimoni di reato (2009);   ONU: Dichiarazione Universale dei diritti umani del 10 dicembre 1948; ONU: Convenzione sui Diritti del fanciullo del 20 novembre 1989;   ONU: Convenzione sui Diritti del fanciullo – Protocolli 1 e 2 (2000) e Protocollo 3 (19 dicembre 2011); ONU: Risoluzione Assemblea Generale S‐27/2 ‐ Un mondo a misura di bambino del 10 maggio 2002; UNODC: Manuale per professionisti e responsabili politici sulla giustizia nelle questioni che coinvolgono minori vittime e testimoni di reato (2009) (di prossima pubblicazione); COE: Convenzione n. 5 per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950;   COE: Convenzione n. 160 sull’Esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996;   COE: Convenzione n. 163 Carta sociale europea del 3 maggio 1996; COE: Convenzione n. 185 sulla Criminalità informatica del 23 novembre 2001; COE: Convenzione n. 197 sulla Lotta contro la tratta degli esseri umani del 4 ottobre 2001;   COE: Piano d’azione del Vertice di Varsavia del 16‐17 maggio 2005; COE: Programma “Costruire un’Europa per e con i bambini” lanciato nel 2005; COE: Convenzione n. 201 (detta di Lanzarote) sulla Protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali del 25 ottobre 2007;   COE: Comitato dei Ministri (riunione 1098) ‐ Linee Guida sulla giustizia a misura di minore del 17 novembre 2010; UE: Decisione Quadro del Consiglio (2001/220/GAI) sulla Posizione della vittima nel procedimento penale del 15 marzo 2001; UE: Decisione Quadro del Consiglio (2004/68/GAI) sulla Lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile del 22 dicembre 2003; UE: Commissione Europea – Comunicazione COM (2006) 367 def – Verso una strategia dell’UE sui diritti dei minori;   UE: Consiglio Gai – Conclusioni 2969^ riunione  su Diritti e sostegno alle vittime di reato del 29 ottobre 2009; UE: Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI; Impegno globale di YOKOHAMA del 2° Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini a scopo commerciale del 17‐20 dicembre 2001.


La normativa internazionale ed europea, oltre a obbligare il legislatore all’adeguamento, è pertanto strumento diretto per il giudice nell’interpretazione della norma interna alla luce delle disposizioni e delle prassi sopranazionali. Invero, in forza della decisione quadro richiamata, gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure funzionali ad assicurare il raggiungimento di alcuni obiettivi. In particolare, il riconoscimento e il rispetto dei diritti e della dignità della vittima in ogni fase processuale; l’attenzione specifica alle vittime più vulnerabili; la tutela della privacy; il rafforzamento della posizione processuale della vittima nei diritti interni; la creazione di un sistema di protezione delle vittime nei momenti cruciali di esposizione o di interazione con l’autore del reato, quali la testimonianza, che deve essere resa con particolari modalità di tutela, o la possibilità di incontro fisico con l’autore del reato nelle aule giudiziarie; la messa in opera di strumenti processuali idonei a garantire la partecipazione al processo tra i quali la comunicazione delle informazioni necessarie su ogni fase processuale, l’uso di una lingua comprensibile, l’assistenza legale, la comprensione dello svolgimento processuale, la partecipazione a distanza in caso di vittima non residente nello Stato membro, l’uso della videoconferenza e il rimborso delle spese di partecipazione al processo. Inoltre, si auspica che gli Stati procedano a modificare i sistemi interni per consentire l’ottenimento del risarcimento del danno e l’accesso alla mediazione; per rafforzare la cooperazione giudiziaria internazionale a tutela degli interessi della vittima; per assicurare il coinvolgimento nei procedimenti penali delle organizzazioni a sostegno delle vittime al fine di garantire una assistenza più efficace. Inoltre è raccomandata l’adozione di strategie organizzative volte alla formazione adeguata del personale che può venire in contatto con le vittime, con particolare riferimento alle necessità delle categorie più vulnerabili (cfr. art.14). In questo contesto si sono successivamente inseriti specifici provvedimenti adottati a favore delle vittime di particolari tipologie di reato, tra i quali quelli in favore delle vittime della tratta. Del tutto evidente è l’esigenza di tutela da apprestare alle vittime per la loro vulnerabilità scaturente dall’efferatezza del crimine e dalla sua assoluta imprevedibilità o per la loro condizione particolarmente indifesa ed esposta alla sopraffazione e al sopruso.


                                        

1 In riferimento alla Decisione Quadro del 15 marzo 2001 (2001/220/GAI) del Consiglio, ove è sancito il principio che le vittime particolarmente vulnerabili dovrebbero beneficiare di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione, si rammenta che il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge 4 giugno 2010 n. 96, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per l’attuazione della decisione quadro richiamata, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale ‐ art.52 co 1 ‐ che rischia a distanza di dieci anni di non essere del tutto attuale; inoltre è  all’esame della Commissione Giustizia la “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale ‐ Lanzarote 25 ottobre 2007 ‐ e norme di adeguamento dell’ordinamento interno (DDL 1969‐B).  Nella stessa direzione nel 2006, la Commissione Europea ha adottato il documento “Verso una Strategia dell’Unione Europea sui Diritti dei Minori”


La sospensione del processo e messa alla prova nel caso di imputati minorenni

  • D.P.R.448/88 – Artt. 28-29
     
  • D.L.272/89 – Art. 27

  1. I provvedimenti di messa alla prova
    • L’analisi temporale
    • Le sedi processuali
    • Le tipologie di reato
    • Il progetto di messa alla prova
       
  2. I minori messi alla prova
     
  3. L’esito della prova
     
  4. La recidiva

INTRODUZIONE

La sospensione del processo e messa alla prova, ai sensi dell’art. 28 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”, rappresenta un’innovazione nel processo penale minorile in quanto, contrariamente alle ipotesi di probation applicate in altri Paesi, non presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna.

Con il provvedimento di messa alla prova il processo è sospeso e il minore è affidato ai Servizi della Giustizia Minorile che, anche in collaborazione con i Servizi degli Enti locali, svolgono nei suoi confronti attività di osservazione, sostegno e controllo.
L’applicabilità della misura non è compromessa né dall’eventuale esistenza di precedenti penali né dalla tipologia di reato né da precedenti applicazioni; molto importanti sono, invece, le caratteristiche di personalità del ragazzo che inducono a ritenere possibile il suo recupero; in una personalità in crescita, quale è quella del minorenne, il singolo atto trasgressivo non può, infatti, essere considerato indicativo di una scelta di vita deviante.

I Servizi sociali elaborano il progetto di messa alla prova sulla base delle risorse personali, familiari e ambientali del ragazzo ed è fondamentale che il ragazzo accetti e condivida il contenuto del progetto.

In caso di esito positivo della prova il giudice con sentenza «dichiara estinto il reato»; l’esito negativo comporta invece la prosecuzione del procedimento (art.29 DPR 448/88).

Proprio per l’importanza e la specificità di questo provvedimento, l’allora Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile, oggi Dipartimento per la Giustizia Minorile, avviò nell’ottobre del 1991 un monitoraggio ad hoc sulla sua applicazione, attraverso schede nominative compilate per ciascun provvedimento emesso nei confronti dei minori in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni; la rilevazione cartacea è stata effettuata fino a tutto l’anno 2011.

A partire dall’anno 2012 i dati sono acquisiti dal Sistema Informativo dei Servizi Minorili (SISM), che gestisce i dati di tutti i minori che costituiscono l’utenza dei Servizi minorili. I dati analizzati sono riferiti alla situazione dell’archivio alla data dell’elaborazione, ovvero a conclusione delle attività di convalida da parte dei Centri per la Giustizia Minorile.

A partire dall’anno 2016 i dati si riferiscono anche ai provvedimenti di messa alla prova relativi ai minori seguiti dall’ente locale.

L’analisi statistica di seguito presentata si articola in tre parti in cui sono considerati i dati rispettivamente dei provvedimenti, dei minori messi alla prova e degli esiti.

Roma, 9 marzo 2022

Fonte: Giustizia.it Ministero della Giustizia

Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi della Giustizia Minorile

L’analisi statistica di seguito presentata riguarda i minorenni e giovani adulti dell’area penale in carico ai Servizi della Giustizia Minorile ospitati nelle strutture residenziali (Centri di prima accoglienza (CPA), Istituti penali per i minorenni (IPM) e Comunità) e in area penale esterna, in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM).

Il lavoro riguarda in particolare l’utenza straniera dei Servizi minorili ed è sviluppata sui dati dell’anno 2020; contiene inoltre un’analisi storica basata sui dati ottenuti dalle rilevazioni statistiche cartacee in uso fino all’anno 2009 e sui dati del Sistema Informativo dei Servizi Minorili (SISM) a partire dal 2010.

Le principali aree geografiche di provenienza dei minorenni e giovani adulti stranieri che costituiscono l’utenza dei Servizi della Giustizia Minorile continuano ad essere l’Est europeo e il Nord Africa. Tra le provenienze comunitarie prevalgono la Romania e la Croazia, mentre tra le altre nazionalità si distinguono l’Albania, maggiormente nell’area penale esterna, la Bosnia Erzegovina, la Serbia. Tra le provenienze africane, invece, prevalgono i minorenni e i giovani adulti del Marocco, dell’Egitto, della Tunisia e si osserva un aumento negli ultimi anni degli utenti provenienti dal Gambia e dal Senegal.

Dall’analisi dei dati si evince, inoltre, come alle nazionalità tipiche della criminalità minorile ormai da anni si siano affiancate altre provenienze, singolarmente poco rilevanti in termini numerici, ma che hanno contribuito a rendere multietnico e più complesso il quadro complessivo dell’utenza.

La presenza degli stranieri è maggiormente evidente nei Servizi residenziali; in particolare, dai dati dell’anno 2020 si osserva che sono dovuti a soggetti stranieri:

• il 23% dell’utenza degli USSM (4.348 su 19.019) soggetti complessivamente in carico nell’anno, compresi quelli già in carico da periodi precedenti).

• il 43% degli ingressi nei CPA (257 ingressi su un totale di 599);

• il 34% dei collocamenti nelle Comunità (506 collocamenti su un totale di 1.486) e il 30% della presenza media giornaliera nelle stesse (294 su 992 soggetti mediamente presenti ogni giorno dell’anno);

• il 50% degli ingressi negli IPM (358 su un totale di 713) ed il 45% della presenza media giornaliera negli stessi (144 su 320 minorenni e giovani adulti mediamente presenti ogni giorno dell’anno);

Roma, 9 aprile 2021

Fonte: Giustizia.it Ministero della Giustizia

“Pensa prima di condividere”

perché quello che posti dice chi sei

Suggerimenti di Facebook, MediaSmarts IFOS e Ufficio IV del Dipartimento giustizia minorile e di comunità, Ministero della giustizia

Tutti dicono che condividere è positivo.

Grazie alla tecnologia possiamo condividere le nostre idee e opinioni, le foto e i video con gli amici e altre persone.

Nella maggior parte dei casi, condividere è positivo. Tuttavia, se non lo facciamo in modo adeguato, corriamo il rischio di ferire noi stessi o altre persone. Ricorda anche che ciò che condividi con i tuoi amici può giungere ad altri.

Ecco perché è importante riflettere prima di condividere.Considera inoltre che i post, le foto e i video che condividi sono la tua Identità Virtuale e dicono qualcosa sulla tua personalità/carattere, sui tuoi valori e sul tuo modo di pensare.

Fonte: Giustizia.it Ministero della Giustizia