Malattie croniche per 7 detenuti su 10

A stare peggio sono le donne.

Ogni anno nei 190 istituti penitenziari italiani transitano circa 100mila detenuti.

Circa il 70% di loro ha una malattia cronica (o anche più di una), ma poco meno della metà ne è consapevole. I dati ufficiali del Ministero della Giustizia indicano che oltre il 50% dei soggetti ha meno di quarant’anni e che un detenuto su tre è straniero. E le carceri si confermano un concentrato di malattie infettive, psichiatriche, metaboliche, cardiovascolari e respiratorie.

Di questo tema si parla a Roma, giovedì 4 e venerdì 5 ottobre, al Congresso nazionale della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe onlus), organizzato insieme alla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT). Tra gli argomenti “caldi” la vaccinazione delle persone detenute, integrazione e tutela delle fragilità sanitarie e sociali in carcere, il dolore e la salute mentale in ambito penitenziario, eradicazione del virus dell’epatite C nelle sezioni detentive, esperienze di gestione dei detenuti migranti.

Epatite C, la più diffusa

«Tra le malattie infettive, il virus dell’epatite C (Hcv) è quello più rappresentato, soprattutto a causa del fenomeno della tossicodipendenza – spiega Sergio Babudieri, presidente del Congresso e direttore scientifico SIMSPe onlus -. Un terzo dei detenuti (34%) è detenuto per spaccio di stupefacenti, il che li rende più soggetti a malattie infettive. Dal 30% al 38% dei carcerati ha gli anticorpi del virus dell’epatite C, ma di questi solo il 70% ha il virus attivo. Dai 25 ai 30mila detenuti, quindi uno su tre, avrebbero bisogno di essere trattati con i nuovi farmaci altamente attivi contro il virus C dell’epatite».

Hiv e tubercolosi

Numeri migliori, ma non rassicuranti, per quanto riguarda l’Hiv: la patologia è in diminuzione, ma non riguarda più esclusivamente le categorie a rischio. Oggi si parla del 3/3,5% di sieropositivi nelle carceri, ma è difficile arrivare a nuove diagnosi. I malati di epatite B, invece, sono il 5-6% del totale. Oltre la metà dei detenuti stranieri è invece positivo ai test per la tubercolosi. «Quando parliamo di migranti dobbiamo ricordarci che si tratta di persone che, per più o meno ovvie ragioni, tendono a non curarsi e a non poter approfondire la propria questione sanitaria – dice Babudieri -.

In aumento per loro è soprattutto la tubercolosi, con la possibilità di far crescere la circolazione di ceppi multiresistenti ai farmaci. Un ulteriore problema è intrinseco alla malattia, per sua natura subdola e non facilmente diagnosticabile, perché il peggioramento è lento e graduale.

Ci vorrebbe una maggiore attenzione proprio a partire dai centri migranti, dove spesso ci sono controlli sanitari non adeguati».

La situazione delle donne

Le donne sono circa il 4% della popolazione carceraria. I reati più perseguiti da loro sono quelli contro il patrimonio, contro la persona e in materia di stupefacenti. Ma sono molto frequenti anche i reati di prostituzione.

Si contano poi una sessantina di bambini, da pochi mesi a 6 anni, figli di madri che hanno subito un arresto o una condanna. «Da recenti studi internazionali – spiega Babudieri – emerge che le donne detenute hanno una percentuale di malattie infettive superiore di alcuni punti percentuali rispetto agli uomini.

Una “elite in negativo” in cui si concentrano non solo malattie infettive, ma anche psichiatriche, cardio-respiratorie, metaboliche e degenerative. Eppure occorrerebbe un piccolo sforzo per garantire a loro, e agli eventuali minori, ottimi risultati. Ma, data l’età media della popolazione totale, si potrebbe raggiungere uno stato di salute nettamente superiore per tutti».

Programma di vaccinazione«I responsabili dell’assistenza sanitaria in carcere sono i sistemi sanitari regionali – aggiunge Babudieri – .

A loro spetterebbe il compito di creare un ponte tra i medici delle carceri e i medici dell’igiene e della prevenzione territoriale. Il responsabile di ogni struttura penitenziaria dovrebbe correlarsi con i responsabili della Sanità pubblica per la realizzazione di un programma di vaccinazione totale. In questo modo tutte le persone detenute saranno sotto controllo, garantendo non solo la loro sicurezza, ma anche quella di chi starà loro accanto, dentro e fuori le strutture penitenziarie. Non è mai stato fatto un registro nazionale per nessuna patologia, non c’è mai stato un coordinamento nazionale.

Da anni la nostra Società ha proposto di affidare all’Istituto Superiore di Sanità la gestione di un Osservatorio nazionale per la tutela della salute in carcere che coordini tutti gli osservatori regionali già costituiti, ma questa nostra richiesta è stata costantemente disattesa».

CONGRESSO A ROMA 2018

Fonte: Corriere della sera

Detenzione al femminile

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO
Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

  1. La detenzione femminile
    Le donne detenute costituiscono una piccola percentuale della popolazione carceraria nazionale. Nelle nostre carceri oltre il 95% dei detenuti sono maschi e il numero delle donne è poco inferiore al 5%.
    Alla data del 29 dicembre 2014 su 53.732 detenuti, le detenute erano 2.314. Gli istituti penitenziari destinati in modo esclusivo alle donne sono cinque (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli, Venezia Giudecca) e per il resto le donne sono collocate in 52 reparti isolati all’interno di penitenziari maschili. Quindi le donne vivono prevalentemente una realtà che è pensata e realizzata nelle strutture e nelle regole per gli uomini mentre i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi. In molti casi esse sono ristrette in carceri che si trovano lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento con i quali i contatti sono difficili e onerosi.
    La detenzione di coloro che sono in attesa di giudizio è molto meno tutelata dal punto di vista del trattamento. Differenziare detenuti definitivi da quelli in attesa di giudizio è già difficile, differenziare ulteriormente all’interno di queste categorie tra uomini e donne è quasi impossibile, così le donne detenute definitive e non si trovano sempre assieme. Le donne mediamente hanno condanne più brevi di quelle degli uomini e hanno minori probabilità di avere qualcuno cui affidare la casa e la famiglia. Così anche una breve condanna per una donna arreca danni e conseguenze a lungo termine. Se le pene detentive brevi come punizione in generale non possono dirsi efficaci, esse lo sono ancora meno per le donne. Molto più efficace in alternativa al carcere, sarebbero misure di probation e di giustizia ripartiva, diffuse in altri Paesi. Concordare il modo migliore per riparare il danno e reintegrare le donne nella società vuol dire sostenere i loro figli, con risultati in termini di abbattimento di recidiva, e con l’ulteriore effetto di ridurre la possibilità che i figli diventino a loro volta delinquenti.
     
  2. Regole sovranazionali per le condizioni detentive delle donne
    Per quanto riguarda le condizioni generali di detenzione le regole minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite affermano (regola 8) che “uomini e donne, per quanto possibile, devono essere ristretti in istituti separati, o in sezioni completamente separate dello stesso istituto”.
    Le Regole penitenziarie europee del 2006 (regola 18.8b) affermano che deve essere dato rilievo alla necessità di tenere separati uomini e donne. Il 21 dicembre 2010, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite[1] ha adottato un nuovo testo di disposizioni volte a colmare una lacuna negli standard internazionali riguardanti le esigenze specifiche delle donne in conflitto con la legge penale. Sono le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute e le misure non detentive per le donne autrici di reati, note come le “Regole di Bangkok” a riconoscimento del ruolo determinante svolto dal Regno di Thailandia nella loro elaborazione.
    Le Regole Minime per il trattamento dei detenuti [2]ed alle Regole Minime standard delle Nazioni Unite per le pene non detentive (Regole di Tokio) adottate quasi 60 anni fa e al momento soggette ad un processo di revisione non prestano particolare attenzione a come si possa ovviare alle pratiche discriminatorie che di fatto impediscono alle donne di beneficiare di tutte le disposizioni che possono rendere più accettabile il regime carcerario.
    Seppure sprovviste di efficacia vincolante, le 70 Regole di Bangkok fanno parte dell’ampia raccolta di principi e linee guida, standard e norme, sviluppate dalle Nazioni Unite nel corso di più di 50 anni. L’Ufficio Studi del DAP ha provveduto a tradurne il testo e a diffonderlo Esse sono divise in due sezioni, una contenente le disposizioni di applicazione generale e l’altra le regole dedicate a categorie speciali quali le madri, le straniere, le giovani . E’ interessante sottolineare che nella parte relativa alla valutazione del rischio le Regole considerano che generalmente le detenute presentano una pericolosità relativamente debole e che le misure di alta sicurezza su di loro hanno un effetto particolarmente negativo. La regola n. l fissa il principio di individualizzazione del trattamento (“bisogna tenere conto delle esigenze peculiari delle donne detenute per l’attuazione delle presenti regole. Le misure adottate per soddisfare tali necessità non devono essere considerate discriminatorie”). E’ necessario prendere in considerazione le esigenze diverse delle donne rispetto a quelle degli uomini: l’attenzione a queste esigenze non è discriminatoria “il concetto di eguaglianza significa ben più che trattare tutte le persone allo stesso modo. Il trattamento uguale di persone in situazioni diseguali contribuirà a perpetuare l’ingiustizia e non a eradicarla”.
    Proprio perché le donne costituiscono una minoranza nell’ambito penitenziario i loro bisogni specifici sono spesso disattesi.
    Tradizionalmente le carceri sono progettate e costruite da uomini per contenere uomini, quindi secondo un modello che mal si adatta alle necessità emotive, familiari, sociali e sanitarie femminili. In molti paesi le donne sono ospitate in sezioni sommariamente separate dalle sezioni maschili, per evitare situazioni di promiscuità ad esse è negato l’accesso alle strutture comuni per le attività sportive, lavorative e formative. Spesso sono ristrette in carceri che si trovano molto lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento, rendendosi così difficili e onerosi i contatti con le loro famiglie.
    Le detenute sono spesso madri. La lontananza dai figli aggiunge sofferenza alla pena detentiva mentre i locali per le visite raramente offrono uno spazio adatto per ritrovare la vicinanza tra madre e figlio. In genere, la mancanza di affetti e i ritmi del carcere sono più difficili da accettare per le donne che per gli uomini e ciò si traduce in un numero maggiore di suicidi e di atti di autolesionismo.
    Uno degli aspetti su cui le Regole di Bangkok mettono più l’accento è l’incidenza dei casi di abuso sessuale e di violenza, anche familiare, delle detenute. Grande attenzione viene dedicata alla necessità di evitare il ripetersi di questo tipo di traumi, introducendo protocolli adeguati nelle relazioni tra le detenute e lo staff, soprattutto maschile, e cautele in materia di colloqui se la violenza può essere di carattere familiare. Le Regole di Bangkok dedicano molto spazio alle specifiche necessità delle donne in materia di salute ginecologica (PAP TEST, screening per il seno…), psicologica, psichiatrica, etc… e raccomandano la possibilità d’accesso a cure equivalenti a quelle disponibili all’esterno. Le Regole di Bangkok sono il primo testo normativo internazionale che si occupa dei bambini che si trovano in carcere con le loro madri, estendendo ad essi il diritto ad una sanitaria adeguata. Ampio spazio è dedicato alle cure prenatali, all’allattamento al seno e alla difficile decisione sul se e fino a quando lasciare il bambino con la madre, nonché a come preparare la separazione nel modo meno traumatico possibile, sempre rispettando l ‘interesse superiore del minore.
    Alcune disposizioni sono dedicate alle detenute straniere con particolare riferimento alle politiche di trasferimento dei detenuti nel loro paese di origine e di rimpatrio dei figli. Nelle Regole di Bangkok troviamo anche un importante capitolo sul personale penitenziario il cui ruolo nell’assistenza delle donne detenute nel loro percorso di reinserimento è più volte sottolineato. La formazione professionale specifica diventa lo strumento principale affinché il personale, a tutti i livelli, possa mettere in atto le misure necessarie a soddisfare le esigenze specifiche di genere e a rimuovere le pratiche discriminatorie contro le donne. Importante la parte delle Regole dedicata alle sanzioni non detentive.
     
  3. Tutela delle detenute madri con i figli in carcere
    La legge 21 aprile 2011, n. 62 tutela il rapporto tra i minori e le madri che si trovano in stato di privazione della libertà personale.
    Secondo la legge le detenute madri (o i detenuti, in mancanza o nell’impossibilità delle madri) devono essere collocate negli istituti a custodia attenuata, ICAM (sul modello di quello che nacque a Milano nel 2007), che hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto alle carceri tradizionali e ispirate a quelle di una casa di civile abitazione. In queste strutture è attuato un regime penitenziario di tipo familiare-comunitario incentrato sulla responsabilizzazione del ruolo genitoriale in modo da dare un’adeguata garanzia alla genitorialità e assicurare la crescita armoniosa e senza traumi dei minori. Sono in procinto di aprire nuovi ICAM in Piemonte, Toscana, Lazio e Campania, mentre sono già operativi, oltre a quello di Milano, gli ICAM del Veneto (Venezia-Giudecca, per 12 posti) e della Sardegna (Senorbì, inaugurato da poche settimane). La stessa legge per le donne incinte o con prole di età inferiore ai dieci anni, prevede che le pene detentive non superiori a quattro anni, anche se costituenti parte residua di maggior pena, siano espiate in regime di detenzione domiciliare presso la propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora o presso la nuova figura della casa-famiglia protetta. Queste strutture agevolano l’accesso alla misura cautelare degli arresti domiciliari e alla misura alternativa della detenzione domiciliare e in questo senso rappresentano uno snodo essenziale per l’attuazione delle finalità della predetta legge. Il Ministro della Giustizia, come previsto dall’art. 4 comma 1 della legge, sulla base di un’intesa con la Conferenza Stato-Città ed Autonomie Locali, con decreto 8 marzo 2013 ha individuato le caratteristiche tipologiche delle “case-famiglia protette”.
    Esse, tra l’altro, debbono essere collocate in località vicine ai servizi territoriali, devono consentire un modello di vita comunitario, devono avere spazi interni da poter utilizzare per i colloqui con operatori e familiari e per effettuare eventuali visite mediche, devono prevedere servizi igienici e camere riservate agli uomini.
    La legge ha previsto che lo stesso Ministro della giustizia possa stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma mentre prevede una provvista finanziaria su specifici capitoli di bilancio per la realizzazione degli istituti a custodia attenuata ICAM, per quanto riguarda le case-famiglia protette non vi è alcuna previsione di investimento.Al fine di consentire l’attuazione della legge alcune Associazioni in varie Regioni del territorio nazionale si sono attivate per mettere a disposizione strutture aventi i requisiti previsti.
    Deve essere segnalato in modo particolare il Progetto Nazionale di Accoglienza delle Donne detenute con figli predisposto dalla Caritas italiana insieme ai Centri diocesani Migrantes e all’Ispettorato dei Cappellani delle carceri italiane che assicura una rete di strutture di accoglienza disponibili su tutto il territorio nazionale e cura con grande impegno un piano di intervento che, tenendo conto della posizione giuridica delle detenute madri, predispone percorsi personalizzati in grado di garantire il reinserimento nella società.
    Il Dipartimento sta fattivamente collaborando con la rete dei Cappellani diramando presso gli istituti penitenziari e gli uffici giudiziari gli elenchi delle strutture disponibili ad accogliere le detenute madri con prole al seguito. Sono stati altresì ripetutamente sensibilizzati i Provveditorati regionali ad intraprendere ogni utile iniziativa di impulso e confronto con gli enti locali. La presenza di detenute madri con prole al seguito che negli ultimi anni è sempre oscillata tra le 60 e le 40 unità è considerevolmente diminuita e il 7 gennaio 2015 le detenute madri erano 26 e i minori 27.
     
  4. Detenute madri con i figli fuori dal carcere Il legislatore tutela, come si è detto, i bambini fino a tre o dieci anni d’età che vivono in carcere con la madre. Ma in realtà sono ancora numerose le madri detenute che non vedono mai i loro figli o li vedono saltuariamente durante le ore di colloquio.
    La legge n°54 del 08/02/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” ha introdotto il principio della bigenitorialità, inteso come diritto del minore a mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori anche dopo la cessazione della loro convivenza. Il decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, entrato in vigore lo scorso 7 febbraio, ha disposto una revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e all’art. 55 ribadisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori di ricevere cura educazione istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
    La convivenza cessa non soltanto in caso di separazione ma anche in caso di detenzione di uno dei due genitori e anche in questa situazione i figli mantengono il diritto alle relazioni con entrambi i genitori e non devono essere discriminati.
    Non sempre la genitorialità del detenuto è salvaguardata pienamente e ancora si è portati a ritenere, con troppa superficialità, che colui che si trova in carcere possa non essere in grado di occuparsi dei propri figli. L’Amministrazione penitenziaria ha dato disposizione affinchè i colloqui siano organizzati su sei giorni alla settimana prevedendo almeno due pomeriggi, per favorire i figli che vanno a scuola., con la possibilità di cumulare le visite nel mese, qualora non siano state usufruite.
    Il 21 marzo 2014 è stato sottoscritta dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e dall’Associazione “Bambini senza sbarre” la Carta dei figli dei genitori detenuti, documento unico in Europa, che afferma i diritti fondamentali del minore il cui genitore sia recluso (oltre 100.000 in Italia). La Carta impegna il sistema penitenziario all’accoglienza dei minori e istituisce un Tavolo permanente per il monitoraggio sull’attuazione dei suoi principi.
    Sono molti gli interventi che volontari e associazioni già realizzano in molti istituti italiani: accompagnano i bambini ai colloqui in carcere, rendono più brevi le attese e sostengono i bambini durante le perquisizioni, rendono più gradevoli i locali adibiti al colloquio; danno sostegno al genitore che si rifiuta di condurre il figlio in carcere a visitare il padre o la madre; aiutano ai bambini a mantenere rapporti costanti con il genitore detenuto; danno modo agli stranieri di mettersi in contatto telefonico con la propria famiglia in modo che chi ha problemi di fuso orario possa comunque interloquire con i figli lontani.
     
  5. Attività trattamentali
  6. Vita quotidiana
    I detenuti surrogano la privazione del ruolo di sostegno alla propria famiglia lavorando e mandando soldi a casa. Per le detenute invece essere private di questo ruolo è una sofferenza più grande.
    C’è una sostanziale differenza di genere nel modo di vivere il carcere. Gli uomini hanno una maggiore capacità di adattarsi all’ambiente o di accettare la carcerazione come conseguenza di comportamenti devianti. Le donne subiscono con sofferenza il carcere e per esse il bisogno di aggregazione e socialità è molto più forte che per gli uomini e i loro rapporti interpersonali rispondono pi ù a logiche di espressione di affettività, che a quelle di comparazione della forza, sia essa forza fisica o forza del prestigio criminale.
    Generalmente le donne considerano i reati che le hanno portate in carcere come incidenti di percorso e non scelte di vita consapevoli. Hanno un senso di vergogna e la preoccupazione per il dopo, legata non soltanto alla possibilità di reinserimento lavorativo, ma anche a quella di essere accettate in società e di poter tornare a vivere un’esistenza normale (esse spesso hanno avuto una vita normale e non hanno solide carriere criminali alle spalle).
    Le celle e gli spazi individuali vengono curati dalle donne con attenzione particolare: le stanze sono ordinate e pulite, tenute meglio di quelle maschili ; le donne tendono a riprodurre nella loro stanza l’ambiente familiare e i gesti consuetudinari compresa l’attenzione al proprio corpo.
    E’ stato diffuso dal DAP uno schema di Regolamento interno predisposto per le sezioni femminili che tiene conto delle peculiarità dell’esecuzione penale riguardante il genere femminile al fine di elaborare accorgimenti organizzativi e offerte riabilitative idonei a cogliere e valorizzare la specificità della popolazione detenuta femminile. In esso trovano particolare attenzione la dimensione affettiva, le specifiche necessità sanitarie, il diverso rapporto con le esigenze della propria fisicità, la necessità di offrire pari opportunità di reinserimento sociale e sono accresciuti i momenti di compresenza con i detenuti maschi (scuola e formazione in genere, iniziative culturali, ricreative e sportive, partecipazioni alle commissioni di rappresentanza previste dall’Ordinamento penitenziario, ecc.).
    Nel Regolamento penitenziario della sezione femminile di Vercelli per esempio è previsto espressamente che la detenuta possa tenere con sé la fede, catenine, orecchini e oggetti di bigiotteria (di modico valore); creme depilatorie, deodoranti, creme, smalto, cosmetici, pinze per le ciglia, depilatore elettrico, extention, tinta per i capelli , crema lisciante per capelli crespi; lenti a contatto, ferri per lana con punta arrotondata, kit per cucito. All’atto dell’ingresso la detenuta riceve anche un kit per l’igiene personale tra cui assorbenti igienici. L’arredo della cella comprende uno specchio, infine sono disponibili una lavatrice e un servizio di parrucchiera.
     
  7. Tutela della salute delle donne detenute
    Le donne in carcere hanno esigenze di salute molto diverse rispetto agli uomini.La normativa di riordino della sanità penitenziaria prende in considerazione in modo specifico il tema della detenzione femminile. Il d.lgs. 230/1999 nell’art. 1, comma 2, lettere e) e f) stabilisce che il servizio sanitario nazionale assicura appropriate, efficaci ed essenziali prestazioni di prevenzione, diagnosi precoce e cura per le donne detenute e internate, l’assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità, nonché l’assistenza pediatrica e i servizi di puericultura per i figli delle recluse.
    Le “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale” allegate al D.P.C.M. 1.4.2008 dedicano attenzione alla detenzione femminile: l’allegato A contiene un apposito piano di interventi dedicato alla condizione detentiva femminile. Pur costituendo una netta minoranza rispetto alla popolazione maschile, alle detenute si riconoscono specifiche e particolari esigenze legate ad una situazione sanitaria preoccupante.
    Tra le azioni programmatiche, si ricordano in particolare:
    • il monitoraggio dei bisogni assistenziali delle recluse con particolare riguardo ai controlli di carattere ostetrico-ginecologico
    • gli interventi di prevenzione e di profilassi delle malattie a trasmissione sessuale e dei tumori dell’apparato genitale femminile
    • corsi di informazione sulla salute per le detenute e le minorenni sottoposte a provvedimento penale e di formazione per il personale dedicato, che forniscano anche utili indicazioni sui servizi offerti dalla Azienda sanitaria al momento della dismissione dal carcere o dalle comunità (consultori, punti nascita, ambulatori ecc.)
    • potenziamento delle attività di preparazione al parto svolte dai Consultori familiari
    • espletamento del parto in ospedale o in altra struttura diversa dal luogo di reclusione sostegno e accompagnamento al normale processo di sviluppo psico-fisico del neonato
    Problemi di salute mentale originano per le donne dal loro stato di detenzione e dallo stress per la necessità di essere lontane dai figli Una percentuale non trascurabile degli atti di autolesionismo è compiuta dalle donne.

Roma, 7 gennaio 2015

IL DIRETTORE DELL’UFFICIO
Roberta Palmisano

[1] Risoluzione 65/229, United Nations Rules for the Treatment of Women Prisoners and Non-cu stodia) Measures for Women Offenders (The Bangkok Rules)

[2] Adottate dal Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Delitto ed i l Trattamento dei Delinquenti , svoltosi a Ginevra nel 1955, e approvate dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite con le risoluzioni 663C (XXIV)del 31 luglio 1957 e 2076 (LXIl) del 13 maggio 1977.

Fonte Ministero della Giustizia di R.Palmisano

Donne e carcere

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO

Ufficio Studi Ricerche

Nelle nostre carceri oltre il 95% dei detenuti sono maschi e il numero delle donne è poco inferiore al 5%. Gli istituti penitenziari destinati in modo esclusivo alle donne sono cinque (Trani, Pozzuoli, Roma Rebibbia, Empoli, Venezia Giudecca) e per il resto le donne sono collocate in 52 reparti isolati all’interno di penitenziari maschili. Quindi le donne vivono prevalentemente una realtà che è pensata e realizzata nelle strutture e nelle regole per gli uomini mentre i loro bisogni specifici, in buona parte correlati ai bisogni dei loro figli, sono spesso disattesi. In molti casi esse sono ristrette in carceri che si trovano lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento con i quali i contatti sono difficili e onerosi La detenzione di coloro che sono in attesa di giudizio è molto meno tutelata dal punto di vista del trattamento.

Differenziare detenuti definitivi da quelli in attesa di giudizio è già difficile, differenziare ulteriormente all’interno di queste categorie tra uomini e donne è quasi impossibile, così le donne detenute definitive e non, si trovano sempre assieme. Le donne mediamente hanno condanne più brevi di quelle degli uomini e hanno minori probabilità di avere qualcuno cui affidare la casa e la famiglia.

Così anche una breve condanna per una donna arreca danni e conseguenze a lungo termine. Se le pene detentive brevi come punizione in generale non possono dirsi efficaci, esse lo sono ancora meno per le donne. Molto più efficace in alternativa al carcere, sarebbero misure di probation e di giustizia ripartiva, diffuse in altri Paesi. Concordare il modo migliore per riparare il danno e reintegrare le donne nella società vuol dire sostenere i loro figli, con risultati in termini di abbattimento di recidiva, e con l’ulteriore effetto di ridurre la possibilità che i figli diventino a loro volta delinquenti .

Regole sovranazionali per le condizioni detentive delle donne

Le Regole penitenziarie europee del 2006 (regola 18.8b) affermano che deve essere dato rilievo alla necessità di tenere separati uomini e donne. Le Regole Minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite [1] adottate quasi 70 anni fa e al momento soggette ad un processo di revisione, affermano (regola 8) che “uomini e donne, per quanto possibile, devono essere ristretti in istituti separati, o in sezioni completamente separate dello stesso istituto”, ma non prestano particolare attenzione a come si possa ovviare alle pratiche discriminatorie che di fatto impediscono alle donne di beneficiare di tutte le disposizioni che possono rendere più accettabile il regime carcerario.

Il 21 dicembre 2010, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite[2] ha adottato un nuovo testo di disposizioni volte a colmare una lacuna negli standard internazionali riguardanti le esigenze specifiche delle donne in conflitto con la legge penale. Sono le Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute e le misure non detentive per le donne autrici di reati, note come le “Regole di Bangkok” a riconoscimento del ruolo determinante svolto dal Regno di Tailandia nella loro elaborazione. Seppure sprovviste di efficacia vincolante, le 70 Regole di Bangkok fanno parte dell’ampia raccolta di principi e linee guida, standard e norme, sviluppate dalle Nazioni Unite nel corso di più di 50 anni. L’Ufficio Studi del DAP ha provveduto a tradurne il testo e a diffonderlo. Esse sono divise in due sezioni, una contenente le disposizioni di applicazione generale e l’altra le regole dedicate a categorie speciali quali le madri, le straniere, le giovani.

interessante sottolineare che nella parte relativa alla valutazione del rischio le Regole considerano che generalmente le detenute presentano una pericolosità relativamente debole e che le misure di alta sicurezza su di loro hanno un effetto particolarmente negativo.

La regola n. l fissa il principio di individualizzazione del trattamento (“bisogna tenere conto delle esigenze peculiari delle donne detenute per l’attuazione delle presenti regole. Le misure adottate per soddisfare tali necessità non devono essere considerate discriminatorie”). E’ necessario prendere in considerazione le esigenze diverse delle donne rispetto a quelle degli uomini: l’attenzione a queste esigenze non è discriminatoria “il concetto di eguaglianza significa ben più che trattare tutte le persone allo stesso modo. Il trattamento uguale di persone in situazioni diseguali contribuirà a perpetuare l’ingiustizia e non a eradicarla”. Proprio perché le donne costituiscono una minoranza nell’ambito penitenziario i loro bisogni specifici sono spesso disattesi.

Tradizionalmente le carceri sono progettate e costruite da uomini per contenere uomini, quindi secondo un modello che mal si adatta alle necessità emotive, familiari, sociali e sanitarie femminili. In molti paesi le donne sono ospitate in sezioni sommariamente separate dalle sezioni maschili, per evitare situazioni di promiscuità ad esse è negato l’accesso alle strutture comuni per le attività sportive, lavorative e formative.

Spesso sono ristrette in carceri che si trovano molto lontano dalle loro famiglie e comunità di riferimento, rendendosi così difficili e onerosi i contatti con le loro famiglie. Le detenute sono spesso madri. La lontananza dai figli aggiunge sofferenza alla pena detentiva mentre i locali per le visite raramente offrono uno spazio adatto per ritrovare la vicinanza tra madre e figlio. In genere, la mancanza di affetti e i ritmi del carcere sono più difficili da accettare per le donne che per gli uomini e ciò si traduce in un numero maggiore di suicidi e di atti di autolesionismo. Uno degli aspetti su cui le Regole di Bangkok mettono più l’accento è l’incidenza dei casi di abuso sessuale e di violenza, anche familiare, delle detenute. Grande attenzione viene dedicata alla necessità di evitare il ripetersi di questo tipo di traumi, introducendo protocolli adeguati nelle relazioni tra le detenute e lo staff, soprattutto maschile, e cautele in materia di colloqui se la violenza può essere di carattere familiare. Le Regole di Bangkok dedicano molto spazio alle specifiche necessità delle donne in materia di salute ginecologica (PAP TEST, screening per il seno…), psicologica, psichiatrica, etc… e raccomandano la possibilità d’accesso a cure equivalenti a quelle disponibili all’esterno.

Le Regole di Bangkok sono il primo testo normativo internazionale che si occupa dei bambini che si trovano in carcere con le loro madri, estendendo ad essi il diritto ad una assistenza sanitaria adeguata. Ampio spazio è dedicato alle cure prenatali, all’allattamento al seno e alla difficile decisione sul se e fino a quando lasciare il bambino con la madre, nonché a come preparare la separazione nel modo meno traumatico possibile, sempre rispettando l ‘interesse superiore del minore. Sono molto interessanti le Regole 68, 69 e 70 che riguardano la promozione di lavori di ricerca sul numero di minori la cui madre è detenuta e sull’impatto che questa situazione ha su di essi, allo scopo di contribuire alla formulazione delle politiche e programmi che tengano conto dell’interesse superiore dei bambini e al fine di promuovere il reinserimento sociale delle donne autrici di reato e conseguentemente ridurre l’impatto negativo su di essi. Alcune disposizioni sono dedicate alle detenute straniere con particolare riferimento alle politiche di trasferimento dei detenuti nel loro paese di origine e di rimpatrio dei figli.

Nelle Regole di Bangkok troviamo anche un importante capitolo sul personale penitenziario il cui ruolo nell’assistenza delle donne detenute nel loro percorso di reinserimento è più volte sottolineato. La formazione professionale specifica diventa lo strumento principale affinché il personale, a tutti i livelli, possa mettere in atto le misure necessarie a soddisfare le esigenze specifiche di genere e a rimuovere le pratiche discriminatorie contro le donne. Importante la parte delle Regole dedicata alle sanzioni non detentive. Tutela delle detenute madri con i figli in carcere La legge 21 aprile 2011, n. 62 tutela il rapporto tra i minori e le madri che si trovano in stato di privazione della libertà personale. Secondo la legge le detenute madri (o i detenuti, in mancanza o nell’impossibilità delle madri) devono essere collocate negli istituti a custodia attenuata, ICAM (sul modello di quello che nacque a Milano nel 2007), che hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto alle carceri tradizionali e ispirate a quelle di una casa di civile abitazione. In queste strutture è attuato un regime penitenziario di tipo familiare-comunitario incentrato sulla responsabilizzazione del ruolo genitoriale in modo da dare un’adeguata garanzia alla genitorialità e assicurare la crescita armoniosa e senza traumi dei minori.

Sono in procinto di aprire nuovi ICAM in Piemonte, Toscana, Lazio e Campania, mentre è già operativo, oltre a quello di Milano, l’ICAM del Veneto (Venezia-Giudecca, per 12 posti) ed è stato di recente inaugurato quello della Sardegna (Senorbì). La stessa legge per le donne incinte o con prole di età inferiore ai dieci anni, prevede che le pene detentive non superiori a quattro anni, anche se costituenti parte residua di maggior pena, siano espiate in regime di detenzione domiciliare presso la propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora o presso la nuova figura della casa-famiglia protetta. Queste strutture agevolano l’accesso alla misura cautelare degli arresti domiciliari e alla misura alternativa della detenzione domiciliare e in questo senso rappresentano uno snodo essenziale per l’attuazione delle finalità della predetta legge. Il Ministro della Giustizia, come previsto dall’art. 4 comma 1 della legge, sulla base di un’intesa con la Conferenza Stato-Città ed Autonomie Locali, con decreto 8 marzo 2013 ha individuato le caratteristiche tipologiche delle “case-famiglia protette”. Esse, tra l’altro, debbono essere collocate in località vicine ai servizi territoriali, devono consentire un modello di vita comunitario, devono avere spazi interni da poter utilizzare per i colloqui con operatori e familiari e per effettuare eventuali visite mediche, devono prevedere servizi igienici e camere riservate agli uomini. La legge ha previsto che lo stesso Ministro della giustizia possa stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma mentre prevede una provvista finanziaria su specifici capitoli di bilancio per la realizzazione degli istituti a custodia attenuata ICAM, per quanto riguarda le case-famiglia protette non vi è alcuna previsione di investimento. Al fine di consentire l’attuazione della legge alcune Associazioni in varie Regioni del territorio nazionale si sono attivate per mettere a disposizione strutture aventi i requisiti previsti. Deve essere segnalato in modo particolare il Progetto Nazionale di Accoglienza delle Donne detenute con figli predisposto dalla Caritas italiana insieme ai Centri diocesani Migrantes e all’Ispettorato dei Cappellani delle carceri italiane che assicura una rete di strutture di accoglienza disponibili su tutto il territorio nazionale e cura con grande impegno un piano di intervento che, tenendo conto della posizione giuridica delle detenute madri, predispone percorsi personalizzati in grado di garantire il reinserimento nella società. La presenza di detenute madri con prole al seguito che negli ultimi anni è sempre oscillata tra le 60 e le 40 unità è considerevolmente diminuita e il 7 gennaio 2015 le detenute madri erano 26 e i minori 27.

Detenute madri con i figli fuori dal carcere Il legislatore tutela, come si è detto, i bambini fino a tre o dieci anni d’età che vivono in carcere con la madre. Ma in realtà sono ancora numerose le madri detenute che non vedono mai i loro figli o li vedono saltuariamente durante le ore di colloquio. La legge n°54 del 08/02/2006 “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli” ha introdotto il principio della bigenitorialità, inteso come diritto del minore a mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori anche dopo la cessazione della loro convivenza.

Il decreto legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154 “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219”, entrato in vigore lo scorso 7 febbraio, ha disposto una revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione e all’art. 55 ribadisce che il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori di ricevere cura educazione istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. La convivenza cessa non soltanto in caso di separazione ma anche in caso di detenzione di uno dei due genitori e anche in questa situazione i figli mantengono il diritto alle relazioni con entrambi i genitori e non devono essere discriminati.

Non sempre la genitorialità del detenuto è salvaguardata pienamente e ancora si è portati a ritenere, con troppa superficialità, che colui che si trova in carcere possa non essere in grado di occuparsi dei propri figli. Per tutelare i bambini e gli adolescenti che vivono la condizione di avere padre, madre o entrambi i genitori in carcere, il 21 marzo 2014 è stata sottoscritta dal Ministro della Giustizia, dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e dall’Associazione

Bambinisenzasbarre la Carta dei figli dei genitori detenuti, documento unico in Europa, che afferma i diritti fondamentali del minore il cui genitore sia recluso (oltre 100.000 in Italia). La Carta impegna il sistema penitenziario all’accoglienza dei minori e istituisce un Tavolo permanente per il monitoraggio sull’attuazione dei suoi principi.

Tra i punti fondamentali è sancito che di fronte all’arresto di uno o di entrambi i genitori, il mantenimento della relazione familiare costituisce un diritto del bambino, al quale va garantita la continuità di un legame affettivo fondante la sua stessa identità e un dovere/diritto del genitore di mantenere la responsabilità e continuità del proprio stato. La preservazione dei vincoli familiari svolge un ruolo importante per il genitore detenuto anche nella sua reintegrazione sociale e nella prevenzione della recidiva. L’impegno per l’Amministrazione penitenziaria è quello di creare un ambiente che accolga adeguatamente i bambini trovando il giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i necessari contatti familiari e grande rilevanza è data alla formazione del personale che sappia accogliere i bambini e i loro familiari.

Nel recente passato si è dato corso alla sperimentazione dell’uso di una scheda unica per acquisti al sopravitto e telefonate. Recentemente sono state date disposizioni agli istituti penitenziari affinchè i colloqui siano organizzati su sei giorni alla settimana, prevedendo almeno due pomeriggi ed è stata data la possibilità di cumulare le visite nel mese, qualora non siano state usufruite, e questo per favorire i minori che vanno a scuola. Anche l’eliminazione del bancone divisorio nelle sale colloqui, la realizzazione di spazi verdi, un sistema di visite su prenotazione, l’introduzione della tessera telefonica e l’utilizzo di skype (anche se non realizzati in tutti gli istituti) vanno sicuramente nella giusta direzione. Sono molti gli interventi che volontari e associazioni già realizzano in molti istituti italiani: accompagnano i bambini ai colloqui in carcere, rendono più brevi le attese e sostengono i bambini durante le perquisizioni, rendono più gradevoli i locali adibiti al colloquio; danno sostegno al genitore che si rifiuta di condurre il figlio in carcere a visitare il padre o la madre; aiutano ai bambini a mantenere rapporti costanti con il genitore detenuto; danno modo agli stranieri di mettersi in contatto telefonico con la propria famiglia in modo che chi ha problemi di fuso orario possa comunque interloquire con i figli lontani.

Attività trattamentali Le donne hanno una minore possibilità di accesso alle attività trattamentali. E’ una discriminazione involontaria dovuta al loro numero limitato e all’impossibilitàdi condividere con gli uomini le strutture. Alle donne sono però affidate molte lavorazioni d’eccellenza, anche se queste opportunità sono ancora destinate soltanto ad una parte di loro. Nell‘istituto di Bollate le sezioni femminili sono coinvolte nel lavoro di imprese di scenografia, cucina e catering, esperti di controllo qualità, giardinieri e laboratorio di cosmetici.

Vi è pure una sartoria per la realizzazione anche di abiti d’epoca; nel laboratorio si lavora su ordinazioni ricevute presso il negozio a Castello “Banco IO”, dove lavora la coordinatrice del progetto). Nella Casa Circondariale della Giudecca a Venezia lavora una lavanderia e l’azienda agricola con un orto, che misura 6000 metri quadri ed è provvisto di grandi serre; al suo interno si coltiva un po’ di tutto, compresi numerosi ortaggi regionali: i radicchi di Treviso, Verona e Castelfranco, il broccolo padovano e quello di Creazzo, il carciofo violetto di Sant’Erasmo.

Nell’orto c’è spazio anche per un oliveto, un frutteto, la zona per il compost, il tunnel con i semenzai e una sezione denominata “aromantica”, dedicata alle officinali e ai peperoncini. La produzione è abbondante e i frutti e gli ortaggi raccolti vengono venduti al mercatino che si tiene fuori dal carcere ogni giovedì mattina (Fondamenta delle Convertite, Giudecca 712). Quelli in eccedenza finiscono in borse assortite di verdure vendute e distribuite dai gruppi di acquisto solidale della zona, mentre le erbe aromatiche e medicinali vengono usate dal laboratorio di cosmetica per la preparazione di prodotti di bellezza e di cortesia richiesti da alcuni alberghi della laguna.

L’officina Creativa degli istituti di Lecce e Trani che produce e distribuisce borse, accessori e capi di abbigliamento realizzati con materiale di riciclo (in vendita anche presso il negozio Eataly di New York) e ha un’importante scuola di cucina. A S. Vittore a Milano vi è una sartoria che lavora tra l’altro anche le toghe per avvocati e magistrati riuscendo a spezzare il meccanismo giudiziario. Sono attuati anche il progetto “parole in libertà nel quale le donne scrivono un libro e il progetto flamenco nel quale le detenute gitane raccontano la loro esperienza nonché il giornale “Oltre gli occhi”.

A Vercelli la sartoria “Codice a sbarre” produce camici per i medici dei reparti di pediatria, abiti da lavoro, divise scolastiche e capi di abbigliamento commercializzati in numerose boutique. Nella Casa circondariale di Monza vi sono la produzione di assemblaggio giocattoli e la revisione merce con un punto vendita di elettrodomestici che sono stati revisionati dalle detenute come funzionanti ed integri anche se hanno le confezioni deteriorate. A Pozzuoli la produzione di caffè “Lazzarelle” ottenuto da una pregiata miscela di chicchi provenienti da Brasile, Costa Rica, Colombia, Guatemala, India, Uganda. A Rebibbia l’azienda agricola e la produzione di borse realizzate in pvc riciclato (ogni borsa è un pezzo unico); vi è pure il laboratorio di sartoria “Ricuciamo” che recentemente ha cucito un abito per Miss Italia.

A Torino nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno le detenute inventano accessori femminili con i materiali che normalmente vengono buttati o dimenticati , li lavorano come se fossero rari e preziosi . Il marchio è “Fumne” (donne in torinese) ha prodotto di recente anche un profumo. A Bologna la sartoria “Gomito a gomito” confeziona generi di abbigliamento e accessori. Nella sezione femminile della Casa circondariale di Benevento vi sono il laboratorio di oreficeria e le ceramiche. A Latina cappelli, sciarpe, borse sono realizzati dalle detenute. Nel carcere vi è pure un teatro come in tanti altri istituti.

Vita quotidiana C’è una sostanziale differenza di genere nel modo di vivere il carcere. Gli uomini hanno una maggiore capacità di adattarsi all’ambiente o di accettare la carcerazione come conseguenza di comportamenti devianti. Le donne subiscono con sofferenza il carcere e per esse il bisogno di aggregazione e socialità è molto più forte che per gli uomini e i loro rapporti interpersonali rispondono più a logiche di espressione di affettività, che a quelle di comparazione della forza, sia essa forza fisica o forza del prestigio criminale. Generalmente le donne considerano i reati che le hanno portate in carcere come incidenti di percorso e non scelte di vita consapevoli. Hanno un senso di vergogna e la preoccupazione per il dopo, legata non soltanto alla possibilità di reinserimento lavorativo, ma anche a quella di essere accettate in società e di poter tornare a vivere un’esistenza normale (esse spesso hanno avuto una vita normale e non hanno solide carriere criminali alle spalle).

Le celle e gli spazi individuali vengono curati dalle donne con attenzione particolare: le stanze sono ordinate e pulite, tenute meglio di quelle maschili; le donne tendono a riprodurre nella loro stanza l’ambiente familiare e i gesti consuetudinari compresa l’attenzione al proprio corpo. E’ stato diffuso dal DAP uno schema di Regolamento interno predisposto per le sezioni femminili che tiene conto delle peculiarità dell’esecuzione penale riguardante il genere femminile al fine di elaborare accorgimenti organizzativi e offerte riabilitative idonei a cogliere e valorizzare la specificità della popolazione detenuta femminile. In esso trovano particolare attenzione la dimensione affettiva, le specifiche necessità sanitarie, il diverso rapporto con le esigenze della propria fisicità, la necessità di offrire pari opportunità di reinserimento sociale e sono accresciuti i momenti di compresenza con i detenuti maschi (scuola e formazione in genere, iniziative culturali, ricreative e sportive, partecipazioni alle commissioni di rappresentanza previste dall’Ordinamento penitenziario, ecc.).

Nel Regolamento penitenziario della sezione femminile di Vercelli per esempio è previsto espressamente che la detenuta possa tenere con sé la fede, catenine, orecchini e oggetti di bigiotteria (di modico valore); creme depilatorie, deodoranti, creme, smalto, cosmetici, pinze per le ciglia, depilatore elettrico, extention, tinta per i capelli, crema lisciante per capelli crespi; lenti a contatto, ferri per lana con punta arrotondata, kit per cucito. All’atto dell’ingresso la detenuta riceve anche un kit per l’igiene personale tra cui assorbenti igienici. L’arredo della cella comprende uno specchio, infine sono disponibili una lavatrice e un servizio di parrucchiera. Tutela della salute delle donne detenute Le donne in carcere hanno esigenze di salute molto diverse rispetto agli uomini . La normativa di riordino della sanità penitenziaria prende in considerazione in modo specifico il tema della detenzione femminile. Il d.lgs. 230/1999 nell’art. 1, comma 2, lettere e) e f) stabilisce che il servizio sanitario nazionale assicura appropriate, efficaci ed essenziali prestazioni di prevenzione, diagnosi precoce e cura per le donne detenute e internate, l’assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità, nonché l’assistenza pediatrica e i servizi di puericultura per i figli delle recluse. Le “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale” allegate al D.P.C.M. 1.4.2008 dedicano attenzione alla detenzione femminile: l’allegato A contiene un apposito piano di interventi dedicato alla condizione detentiva femminile.

Pur costituendo una netta minoranza rispetto alla popolazione maschile, alle detenute si riconoscono specifiche e particolari esigenze legate ad una situazione sanitaria preoccupante. Tra le azioni programmatiche, si ricordano in particolare: • il monitoraggio dei bisogni assistenziali delle recluse con particolare riguardo ai controlli di carattere ostetrico-ginecologico • gli interventi di prevenzione e di profilassi delle malattie a trasmissione sessuale e dei tumori dell’apparato genitale femminile • corsi di informazione sulla salute per le detenute e le minorenni sottoposte a provvedimento penale e di formazione per il personale dedicato, che forniscano anche utili indicazioni sui servizi offerti dalla Azienda sanitaria al momento della dismissione dal carcere o dalle comunità (consultori, punti nascita, ambulatori ecc.) • potenziamento delle attività di preparazione al parto svolte dai Consultori familiari • espletamento del parto in ospedale o in altra struttura diversa dal luogo di reclusione • sostegno e accompagnamento al normale processo di sviluppo psico-fisico del neonato Problemi di salute mentale originano per le donne dal loro stato di detenzione e dallo stress per la necessità di essere lontane dai figli e una percentuale non trascurabile degli atti di autolesionismo è compiuta dalle donne.

I rappresentanti dell’Amministrazione che prendono parte al Tavolo di consultazione permanente per la sanità penitenziaria, hanno mandato di promuovere le azioni necessarie per perseguire gli obiettivi di salute previsti nel D.P.C.M.[3] La Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento autorizza negli istituti penitenziari del territorio nazionale lo svolgimento di iniziative di studio e di ricerca condotte soprattutto da Università, ma anche da Enti sanitari, quali l’Istituto Superiore di sanità, riguardanti le patologie presenti in ambito detentivo femminile. Roma, Luglio 2015 Il Direttore dell’Ufficio Roberta Palmisano [1] Adottate dal Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Delitto ed i l Trattamento dei Delinquenti , svoltosi a Ginevra nel 1955, e approvate dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite con le risoluzioni 663C (XXIV)del 31 luglio 1957 e 2076 (LXIl) del 13 maggio 1977. [2] Risoluzione 65/229, United Nations Rules for the Treatment of Women Prisoners and Non-cu stodia) Measures for Women Offenders (the Bangkok Rules). [3]Obiettivi di salute e Livelli essenziali di assistenza In accordo con il Piano sanitario nazionale sono, di seguito, indicati i principali obiettivi di salute che devono essere perseguiti, tenuto conto della specificità della condizione di reclusione e di privazione della libertà, attraverso l’azione complementare e coordinata di tutti i soggetti e le istituzioni che, a vario titolo, concorrono alla tutela della salute della popolazione ristretta negli istituti di pena: • promozione della salute, anche all’interno dei programmi di medicina preventiva e di educazione sanitaria, mirata all’assunzione di responsabilità attiva nei confronti della propria salute • promozione della salubrità degli ambienti e di condizioni di vita salutari, pur in considerazione delle esigenze detentive e limitative della libertà • prevenzione primaria, secondaria e terziaria, con progetti specifici per patologie e target differenziati di popolazione, in rapporto all’età, al genere e alle caratteristiche socio culturali, con riferimento anche alla popolazione degli immigrati • promozione dello sviluppo psico-fisico dei soggetti minorenni sottoposti a provvedimento penale, • riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio, attraverso l’individuazione dei fattori di rischio Fonte: Ministero della Giustizia di R.Palmisano

Penitentiary Act AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

Ministero della Giustizia dell’Italia

Aggiornato: luglio 2015


PREFAZIONE

Traduzione dall’inglese

la prima versione inglese completa dell’Atto Penitenziario italiano; eravamo allora consapevoli che il lavoro poteva essere migliorato anche se era stato svolto, con grande cura, dai traduttori dell’Ufficio Studi, Ricerche, Legislazione e Relazioni Internazionali del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria: Andrea Beccarini, Alessandra Bernardon, Vincenzo Flore, Giacomina Perna e Loreta Taraborelli.

È noto che le traduzioni di opere normative sono caratterizzate da un livello di difficoltà del tutto peculiare. L’accuratezza e l’univocità richiesta dal linguaggio normativo, da un lato, e la frequente mancanza di corrispondenza tra istituzioni giuridiche di paesi diversi, dall’altro mano, a volte obbligano il traduttore a creare espressioni completamente nuove o perifrasi adeguate alla mancanza di opzioni approvate da scegliere. Un lavoro così arduo coinvolge anche l’Atto Penitenziario, che si inserisce in un settore molto specializzato caratterizzato da differenze ancora notevoli tra i sistemi dei diversi paesi, anche se in ambito europeo si sta affermando una tendenza alla “coerenza” con determinati standard.
Un traduttore di opere normative è consapevole di stare calpestando un terreno in cui non è possibile raggiungere una piena accuratezza e sa che il contributo di chi ha una formazione giuridica in entrambe le lingue di traduzione è essenziale oltre che utile. Questa versione potrebbe avvalersi di tale contributo grazie all’esperienza della sig.ra Sally Cullen, magistrato di collegamento del Regno Unito. Le siamo molto grati per la sua preziosa collaborazione e per la sua grande disponibilità. Con tutti gli sforzi e la cura che ci mettiamo, siamo consapevoli che la possibilità di errori non può mai essere evitata. In alcuni casi è sembrato preferibile mantenere i termini italiani per alcune istituzioni legali, invece di fare una mera traduzione letterale. E l’invito è ancora valido per coloro che dovessero trovare degli errori per favore segnalarceli.

Prima di tutto per i prigionieri di lingua inglese. Una migliore e più agevole comprensione dei diritti e doveri dei condannati e degli imputati detenuti nelle carceri o nell’ambito di misure alternative nella comunità o nell’ambito delle misure di sicurezza della detenzione, la possibilità di rapporti con i rappresentanti dell’istituzione e con la comunità esterna devono favorire la rispetto delle norme che regolano la vita carceraria nonché per ridurre le numerose difficoltà che il detenuto deve affrontare in quanto cittadino straniero.
Lo sforzo per colmare questa lacuna è però d’obbligo per questa Amministrazione, anche alla luce degli impegni internazionali del nostro Paese.
In secondo luogo, la traduzione inglese contribuirà a diffondere più ampiamente la conoscenza dell’Atto Penitenziario italiano che, pur risalendo a venticinque anni fa, è ancora – nel suo campo e in molte sue soluzioni – uno dei più avanzati il mondo.

11 settembre 2002

Giovanni Tamburino


ATTO PENITENZIARIO
(Legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modificazioni)

ARTICOLO I
TRATTAMENTO CARCERIERE

CAPO I
PRINCIPI GUIDA


1. Trattamento e rieducazione

1. Il trattamento carcerario deve essere umano e assicurare il rispetto della dignità di ciascuno.

2. Il trattamento è improntato all’assoluta imparzialità, senza discriminazioni in base alla nazionalità, alla razza, allo stato economico e sociale, alle opinioni politiche e alle convinzioni religiose.

3. L’ordine e la disciplina sono mantenuti all’interno degli istituti penali. Non possono essere imposte restrizioni che non siano giustificabili con i predetti requisiti, o, nei confronti degli imputati, non siano essenziali ai fini giudiziari.

4. I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati per nome.

5. Il trattamento degli imputati si basa sul principio che non sono considerati colpevoli fino alla pronuncia della sentenza definitiva.

6. I condannati e gli internati sono sottoposti ad un trattamento riabilitativo, volto al loro reinserimento sociale, anche attraverso i contatti con la comunità esterna. Il trattamento sarà adattato a ciascun individuo in relazione alle specifiche esigenze e circostanze personali.
 

2. Spese sostenute in relazione all’esecuzione delle sentenze e alle misure di sicurezza della carcerazione

1. Le spese sostenute in relazione all’esecuzione delle sentenze e delle misure di sicurezza della carcerazione sono a carico dello Stato.

2. Il condannato rifonde le spese di mantenimento ai sensi dell’art. 145, 188, 189 e 191 del codice penale e dell’art. 274 del codice di procedura penale.

3. Per quanto riguarda gli internati, le spese per il loro mantenimento sono rimborsate mediante l’assunzione di una parte della loro retribuzione ai sensi del penultimo comma dell’art. 213 cp, o in conseguenza del provvedimento relativo al rimborso delle spese di ricovero, di cui all’ultima parte dell’art. 213 cp.

4. Le spese di mantenimento coprono il cibo, il vestiario e la biancheria da letto.

5. Il rimborso delle spese di mantenimento non può eccedere i due terzi del costo reale. Il Ministro della giustizia, all’inizio dell’esercizio, sentito il Ministro del tesoro, fissa l’importo medio per il mantenimento dei detenuti in ogni istituto penale della Repubblica italiana.
 

3. Pari condizioni tra detenuti e internati

1. Ai detenuti e agli internati sono garantite eguali condizioni di vita negli istituti penali. In particolare, il Regolamento prevede limitazioni all’ammontare del “peculo” disponibile e delle merci ricevute dall’esterno.


4. Esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati

1. I detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro riconosciuti dalla presente legge, anche se si trovano in condizione di interdizione legale.


4-b. Divieto di concedere benefici e di valutare la pericolosità per la società dei delinquenti condannati per reati particolari

1. Ai detenuti e agli internati possono essere concessi il lavoro fuori dal carcere, i permessi bonus e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, fatta eccezione per la liberazione anticipata, laddove siano detenuti per i seguenti reati solo se tali detenuti e internati presentano le prove dello Stato in termini di arte. 58-c della presente legge: reati commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante atti di violenza, reato di cui all’art. 416-b cp, delitti commessi nelle condizioni previste dal medesimo articolo o per agevolare l’attività delle associazioni da esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-b, comma 1, 600-c, comma 1 e 2, 601, 602, 609-h, ove ricorra la condizione prevista dall’art. 1-d del presente articolo ricorre, e 630 cp, dall’art. 291-d del Testo Unico delle disposizioni in materia doganale approvato con DPR n. 43 del 23 gennaio 1973, e dall’art. 74 del TU in materia di droghe e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione delle relative dipendenze, ai sensi del DPR 9 ottobre 1990, n. 309. Sono mantenute le disposizioni degli articoli 16-1 e 17-b del decreto legge 9 ottobre 1990, n. del 15 gennaio 1991, n. 8, entrato in vigore con modificazioni dalla Legge 15 marzo 1991 n. 82. Sono mantenute le disposizioni degli articoli 16-ie 17-b della legge con decreto 15 gennaio 1991, n. 8, entrato in vigore con modificazioni dalla Legge 15 marzo 1991 n. 82. Sono mantenute le disposizioni degli articoli 16-ie 17-b della legge con decreto 15 gennaio 1991, n. 8, entrato in vigore con modificazioni dalla Legge 15 marzo 1991 n. 82.

1-b. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi a detenuti o internati per uno dei reati indicati nel medesimo comma, a condizione che le prove acquisite abbiano definitivamente escluso attuali legami con la criminalità organizzata, il terrorismo o le organizzazioni eversione, nonché quando la sentenza di condanna definitiva ha accertato la loro limitata partecipazione al reato o quando è stato emesso un giudizio definitivo che accerta i fatti e le responsabilità, rendendo impossibile una proficua collaborazione con la giustizia, nonché quando, sebbene la loro collaborazione sia oggettivamente irrilevante, è stato loro riconosciuto uno dei le circostanze attenuanti previste dall’art. 62, numero 6), anche ove i danni siano stati risarciti dopo l’ultima sentenza, ovvero dall’art. 114 cp, o dal disposto dell’art. 116, comma 2, del medesimo Codice.

1-c. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi solo qualora non sussistano indizi di attuali legami con organizzazioni criminali, terroristiche o estorsive a detenuti e internati imputati dei reati di cui ai seguenti articoli: 575, 600-b, commi 2 e 3, 600-c, comma 3, 600-e, 628, comma 3, 629, comma 2, cp, 291-c del già citato Testo Unico approvato con DPR n. 43 del 23 gennaio 1973, art. 73 del già citato testo unico approvato con DPR 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente all’ipotesi aggravata ai sensi dell’art. 80, comma 2, del citato testo unico, articolo 416 cp, commessi al fine di commettere i reati previsti dal libro II, Titolo XII, Capo III, comma 1, del medesimo codice,

1-d. I benefici indicati nel comma 1 possono essere concessi a detenuti o internati per i reati di cui agli articoli 600-b, 600-c, 600-d, 600-e, 609-b, 609-c, 609-d, 609-e, 609-h e 609-k cp solo sulla base dell’osservazione scientifica della personalità del detenuto, svolta congiuntamente per almeno un anno anche insieme ai periti indicati nel comma 4 dell’articolo 80 della presente legge. Al reato di cui all’articolo 609-b del codice penale si applicano le disposizioni del periodo precedente, salvo che si applichi l’attenuante prevista dal medesimo articolo.

1-e. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione di benefici a detenuti e internati per i reati di cui agli articoli 600-b e 600-c, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-d.1, 600- e, 609-d, 609-e e 609-k del codice penale, nonché degli articoli 609-b e 609-h del medesimo codice, se commesso nei confronti di un minore, il giudice di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione dell’autore del reato allo specifico programma riabilitativo, di cui all’articolo 13-b della presente legge.

2. In ordine alla concessione dei benefici di cui al comma 1, il giudice di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza, dopo aver acquisito dettagliate informazioni tramite la commissione provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente per il luogo di detenzione del condannato . In ogni caso il giudice decide trenta giorni dopo l’istruttoria. Al predetto comitato provinciale può essere convocato il governatore del carcere dove è incarcerato il condannato.

2-b. In ordine alla concessione dei benefici di cui al comma 1-c decide il giudice di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza dopo aver acquisito dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trenta giorni dopo l’istruttoria.

3. Qualora il Comitato ritenga che sussistano particolari esigenze di sicurezza o che possano essere mantenuti collegamenti con organismi operanti in ambito non locale o extranazionale, ne informa il giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato per altri trenta giorni, al fine di acquisire fatti ed informazioni dagli organi centrali competenti.

3-b. Ai detenuti e agli internati, incarcerati per reati fraudolenti, non possono essere concessi lavoro fuori dal carcere, congedi gratuità e misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, ove il procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale, su loro iniziativa o su ammonimento del commissione provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica avente giurisdizione sul luogo di detenzione o internamento, informa degli attuali legami con la criminalità organizzata. In tal caso, le procedure previste dai commi 2 e 3 sono annullate.

 

CAPO II
CONDIZIONI GENERALI

5. Caratteristiche degli edifici carcerari

1. Gli istituti penali devono essere costruiti in modo da accogliere un numero ragionevole di detenuti e internati.
2. Gli edifici carcerari devono disporre di locali in cui possono svolgersi le attività associative, nonché di locali che soddisfino le esigenze della vita di un individuo.


6. Alloggio e pernottamento

1. I locali in cui sono tenuti i detenuti e gli internati devono essere di dimensioni ragionevoli, con illuminazione artificiale e naturale che consenta lo svolgimento della lettura e del lavoro; ben aerati, riscaldati ove richiesto dalle condizioni climatiche, e dovranno essere dotati di servizi igienici privati, adeguati e funzionali. Tali locali devono essere ben tenuti e puliti.
2. I locali per i posti letto sono costituiti da stanze per una o più persone.

3. Particolare cura deve essere posta nella scelta dei trasgressori assegnati ai locali per più persone.

4. All’imputato è concesso un posto letto in stanze singole purché la particolare situazione del carcere lo consenta.

5. Ogni prigioniero e internato deve disporre di una biancheria adeguata.
 

7. Abbigliamento e articoli da toeletta

1. Ogni trasgressore deve essere dotato di biancheria da letto, vestiti e articoli da toeletta sufficienti, in buono stato di manutenzione e puliti per soddisfare le normali esigenze della vita. 
           
2. Gli indumenti devono essere di un colore semplice e di aspetto ragionevole. Gli indumenti da lavoro devono essere indossati ove necessario per motivi di lavoro.

3. Le persone accusate e condannate a una pena detentiva non superiore ad un anno possono indossare i propri abiti purché puliti e idonei. Le persone accusate devono essere munite di abiti diversi da quelli forniti ai condannati e agli internati.

4. Ai detenuti e agli internati può essere consentito l’uso di propri abiti e oggetti di particolare valore morale o affettivo.


8. Igiene personale

1. Ai detenuti e agli internati è assicurato l’uso di lavandini e impianti per il bagno o la doccia adeguati e sufficienti, nonché di altri oggetti necessari alla loro cura e pulizia.

2. In ogni istituto penale sono previste strutture per il taglio e la rasatura periodici dei capelli. Potrebbe essere consentito l’uso di un rasoio elettrico personale.

3. Il taglio e la rasatura dei capelli possono essere imposti solo per particolari motivi sanitari.

9. Cibo

1. Ai detenuti e agli internati deve essere fornito cibo sano e sufficiente, tenendo conto della loro età, sesso, salute, lavoro, stagione e clima.

2. Gli alimenti sono generalmente forniti in locali idonei a tale scopo.

3. L’acqua potabile deve essere sempre a disposizione dei detenuti e degli internati.

4. La quantità e la qualità dell’alimentazione quotidiana è determinata da apposite tabelle approvate con decreto ministeriale.

5. L’amministrazione penitenziaria provvede, di regola, direttamente al servizio di ristorazione.

6. I rappresentanti dei detenuti o internati, estratti a sorte una volta al mese, vigilano sull’applicazione di dette tavole e sulla preparazione dei pasti.

7. I detenuti e gli internati possono acquistare, a proprie spese, viveri e rinfreschi nei limiti fissati dal regolamento. Di norma la vendita di generi alimentari o rinfreschi è affidata a negozi carcerari gestiti direttamente dall’amministrazione penitenziaria oa ditte di vendita di merci i cui prezzi sono controllati dalle autorità comunali. I prezzi non possono superare i prezzi normalmente praticati nel luogo in cui ha sede l’istituto penale. I rappresentanti di cui al comma precedente, oltre a un delegato del direttore scelto tra il personale civile dell’istituto penale, controllano la qualità ei prezzi dei beni che vengono venduti all’interno del carcere.


10. Tempo da trascorrere all’aperto

1. Ai trasgressori che non lavorano all’esterno è consentito un esercizio quotidiano di almeno due ore al giorno. Solo per motivi eccezionali tale termine può essere ridotto a non meno di un’ora al giorno.

2. Le attività all’aperto sono svolte in gruppo, salvo i casi previsti dall’art. 33 e nei numeri 4) e 5) dell’art. 39, e sarà dedicato, se possibile, all’allenamento fisico.

11. Servizio sanitario

1. Ogni istituto di pena deve disporre di un servizio medico e di un servizio farmaceutico conformi alle esigenze di prevenzione e assistenza sanitaria relative ai detenuti e agli internati; almeno uno specialista in psichiatria deve essere presente anche nelle carceri.

2. Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici, che non possono essere effettuati dai servizi sanitari carcerari, i detenuti e gli internati condannati sono trasferiti, con provvedimento del giudice di sorveglianza, agli ospedali civili o ad altri centri sanitari esterni. Per quanto concerne gli imputati, i suddetti trasferimenti sono disposti dal GIP, dopo la pronuncia della sentenza di 1° grado; dal gip prima della pronuncia della sentenza di 1° grado, nel corso dell’istruttoria formale; dal pubblico ministero, durante l’istruttoria sommaria e, in caso di processo sommario, fino alla comparizione dell’imputato in giudizio; dal giudice delegato, durante il procedimento istruttorio e durante il dibattimento; dal giudice di primo grado, durante il procedimento di sua competenza; dal presidente della Corte d’Appello, nel corso del procedimento istruttorio dinanzi alla Corte d’assise, fino alla riunione della Corte stessa e dal presidente della Corte dopo la sua convocazione.

3. L’autorità giudiziaria competente ai sensi del comma precedente può disporre, ove non vi sia minaccia di evasione, che i detenuti e gli internati che siano stati trasferiti in ospedali civili o in altri centri sanitari esterni con proprio provvedimento, ovvero con provvedimento di il direttore del carcere nei casi di massima urgenza, non deve essere sorvegliato durante la degenza ospedaliera, purché non sia necessario per tutelare la sua incolumità personale.

4. Qualora un detenuto o un internato non custodito esca dal centro sanitario senza giustificato motivo, può essere punito ai sensi del primo comma dell’art. 385 cp.

5. Non appena i trasgressori sono ammessi in un istituto penale, sono sottoposti a visita medica per accertare eventuali malattie fisiche o psichiche. L’assistenza sanitaria è assicurata, durante la detenzione in carcere, mediante controlli periodici e frequenti indipendentemente dalle richieste avanzate dagli interessati.

6. Ogni giorno un medico visiterà gli ammalati e coloro che ne richiedono la visita; segnala immediatamente la presenza di malattie che richiedano particolari ricerche e cure specialistiche; inoltre, verifica periodicamente l’idoneità dei soggetti alle mansioni alle quali sono stati assegnati.

7. I detenuti e gli internati sospettati o diagnosticati come affetti da una malattia contagiosa sono immediatamente isolati. Nel caso in cui si sospetti una malattia psichica, saranno adottate senza indugio sufficienti misure, secondo le norme in materia di assistenza psichiatrica e salute mentale.

8. In ogni istituto di pena femminile sono previsti servizi speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e alle donne che hanno partorito da poco.

9. Le madri possono tenere con sé in carcere i propri figli fino a tre anni. Sono previsti asili nido speciali per la cura e l’assistenza dei bambini.

10. L’amministrazione penitenziaria, per l’organizzazione e per il funzionamento dei servizi sanitari, può avvalersi dei servizi sanitari pubblici locali, ospedalieri ed altri servizi sanitari, d’intesa con la “Regione” e secondo la politica del Ministero della Salute.

11. I detenuti e gli internati possono chiedere a proprie spese di farsi visitare da un medico di propria scelta. Nei confronti degli imputati è necessaria l’autorizzazione del giudice del procedimento, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado.

12. Il “medico locale” deve recarsi presso gli istituti penitenziari almeno due volte l’anno per verificare le condizioni igienico-sanitarie, l’adeguatezza delle cure preventive previste dal servizio sanitario carcerario contro le malattie infettive e le condizioni igienico-sanitarie di detenuti negli istituti.

13. Il “medico locale” riferisce al Ministero della Salute e al Ministero della Giustizia sulle visite effettuate e sui provvedimenti da adottare, informandone anche i competenti uffici regionali e il giudice di sorveglianza.
 

12. Strutture per attività lavorative, educative e ricreative

1. Negli istituti penali, a seconda delle esigenze di cura, sono disponibili strutture per lo svolgimento delle attività lavorative, ricreative e culturali, nonché dell’istruzione e della formazione professionale, e di ogni altra attività associativa.

2. Gli istituti penali sono inoltre dotati di una biblioteca composta da libri e periodici, scelta dalla commissione prevista dal secondo comma dell’art. 16.

3. I rappresentanti dei detenuti e degli internati partecipano alla gestione della biblioteca.


CAPO III
MODALITÀ DI TRATTAMENTO

13. Trattamento su misura per soddisfare le esigenze degli individui

1. Il trattamento carcerario deve soddisfare le esigenze particolari di ogni delinquente.

2. L’osservazione scientifica dell’autore del reato si effettua sia nei confronti dei condannati che degli internati, al fine di registrare le deficienze fisiche e psicologiche e le altre cause del loro disadattamento sociale. L’osservazione si effettua all’inizio dell’esecuzione della pena e prosegue per tutta la pena.

3. Sulla base degli esiti dell’osservazione, per ogni condannato e internato, sono fornite le indicazioni relative allo svolgimento del trattamento riabilitativo e si compila il relativo programma; tale programma potrà essere integrato o modificato a seconda delle esigenze sorte durante l’esecuzione della sentenza.

4. Le indicazioni generali e particolari relative al trattamento sono contenute, unitamente ai dati giudiziari, anagrafici e sanitari, nel fascicolo personale, nel quale sono successivamente registrati gli sviluppi del trattamento prestato ei suoi esiti.

5. È favorita la collaborazione dei condannati e degli internati in relazione alle attività di osservazione e di cura.

13-b. Trattamento psicologico delle persone condannate per reati sessuali
perpetrati ai danni di minori

1. I condannati per i delitti di cui agli articoli 600-be 600-c, anche se relativi al materiale pornografico di cui agli articoli 600-d.1, 600-e, 609-d, 609-e e 609-k del cp, oltre che dagli articoli 609-b e 609-h del medesimo codice, se commessi nei confronti di un minore può essere sottoposto a un trattamento psicologico volto alla sua riabilitazione e sostegno. La loro partecipazione a detto trattamento è valutata ai sensi dell’articolo 4-b, comma 1-e, della presente legge ai fini della concessione dei benefici previsti dalla medesima norma.

14. Assegnazione, raggruppamento e categorie di detenuti e internati

1. Il numero dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari e nelle sezioni deve essere limitato in modo da favorire la personalizzazione del trattamento.

2. L’assegnazione dei condannati e degli internati a singole istituzioni e il loro raggruppamento in ali di ciascuna istituzione è predisposta con particolare riguardo alla possibilità di realizzare un comune programma riabilitativo e alla necessità di evitare reciproche influenze negative. In merito agli incarichi, di regola, i criteri di cui al primo e al secondo comma dell’art. 42 si applica.
 
3. È prevista la separazione degli imputati dai condannati e dagli internati, dei giovani dai 18 ai venticinque anni di età dagli adulti, dei condannati dagli internati e dei condannati all'”arresto” dai condannati alla reclusione per.

4. In determinate circostanze, i detenuti e gli internati possono essere ammessi ad attività organizzate per una diversa categoria di detenuti.

5. Le donne devono essere ospitate in istituti separati o in ali speciali di istituti penali.

14-b. Regime di sorveglianza speciale

1. I condannati, gli internati e gli imputati possono essere sottoposti a un regime di sorveglianza speciale per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile in più occasioni, ogni volta per un periodo non superiore a tre mesi, se:

  1. sono persone che mettono a repentaglio l’incolumità con il loro comportamento o sconvolgono l’ordine in carcere;
  2. sono persone che impediscono le attività di altri detenuti o internati con violenza o minaccia;
  3. sono persone che, in vita carceraria, si avvalgono dello stato di soggezione di altri detenuti nei loro confronti;

2. Il regime di cui al comma 1 è determinato con provvedimento motivato dell’amministrazione penitenziaria, previo parere del collegio disciplinare, più due esperti riuniti presso il collegio disciplinare previsto dal quarto comma dell’art. 80.

3. Gli imputati sono sottoposti a un regime di sorveglianza speciale, subordinato anche al parere dell’autorità giudiziaria procedente.

4. In casi di necessità e urgenza l’amministrazione può disporre provvisoriamente il regime di sorveglianza speciale prima di acquisire i prescritti pareri, che devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla data del provvedimento. Decorso tale termine l’amministrazione, acquisiti i prescritti pareri, prende le sue decisioni definitive entro dieci giorni e quindi, senza che sia intervenuta la decisione definitiva, decade il provvedimento provvisorio.

5. I condannati, gli internati e gli imputati possono essere sottoposti a un regime di sorveglianza speciale dal momento del loro ingresso in carcere, sulla base del loro precedente comportamento in carcere o di altro comportamento effettivo in libertà, indipendentemente dalla natura della la carica. L’autorità giudiziaria segnala ogni elemento, ove noto, all’amministrazione penitenziaria che decide sull’adozione dei provvedimenti di propria competenza.

6. Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente articolo è immediatamente riferito al giudice di sorveglianza affinché eserciti il ​​suo potere di vigilanza.

14-c. Rimostranza

1. L’interessato può proporre ricorso al tribunale di sorveglianza avverso il provvedimento che ordina o proroga il regime della sorveglianza speciale, entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento finale. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento.

2. Il tribunale di sorveglianza si pronuncia sul ricorso, con ordinanza in camera di consiglio, entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo.

3. Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L’interessato e l’amministrazione penitenziaria possono presentare denuncia.

4. Ove non diversamente previsto, si applicano le disposizioni del capo II-b del capo II.

14-g. Contenuti del regime di sorveglianza speciale

1. Il regime di sorveglianza speciale comporta le restrizioni strettamente necessarie al mantenimento dell’ordine e dell’incolumità, all’esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dall’atto penitenziario.

2. Per quanto concerne la corrispondenza dei detenuti, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 18-c.

3. Le restrizioni di cui ai commi precedenti sono stabilite nel provvedimento motivato che dispone il regime della sorveglianza speciale.

4. In ogni caso le restrizioni non possono riguardare: l’igiene e le esigenze relative alla salute; cibo; abbigliamento e biancheria da letto; la proprietà, l’acquisto e la ricezione di beni e oggetti consentiti dai regolamenti interni, nella misura in cui ciò non costituisca pericolo per l’incolumità; la lettura di libri e periodici; pratiche religiose; l’uso di apparecchi radiofonici autorizzati; esercizi all’aperto per almeno due ore al giorno salvo quanto previsto dall’art. 10 sono indicati; colloqui con i difensori nonché con coniugi, conviventi, figli, genitori, fratelli e sorelle.  

5. Se il regime della sorveglianza speciale non è attuabile nel carcere in cui si trova un detenuto o un internato, l’amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento motivato, il trasferimento in altro carcere idoneo, con il minor pregiudizio possibile alla difesa del detenuto e alla propria famiglia, dandone immediata comunicazione al giudice di sorveglianza. Il giudice di sorveglianza riferisce al Ministro sui casi in cui non sussistono motivi per il trasferimento.

15. Elementi di trattamento

1. Il trattamento dei condannati e degli internati si realizza principalmente mediante l’istruzione, il lavoro, la religione, le attività culturali, ricreative e sportive e favorendo un corretto contatto con l’esterno ei legami familiari.

2. Ai condannati e agli internati è garantito il lavoro, salvo impossibilità, ai fini del trattamento rieducativo.

3. Gli imputati sono ammessi, su loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificato motivo salvo o contraria autorità giudiziaria, alle attività lavorative o a frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente a loro scelta e , in ogni caso, a condizioni idonee alla loro forma giuridica.

 
16. Regolamento dell’istituto penitenziario

1. In ogni carcere il trattamento penitenziario è organizzato secondo le direttive impartite dall’amministrazione penitenziaria rispetto alle esigenze dei gruppi di detenuti e internati ivi detenuti.

2. Le modalità di cura da seguire in ogni carcere sono regolate da regolamenti interni, che sono predisposti e modificati da una commissione composta dal giudice di sorveglianza, in qualità di presidente, governatore, medico, cappellano, persona in responsabile delle attività lavorative, un educatore e un assistente sociale. Il comitato può avvalersi degli esperti di cui all’art. 80, comma 4.

3. Il regolamento interno disciplina altresì le ispezioni a cui devono sottoporsi tutte le persone che entrano o escono dal carcere, con qualsiasi mezzo.

4. I regolamenti interni e le relative modifiche sono approvati dal Ministro della giustizia.


17. Partecipazione della comunità esterna alle azioni rieducative

1. Le finalità del reinserimento dei condannati e degli internati nella comunità sono perseguite anche mediante sollecitazione e organizzazione della partecipazione dei privati ​​e delle istituzioni o enti pubblici o privati ​​alle azioni rieducative.

2. È consentito l’ingresso in frequenti istituti penali con l’autorizzazione e secondo le direttive del giudice di sorveglianza, previo parere favorevole del governatore.

3. I soggetti di cui al comma precedente operano sotto la vigilanza del governatore.


18. Visite, colloqui, corrispondenza e informazioni

1. Ai detenuti e agli internati sono concesse visite e corrispondenza con i familiari e altre persone, nonché con il difensore civico dei detenuti, anche per consentire loro di compiere un atto legale.

2. Le visite si svolgono in appositi locali sotto il controllo della polizia penitenziaria, tale controllo è meramente visivo e non uditivo.

3. Sono particolarmente incoraggiate le visite dei familiari.

4. L’amministrazione penitenziaria mette a disposizione dei detenuti e degli internati la cancelleria necessaria per la corrispondenza, ove ne siano a corto.

5. Possono essere autorizzati contatti telefonici con familiari e, in casi particolari, con terzi, con i mezzi e le cautele previste dalla normativa.

6. I detenuti e gli internati sono autorizzati a custodire con sé giornali, periodici e libri liberamente in vendita all’esterno ea custodire altri mezzi di informazione.

7. ABROGATO

8. Salvo l’art. 18-b prevede, per quanto concerne gli imputati, i permessi per visite fino alla sentenza di 1° grado, e l’autorizzazione al contatto telefonico è di competenza dell’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 11, comma 2. Dopo la sentenza di 1° grado, l’autorizzazione alle visite è di competenza del direttore del carcere.

9. ABROGATO

18-b. Interviste con finalità investigative

1. Il personale della Direzione investigativa antimafia di cui all’art. 3 del decreto legge 29 ottobre 1991, n. 345, entrato in vigore con modificazioni dalla legge 30 dicembre 1991 n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di cui all’art. 12 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, entrato in vigore con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991 n. 203, nonché gli agenti di polizia investigativa nominati dai preposti, a livello centrale, di il suddetto Dipartimento e dei suddetti servizi, hanno diritto a visitare le istituzioni carcerarie e possono essere autorizzati, ai sensi del comma 2 del presente articolo, a colloqui personali con detenuti e internati, al fine di ottenere informazioni utili per la prevenzione e la repressione dei reati connessi alla criminalità organizzata.

1 b. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai responsabili, almeno provinciali, degli uffici o dei reparti della Polizia di Stato e dei “Carabinieri” competenti per lo svolgimento delle indagini sul terrorismo, nonché ai gli agenti di polizia criminale nominati dai responsabili di livello centrale; tali disposizioni si applicano, nei limiti connessi agli aspetti rilevanti per il finanziamento del terrorismo, anche agli agenti della Guardia di Finanza, nominati dal responsabile di livello centrale, al fine di raccogliere dai detenuti e dagli internati informazioni utili alla prevenzione e punizione dei reati commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico.

2. Al personale di polizia di cui ai commi 1 e 1 b è rilasciata l’autorizzazione allo svolgimento degli interrogatori da:

  1.  il ministro della Giustizia o suo delegato, se si tratta di internati, condannati o imputati;
  2.  il pubblico ministero, quando si tratta di indagati; 


3. L’autorizzazione al colloquio di cui al comma 2 è iscritta in un apposito registro classificato tenuto dall’autorità competente al rilascio di tali autorizzazioni.

4. Nei casi di particolare urgenza, l’urgenza attestata dal Ministro dell’interno o, dal Capo della Polizia, delegato dal Ministro, l’autorizzazione al colloquio di cui al comma 2, lettera a), non può essere richiesto, e ne deve essere fatta immediata comunicazione all’autorità ivi indicata; la predetta autorità provvede all’iscrizione nell’apposito registro classificato di cui al comma 3.

5. Il Procuratore nazionale antimafia ha il potere di condurre colloqui personali con detenuti e internati, non essendo necessaria l’autorizzazione, ai fini dell’espletamento dei compiti di impulso e coordinamento previsti dall’art. 371-b del codice di procedura penale; le disposizioni di cui ai commi 2 e 4, quando concerne il colloquio con soggetti indagati, imputati o condannati per alcuni dei reati di cui all’art. 51, comma 3-b del codice di procedura penale, sono comunicati alla predetta Procura nazionale antimafia.

18 c. Restrizioni e controlli sulla corrispondenza

1. Per esigenze rilevanti ai fini delle indagini sia di indagine che di prevenzione dei reati, nonché per motivi di ordine e sicurezza del carcere, ai detenuti e agli internati possono essere imposte le seguenti restrizioni, per un periodo non superiore a sei mesi , prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:

  1. restrizioni alla corrispondenza postale e telegrafica, nonché alla ricezione della stampa;
  2. controllo della corrispondenza;
  3. il controllo del contenuto delle buste di corrispondenza, senza leggere la corrispondenza stessa.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano quando la corrispondenza è indirizzata ai soggetti indicati all’articolo 103, comma 5 dell’articolo 103 del codice di procedura penale, all’autorità giudiziaria, alle autorità indicate all’articolo 35 della presente legge, al membri del Parlamento, alle rappresentanze diplomatiche o consolari degli Stati di cui gli interessati sono cittadini e agli organi amministrativi o giudiziari internazionali preposti alla tutela dei diritti umani, di cui l’Italia è membro.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 sono adottate con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore del carcere:

  1. dal giudice di sorveglianza, per i detenuti e gli internati condannati, nonché per gli imputati dopo la sentenza di 1° grado;
  2. dal giudice di cui all’articolo 279 del codice di procedura penale per i detenuti imputati fino alla sentenza di 1° grado; se procede un giudice associato, il detto provvedimento è adottato dal Presidente del “Tribunale” o della Corte d’Assise.

4. L’autorità giudiziaria indicata al comma 3, mentre ordina il controllo della corrispondenza, quando non ritenga di effettuare direttamente tale controllo, può delegarlo al direttore del carcere o ad un funzionario dell’Amministrazione penitenziaria, dallo stesso nominato governatore.

5. Quando l’autorità giudiziaria indicata al comma 3, a seguito della verifica di controllo, ritiene che la corrispondenza o la stampa non possano essere consegnate o inoltrate al destinatario, ordina la conservazione della stessa. Il prigioniero e l’internato devono essere tempestivamente informati di ciò.

6. Contro le disposizioni di cui al comma 1 e al comma 5 può essere proposto ricorso, secondo la procedura prevista dall’art. 14-c, al tribunale di sorveglianza, quando il provvedimento è emesso dal giudice di sorveglianza o, negli altri casi, al tribunale situato nella circoscrizione in cui ha sede il giudice che ha emanato i provvedimenti. Il giudice che ha emanato il provvedimento non può far parte del collegio giudicante. Salvo quanto diversamente previsto dal presente comma, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale
.
7. Nel caso previsto dalla lettera c) del comma 1, le buste contenenti la corrispondenza sono aperte alla presenza del detenuto o dell’internato.

19. Istruzione

1. Gli istituti penali provvedono alla formazione culturale e professionale organizzando corsi di istruzione e formazione professionale obbligatori, secondo le linee guida vigenti e con l’ausilio di modalità adeguate alla situazione personale dei soggetti.

2. Particolare attenzione è riservata alla formazione culturale e professionale dei detenuti di età inferiore ai 25 anni.

3. I corsi delle scuole secondarie superiori possono essere avviati negli istituti penali secondo le modalità previste dai regolamenti scolastici.

4. È facilitato il completamento della formazione universitaria o di un corso di studi di pari livello e viene favorita la frequenza dei corsi scolastici tramite corrispondenza, radio e televisione.

5. Sarà consentito l’accesso alle pubblicazioni conservate in biblioteca, con facoltà di scegliere liberamente il materiale di lettura.

20. Lavoro

1. Negli istituti penali è comunque incoraggiata l’assegnazione al lavoro e la partecipazione a corsi di formazione professionale da parte di detenuti e internati. A tal fine possono essere istituite attività manifatturiere organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private, e possono essere istituiti, organizzati e svolti corsi di formazione professionale da aziende pubbliche, o da aziende private convenzionate con la “Regione”.

2. Il lavoro carcerario non è qualificato come punizione ed è retribuito.

3. Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per coloro che sono soggetti alle misure di sicurezza della “fattoria penale” e della “colonia del lavoro penale”. 

4. Ai detenuti soggetti alle misure di sicurezza dell’ospedale carcerario e dell’ospedale psichiatrico giudiziario può essere assegnato un lavoro conforme alle finalità terapeutiche.

5. L’organizzazione e le modalità del lavoro carcerario devono rispecchiare quelle della società esterna al carcere al fine di consentire ai detenuti di acquisire una competenza professionale adeguata alle normali condizioni di lavoro al fine di facilitarne il reinserimento sociale.

6. Nell’assegnazione del lavoro ai detenuti si deve tenere conto esclusivamente della durata della disoccupazione durante la detenzione o internamento, delle responsabilità familiari, delle loro competenze, nonché delle precedenti attività documentate svolte e delle attività che possono svolgere in la loro liberazione, con esclusione dei detenuti e degli internati sottoposti al regime di sorveglianza speciale di cui all’art. 14-b della presente legge.

7. L’inserimento lavorativo all’interno dell’istituto penale avviene nel rispetto delle graduatorie stabilite in due apposite graduatorie: una generica e l’altra per qualifica e mestiere.

8. Per la composizione delle graduatorie nelle graduatorie e per dare il nulla osta agli organi competenti per il collocamento, in ogni istituto penale è nominata una commissione composta dal governatore, da un componente degli ispettori o “sovrintendenti” di il Corpo di Polizia Penitenziaria e di un rappresentante del personale educativo, eletto nella categoria di appartenenza, di un rappresentante nominato congiuntamente dalle organizzazioni sindacali rappresentate in maggior numero a livello nazionale, di un rappresentante nominato dal comitato distrettuale per lavoro avente competenza territoriale, e di un rappresentante delle organizzazioni sindacali locali.

9. Alle riunioni del comitato partecipa, senza potere di deliberazione, un rappresentante dei detenuti e degli internati, estratto a sorte secondo le modalità previste dal regolamento interno dell’istituto penale.

10. Per ogni membro è scelto, nominato o designato un supplente secondo i criteri sopra indicati.

11. Le norme ei regolamenti generali applicabili ai collocamenti ordinari e agricoli, nonché all’art. 19 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, si applica al lavoro fuori dal carcere.

12. Per tutto quanto non previsto dal presente articolo si applicano le norme generali in materia di collocamento
.
13. Le amministrazioni penitenziarie, sia a livello centrale che locale, stipulano apposite convenzioni con soggetti pubblici e privati ​​o cooperative sociali interessate a dare opportunità di lavoro a detenuti e internati. Tali accordi disciplinano l’oggetto e le condizioni del lavoro, della formazione e della retribuzione, senza alcun onere a carico della finanza pubblica.

14. La direzione degli istituti penali, in deroga alle norme della contabilità pubblica generale ea quelle della contabilità speciale, e previa autorizzazione del ministro della giustizia, può vendere i prodotti fabbricati in carcere al prezzo di costo o sottocosto , tenendo conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per i prodotti corrispondenti sul mercato all’ingrosso della zona in cui è situato l’istituto penitenziario.

15. I detenuti e gli internati che mostrino particolari attitudini artigiane, culturali e artistiche possono essere esentati dal lavoro ordinario e possono essere autorizzati a svolgere tali attività in proprio.

16. Possono essere ammessi ad un apprendistato retribuito coloro che non hanno conoscenze tecniche sufficienti.

17. Il monte ore di lavoro svolto non deve eccedere i limiti previsti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, secondo tali leggi, devono essere garantiti il ​​riposo domenicale e la protezione assicurativa e previdenziale.

18. Ai detenuti e internati che frequentano i corsi di formazione professionale di cui al primo comma sono garantite, per quanto consentito dagli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa nonché ogni tutela prevista dalle vigenti disposizioni in merito ai suddetti corsi.

19. Ai fini della presente legge non si applica l’interdizione derivante da una sentenza penale o civile, per quanto riguarda l’instaurazione e l’esercizio di rapporti di lavoro nonché l’assunzione all’appartenenza a cooperative sociali di cui all’art. Legge 8 novembre 1991 n. 381.

20. Entro il 31 marzo di ogni anno il Ministro della giustizia trasmette al Parlamento una relazione analitica in relazione all’attuazione delle disposizioni di legge in materia di lavoro dei detenuti nell’anno precedente.

20-b. Modalità di organizzazione del lavoro

1. Il Soprintendente regionale all’Amministrazione Penitenziaria può assumere soggetti che non fanno parte dell’Amministrazione Penitenziaria, per contratto, con la direzione tecnica del processo produttivo; tali soggetti dovranno provvedere alla formazione specifica degli addetti al processo produttivo, contribuendo anche alla formazione professionale dei detenuti, in accordo con la “Regione”. Nuovi processi produttivi possono anche essere avviati, in via sperimentale, ricorrendo, se necessario, a servizi di imprese pubbliche o private ed acquisendo i progetti relativi ai suddetti servizi.

2. L’Amministrazione Penitenziaria, inoltre, applicando le disposizioni di cui all’art. 20, comma 11, coerentemente, promuove i manufatti carcerari anche mediante appositi accordi che verranno stipulati con imprese pubbliche o private dotate di un proprio sistema di distribuzione.

3. Le imprese private che dispongano di un ordine di fornitura all’amministrazione penitenziaria, previo accordo del direttore penitenziario, possono, in deroga alle norme della contabilità pubblica generale e della contabilità speciale, effettuare un pagamento differito, secondo le consuetudini e le norme vigenti.
4. Art. 1 della Legge 3 luglio 1942 n. 971, e dell’art. 611 delle disposizioni approvate con regio decreto 16 maggio 1920 n. 1908, sono abrogate.
 

21. Lavoro fuori dal carcere

1. I detenuti e gli internati possono essere ammessi al lavoro fuori dal carcere se sussistono condizioni idonee a garantire che le finalità previste dall’art. 15 deve essere raggiunto positivamente. Tuttavia, nel caso di persona condannata alla reclusione per uno dei delitti di cui all’art. 4-b, comma 1, l’affidamento al lavoro esterno può essere concesso dopo che sia stato scontato almeno un terzo della pena, e comunque non oltre 5 anni. Nei confronti delle persone condannate all’ergastolo, tale assegnazione può essere deliberata solo dopo che siano trascorsi almeno dieci anni.

2. I detenuti e gli internati ammessi al lavoro esterno sono di norma inviati a svolgere i loro compiti senza scorta, a meno che non sia ritenuto necessario per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro fuori dal carcere previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria competente.

3. Quando si tratta di imprese private, il detenuto o l’internato opera sotto il diretto controllo della direzione penitenziaria a cui è stato assegnato; a tal fine la direzione può avvalersi dei dipendenti e del servizio di probation.

4. Nei confronti di ogni detenuto o internato, l’ordinanza di ammissione al lavoro fuori dal carcere è esecutiva previa approvazione del giudice di sorveglianza.

4-b. Le disposizioni dei commi precedenti nonché la previsione di cui al comma 16, secondo periodo, dell’articolo 20 si applicano anche ai detenuti e agli internati ammessi a frequentare corsi di formazione professionale fuori dalle carceri.

4-c. I detenuti e gli internati, di regola, possono essere assegnati ad attività di volontariato e non remunerate, anche tenendo conto delle loro specifiche capacità e attitudini lavorative, nell’ambito di progetti di opere comunitarie per lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, il “consorzio dei comuni delle zone di montagna”, associazioni di comuni, aziende sanitarie locali o per enti e organizzazioni nazionali e internazionali impegnati nel sociale, nell’assistenza sanitaria o nel volontariato. I detenuti e gli internati possono anche essere assegnati ad attività di volontariato e non remunerate a favore delle vittime dei loro reati. In ogni caso, l’attività dei detenuti e degli internati si svolge con modalità che non pregiudicano le loro esigenze relative al lavoro, allo studio, alla famiglia o alla salute. I detenuti e gli internati che siano accusati o condannati per il reato di cui all’articolo 416-b del codice penale e per i delitti commessi nelle condizioni previste dal medesimo articolo o con lo scopo di agevolare le attività di associazione per delinquere indicate nell’art. lo stesso articolo, sono escluse dalle disposizioni del presente comma. Se coerenti, le modalità previste dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 28 agosto 2000. le modalità previste dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 28 agosto 2000. le modalità previste dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 28 agosto 2000.


21-b. Assistenza ai minori fuori carcere

1. Le donne condannate e le internate possono essere autorizzate ad accudire e assistere i propri figli di età inferiore ai dieci anni, fuori dal carcere, ai sensi dell’articolo 21.

2. Tutte le disposizioni relative al lavoro fuori dal carcere, in particolare l’art. 21, si applicano
.
3. Alle stesse condizioni, l’assistenza al bambino fuori dal carcere può essere concessa anche al padre che si trova in carcere, se la madre del bambino è morta o non è completamente in grado di prendersi cura di lui e non è possibile concedere l’affidamento del bambino a chiunque altro.

21-c. Visite ai bambini malati

1. Le madri detenute – condannate o imputate o internate – in caso di imminente pericolo di morte o di gravi condizioni di salute del figlio, anche non convivente, sono autorizzate con provvedimento del giudice di sorveglianza o, nei casi di estrema emergenza, del direttore del carcere, a fare visita al bambino malato, con le precauzioni previste dal regolamento penitenziario. Alla stessa visita sono autorizzati anche i padri detenuti nelle stesse condizioni delle madri. In caso di ricovero del bambino, le modalità della visita devono essere regolate tenendo conto della durata del ricovero e del decorso della malattia.

2. La madre carcerata – condannata o imputata o internata – di figli di età inferiore ai dieci anni, anche non conviventi, o il padre carcerato – condannato o imputato o internato – quando la madre è morta o completamente incapace di prendersi cura dei figli, è autorizzata, con provvedimento da emanarsi dal giudice competente entro le 24 ore precedenti l’orario della visita e con le modalità previste dal provvedimento stesso, ad assistere i propri figli durante le visite mediche specialistiche, rilevanti per la gravi condizioni di salute.

22. Determinazione del guadagno s

1. La retribuzione per ciascuna categoria di lavoratore è equamente stabilita in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente svolto, all’organizzazione e alla tipologia del lavoro, in proporzione almeno ai due terzi della retribuzione prevista dai contratti collettivi . A tal fine è costituito un Comitato, composto e presieduto dal Direttore Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dal Direttore dell’Ufficio del Lavoro dei detenuti e internati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, da un Ispettore generale degli istituti penali, da un rappresentante della il Ministero del Tesoro, un rappresentante del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e un delegato per ciascuna delle organizzazioni sindacali rappresentate in maggior numero a livello nazionale

2. L’Ispettore generale degli istituti penali funge da segretario del Comitato.

3. La suddetta Commissione fissa la retribuzione spettante ai tirocinanti.

4. Il Comitato fissa altresì la durata massima retribuita per l’aspettativa dal lavoro e le condizioni e i mezzi per fruirne, relativi ai detenuti e agli internati adibiti al lavoro, all’interno o all’esterno del carcere, o per svolgere servizi all’interno del carcere, che frequentano corsi della scuola dell’obbligo o delle scuole secondarie, o corsi di formazione professionale, ove tali corsi siano svolti in carcere, durante l’orario di lavoro ordinario.

 
23. Remunerazione e assegno familiare

1. Abrogato

2. Abrogato

3. Abrogato

4. I detenuti che lavorano e gli internati hanno diritto all’assegno familiare per le persone a carico, come previsto dalla legge.

5. L’assegno familiare è erogato direttamente alle persone a carico secondo le disposizioni previste dalla normativa.


24. Impegnabilità e pignoramento del compenso

1. Dal compenso spettante ai condannati è dedotto l’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese processuali. L’importo dovuto ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 3, dal compenso spettante ai condannati e agli internati.

2. In ogni caso, per i condannati è accantonato un importo in proporzione ai tre quinti. Tale importo non è soggetto a pignoramento o pignoramento, salvo gli obblighi derivanti da manutenzioni, o da prelievi per il risarcimento dei danni arrecati ai beni mobili e immobili appartenenti all’amministrazione.

3. Il compenso dovuto agli internati e agli imputati non è soggetto a pignoramento o pignoramento, salvo gli obblighi derivanti da alimenti, o da estrazioni per il risarcimento dei danni arrecati ai beni mobili e immobili appartenenti all’amministrazione.


25. “Salvo”

1. Il “peculo” dei detenuti e degli internati è costituito dalla quota del compenso loro spettante ai sensi dell’articolo precedente, dal denaro detenuto al momento dell’entrata in carcere, dal denaro ricavato dalle cose di loro proprietà, dal denaro inviato dai propri familiari o da altri, o del denaro ricevuto a titolo di bonus o di utilità.

2. L’importo costituito dal “peculo” è portatore di un interesse legale per gli intestatari.

3. Il “peculio” è trattenuto in deposito dalla Direzione dell’istituto penitenziario.

4. Il regolamento stabilirà le modalità del deposito e stabilirà la quota di “peculo” a disposizione di detenuti e internati per l’acquisto di effetti personali autorizzati o da inviare a familiari e conviventi, e la quota di “peculio” a essere dato a prigionieri e internati quando vengono rilasciati dalle istituzioni carcerarie.


25-b. Comitati regionali per il lavoro carcerario

1. Sono istituiti i comitati regionali per il lavoro carcerario. Sono presieduti dal Sovrintendente regionale dell’Amministrazione Penitenziaria; essi sono composti dai rappresentanti locali delle associazioni imprenditoriali e delle associazioni cooperative nonché dai rappresentanti della “Regione” operanti nel campo del lavoro e della formazione professionale. Partecipa, per conto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, un funzionario in servizio presso l’Ufficio regionale del lavoro.

2. Le attività di fabbricazione carceraria sono organizzate, sulla base di direttive, dalle Direzioni regionali dell’Amministrazione penitenziaria, sentiti i comitati regionali per il lavoro carcerario nonché le direzioni di ciascun istituto penale.

3. I luoghi di lavoro per la popolazione carceraria devono corrispondere, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, alle reali esigenze di ciascun istituto penale. Essi sono esposti in una tabella predisposta dalla direzione del carcere, dove sono elencati separatamente i luoghi relativi alle produzioni interne industriali, agricole e ai servizi per lo stabilimento.

4. I posti di lavoro disponibili fuori dal carcere in aziende pubbliche o private o in società cooperative, nonché i luoghi di lavoro attinenti ai processi produttivi che imprese private o società cooperative intendono organizzare e gestire direttamente all’interno delle carceri, devono essere elencati anche nella tabella di cui al comma 3
.
5. Ogni anno la direzione penitenziaria organizza e predispone un piano di lavoro in relazione al numero dei detenuti, alla disponibilità del personale civile e degli agenti di polizia penitenziaria nonché alle strutture produttive.

6. La suddetta tabella, che può essere modificata in caso di mutamento della situazione, e il piano di lavoro annuale sono approvati dal Sovrintendente regionale del Dipartimento penitenziario, sentito il comitato regionale per il lavoro carcerario.

7. Le attività lavorative che possono essere svolte nelle “carceri di bassa sicurezza” sono indicate nei regolamenti di ciascun istituto penale.

26. Religione e pratiche religiose

1. I detenuti e gli internati sono liberi di professare la propria fede religiosa, di praticare il culto e di acquisire l’educazione religiosa.

2. In ogni carcere sia garantita la celebrazione dei riti della religione cattolica.

3. Ad ogni carcere sia assegnato almeno un cappellano.  
          
4. I credenti di altra religione diversa da quella cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, le visite dei ministri della propria fede e di celebrare i relativi riti.

27. Attività culturali, ricreative e sportive

1. Le attività culturali, ricreative e sportive, nonché le altre attività volte allo sviluppo della personalità dei detenuti e degli internati, sono promosse e organizzate, anche ai fini del trattamento rieducativo.

2. Una Commissione, composta dal Direttore del carcere, dagli educatori e assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati, è responsabile dell’organizzazione delle attività di cui al comma precedente, mantenendo anche i contatti con il mondo esterno utili al ri- inclusione dei detenuti nella comunità.

28. Legami familiari

1. Particolare attenzione deve essere prestata al fine di mantenere, migliorare o ristabilire i rapporti tra i detenuti e gli internati e le loro stesse famiglie.


29. Comunicazioni relative allo stato di detenzione, ai trasferimenti, alla malattia e al decesso

1. I detenuti e gli internati possono informare immediatamente i loro parenti e altre persone, da loro indicate, del loro ingresso in un istituto penale o del loro trasferimento già effettuato.

2. Quando si tratta della morte o di una grave infermità fisica o psichica di un detenuto o di un internato, i suoi parenti o altre persone da essi indicate ne sono tempestivamente informati; analogamente, i detenuti e gli internati devono essere tempestivamente informati del decesso o di una grave malattia di una persona di cui al comma precedente.

30. Vattene

1. In caso di imminente pericolo di morte di un familiare o di un convivente, i condannati e gli internati possono essere lasciati andare a visitare gli ammalati, con le cautele previste dal regolamento; tale aspettativa è concessa dal giudice di sorveglianza. L’imputato è autorizzato, nel corso dei procedimenti di 1° grado, da dette autorità giudiziarie, ai sensi del secondo comma dell’art. 11, competente anche a provvedere al trasferimento degli imputati in strutture sanitarie esterne fino alla pronuncia della sentenza di 1° grado. L’aspettativa è concessa dal presidente del tribunale, durante il procedimento di appello, e dal presidente dell’ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento di appello, durante il procedimento di cassazione.

2. Eccezionalmente può essere concesso un congedo equivalente per eventi di particolare gravità.

3. Il detenuto che non rientra in carcere alla scadenza del congedo senza giustificato motivo, se tale assenza è superiore a tre ore e fino a dodici, è punito con la sanzione disciplinare; se l’assenza è più lunga, è punito a norma del comma 1 dell’art. 385 cp e la previsione contenuta nell’ultimo comma del medesimo articolo.

4. L’internato che rientra in carcere oltre tre ore dopo la scadenza del congedo senza giustificato motivo è punito con sanzioni disciplinari.


30-b. Disposizioni e Reclami in materia di congedo

1. Prima di decidere sulla domanda di congedo, l’autorità competente accerta la sussistenza dei motivi addotti, per il tramite delle autorità di pubblica sicurezza, anche del luogo ove il richiedente chiede di recarsi.

2. La decisione sulla richiesta è adottata con provvedimento motivato.

3. Il provvedimento è immediatamente notificato senza formalità, anche telegraficamente o telefonicamente, al Pubblico Ministero e all’interessato, i quali hanno ventiquattro ore successive per proporre ricorso al Tribunale di sorveglianza, ove il provvedimento sia stato adottato dal Giudice di sorveglianza, ovvero alla Corte d’Appello, ove il provvedimento sia stato emesso da altro organo giurisdizionale.

4. Il Tribunale di Sorveglianza o la Corte d’Appello, dopo aver ottenuto sintetiche informative, ove richieste, delibera entro dieci giorni dal ricevimento del reclamo, dandone immediata comunicazione ai sensi del comma precedente.

5. Il giudice di sorveglianza, o il presidente della corte d’appello, non fanno parte del collegio che decide sul ricorso avverso il provvedimento da lui emanato.

6. Ove non sia possibile per i Magistrati di circoscrizione la costituzione del Tribunale di sorveglianza, per la disposizione contenuta nel comma precedente, la composizione del Tribunale è conforme all’art. 68, commi 3 e 4.

7. L’esecuzione del congedo è sospesa fino alla scadenza del termine previsto dal comma 3 e durante il procedimento previsto dal comma 4, fino alla scadenza del termine ivi previsto.

8. Le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano ai permessi concessi ai sensi del primo comma dell’art. 30. In tal caso è obbligatoria una scorta.

9. Il procuratore generale presso la Corte di appello è informato del congedo concesso e dell’esito del congedo, mediante relazione trimestrale degli organi che lo hanno concesso.

30-c. Congedo bonus

1. Il giudice di sorveglianza, sentito il direttore del carcere, può concedere ai condannati per buona condotta ai sensi del successivo comma 8 e qualora non siano ritenuti un pericolo per la società, al fine di consentire loro di coltivare interessi affettivi, culturali o lavorativi. La durata del congedo bonus non può superare complessivamente i quarantacinque giorni per ogni anno del termine da scontare.

2. Per quanto riguarda i minori condannati, la durata del congedo gratuito non può superare i trenta giorni ogni volta e la durata complessiva non può superare i cento giorni per ogni anno del termine da scontare.

3. L’esperienza del congedo bonus è parte integrante del percorso di cura e deve essere seguita da educatori e assistenti sociali penitenziari che lavorano insieme agli assistenti sociali della comunità.

4. La concessione del congedo aggiuntivo è consentita:

  1. nei confronti dei condannati “all’arresto” o alla reclusione non superiore a quattro anni, anche se correlata all’arresto;
  2. nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a quattro anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo aver scontato almeno un quarto della pena;
  3. nei confronti dei condannati alla detenzione per uno dei reati di cui all’art. 4-b, commi 1, 1-c e 1-d, dopo aver scontato almeno la metà della pena e, comunque, non oltre dieci anni;
  4. nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo aver scontato almeno dieci anni di pena.

5. Nei confronti del delinquente che, nel corso della pena o delle “misure restrittive”, sia stato accusato di un delitto doloso e doloso commesso nell’atto di scontare la pena o nell’esecuzione di un provvedimento restrittivo della libertà personale, la concessione del congedo aggiuntivo essere consentito solo trascorsi due anni dalla data in cui è stato commesso il reato.

6. Le “precauzioni” relative al congedo bonus di cui al primo comma dell’art. 30 si applica, se necessario; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma del medesimo articolo.

7. Il provvedimento relativo al congedo bonus è oggetto di ricorso al Tribunale di Sorveglianza, secondo le modalità di cui all’art. 30-b.

8. Si considera “buono” il comportamento dei condannati che, durante la detenzione, abbiano costantemente mostrato senso di responsabilità e si siano comportati correttamente nelle attività organizzate in carcere e in ogni eventuale attività lavorativa o culturale.

30-g. Concessione di permessi bonus ai recidivi

1. Ai detenuti ai quali si applica la recidiva prevista dall’articolo 99, comma 4, cp, possono essere concessi i permessi bonus nei seguenti casi previsti dal quarto comma dell’articolo 30-c:

  1. un. alla lettera a), dopo aver scontato un terzo della pena;
  2. b. alla lettera b), dopo aver scontato metà della pena;
  3. c. alle lettere c) ed) dopo aver scontato i due terzi della pena e, comunque, non oltre quindici anni.

31. Costituzione dei rappresentanti dei detenuti e degli internati

1. La nomina dei rappresentanti dei detenuti e degli internati prevista dall’art. 12 e artt. 27 sarà estratto a sorte secondo le modalità indicate nel regolamento interno dell’ente.


CAPO IV
REGIME CARCERE

32. Norme comportamentali per detenuti e internati. Obbligo di risarcire i danni causati

1. I detenuti e gli internati, al momento dell’ingresso in carcere, e successivamente quando necessario, sono informati delle disposizioni generali e speciali relative ai loro diritti e doveri, alla disciplina e al trattamento.

2. Devono osservare le regole e le disposizioni che disciplinano la vita carceraria.

3. Nessun detenuto o internato, ove coinvolto nei servizi dell’istituto, può avere compiti che implichino potere disciplinare o che gli consentano di avere una posizione di rilievo nei confronti degli altri.

4. I detenuti e gli internati devono avere cura degli oggetti messi a loro disposizione, evitando di arrecare danno a cose altrui.

5. I detenuti e gli internati che arrecano danno ai “beni mobili” appartenenti all’amministrazione penitenziaria devono risarcirli, fermo restando ogni eventuale procedimento penale o disciplinare.

33. Isolamento

1. Negli istituti penali è consentito l’isolamento continuo:

  1. quando richiesto per motivi di salute;
  2. durante l’esecuzione della sanzione di esclusione dall’attività associativa;
  3. per gli imputati, durante la fase dell’istruttoria e per gli arrestati, durante la fase del procedimento cautelare, ove e fintantoché ciò sia ritenuto necessario dall’autorità giudiziaria.

34. Ricerche personali

1. I detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione personale per motivi di sicurezza.

2. Le modalità di tale procedura di perquisizione devono essere svolte in modo da non ledere la dignità personale del detenuto.


35. Diritto di lamentarsi

1. I detenuti e gli internati possono formulare richieste e denunce, oralmente o per iscritto, anche in busta chiusa:
 

  1. al Direttore del carcere, al Direttore regionale, al Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al Ministro della giustizia;
  2. alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita alle carceri;
  3. al difensore civico nazionale dei detenuti e al difensore civico regionale o locale dei detenuti;
  4. al Presidente del Consiglio regionale;
  5. al giudice di sorveglianza;
  6. al Capo dello Stato.


35-b. Denuncia giurisdizionale

1. Il procedimento relativo alla denuncia di cui all’articolo 69, comma 6, si svolge ai sensi degli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale. Fatti salvi i casi in cui le richieste siano manifestamente infondate ai sensi dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, il giudice di sorveglianza fissa la data dell’udienza e ne informa l’amministrazione interessata, che ha diritto di comparizione o di presentare osservazioni e richieste.

2. Il reclamo di cui all’articolo 69, comma 6, lettera a), deve essere proposto entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento.

3. In caso di accoglimento, il giudice di sorveglianza, nei casi previsti dall’articolo 69, comma 6, lettera a), dispone l’annullamento del provvedimento irrogante la sanzione disciplinare. Nei casi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera b), accertata la sussistenza del pregiudizio, ordina all’amministrazione di porvi rimedio entro il termine indicato dal giudice.

4. Contro la decisione del giudice di sorveglianza può essere proposto ricorso al tribunale di sorveglianza entro quindici giorni entro quindici giorni dalla comunicazione dell’atto di deposito.

4-b. Avverso la decisione del tribunale di sorveglianza può essere proposto ricorso alla corte di cassazione per violazione di legge, entro quindici giorni dalla comunicazione dell’atto di deposito.

5. In caso di mancata esecuzione di un provvedimento non più impugnabile, l’interessato o un suo difensore, dotato di speciali poteri, può chiedere l’adempimento al giudice di sorveglianza che ha emanato il provvedimento. Devono essere rispettate le disposizioni stabilite dagli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale.

6. Il giudice di sorveglianza, accogliendo la richiesta:

  1. provvede all’adempimento, indicando le relative modalità e tempi, tenuto conto del programma stabilito dall’Amministrazione per l’attuazione del provvedimento, e purché tale programma sia compatibile con l’adempimento del diritto;
  2. annulla tutti gli atti che possano violare o eludere la disposizione non applicata;
  3. Abrogato
  4. nomina, ove necessario, un commissario appositamente nominato.

7. Il giudice di sorveglianza è a conoscenza di tutte le questioni relative all’esatto adempimento, comprese quelle relative agli atti del commissario appositamente nominato. 

8. Avverso il provvedimento emanato per l’adempimento può essere proposto ricorso per violazione di legge avanti la corte di cassazione.

35-c. Rimedi risarcitori a seguito della violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali contro detenuti e internati

1. Quando il pregiudizio indicato dall’articolo 69, comma 6, lettera b) consiste in un periodo di tempo non inferiore a quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, recepita dall’art. legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, su istanza presentata dal detenuto in persona o tramite il suo difensore, dotato di speciali poteri, il giudice di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, la riduzione della pena da scontare pari a un giorno ogni dieci giorni scontati mentre il ricorrente ha subito il danno.

2. Qualora il termine da scontare sia tale da non poter detrarre l’intera percentuale prevista dal comma 1, il giudice di sorveglianza provvede altresì a liquidare al richiedente un importo di euro 8,00 per ogni giorno di danno subito, con riferimento al termine residuo e come risarcimento del danno. Il giudice di sorveglianza procede allo stesso modo quando il periodo di detenzione scontato in condizioni non conformi all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali è inferiore a quindici giorni.

3. Coloro che hanno subito il danno previsto dal comma 1 durante la custodia cautelare o cautelare, non computabile nella determinazione della pena da scontare o coloro che hanno scontato la pena detentiva, possono proporre ricorso, di persona o tramite i loro difensori, muniti di speciali poteri, dinanzi al tribunale competente nel circondario in cui risiedono. Tale azione deve essere presentata entro sei mesi dalla fine della detenzione, altrimenti non sarà valida. Il Tribunale decide, in sede di giudice unico, nelle forme previste dagli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. L’ordinanza di pronuncia del provvedimento non è impugnabile. Il risarcimento del danno è corrisposto secondo la misura prevista dal comma 2.

36. Regime disciplinare

1. Il regime disciplinare è attuato in modo da stimolare il senso di responsabilità e di autocontrollo. Il regime disciplinare deve essere adeguato alle condizioni fisiche e psichiatriche dei soggetti.

37. Premi

1. I premi costituiscono riconoscimento del senso di responsabilità dimostrato nei comportamenti personali e nelle attività organizzate in carcere.

2. Il regolamento prevede compensi e gli organi competenti aventi competenza a concederli.

38. Violazioni disciplinari

1. I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un atto che non sia espressamente previsto come violazione delle norme.

2. Nessuna sanzione può essere irrogata se non con provvedimento motivato dopo aver portato la presunta violazione all’attenzione dell’interessato, il quale è legittimato a far valere la propria difesa.

3. Nell’irrogazione delle sanzioni si deve tener conto della natura e della gravità di un atto nonché del comportamento e delle condizioni personali dell’interessato.

4. Le sanzioni si applicano nel rispetto della personalità dei detenuti e degli internati.

39. Sanzioni disciplinari

1. Le violazioni disciplinari possono comportare solo le seguenti sanzioni:

  1. avviso del governatore;
  2. ammonimento, da parte del governatore, alla presenza di membri del personale e di un gruppo di detenuti o internati;
  3. esclusione dalle attività ricreative e sportive per non più di dieci giorni;
  4. isolamento durante il tempo trascorso all’aperto per non più di dieci giorni;
  5. esclusione dall’attività associativa per non più di quindici giorni.

2. La sanzione di esclusione dall’attività associativa non può essere applicata senza una certificazione scritta, rilasciata dal medico, che attesti che l’interessato è in grado di sopportare la sanzione. La persona esclusa dalle attività associative deve sottoporsi a continui controlli medici durante tutto il periodo di isolamento.

3. L’applicazione della sanzione di esclusione dall’attività associativa è sospesa nei casi di gestanti, madri di bambini di età inferiore ai sei mesi e madri che allattano di bambini di età inferiore a un anno.

40. Autorità competenti aventi giurisdizione per decidere sulle sanzioni

1. Le sanzioni di “ammonizione” e “ammonizione” sono decise dal direttore del carcere.

2. Le altre sanzioni sono decise dal consiglio di disciplina, composto dal governatore o, in caso di suo legittimo impedimento, dal più alto membro del personale di rango, con funzioni di Presidente, dal medico e dall’educatore.

 
41. Impiego di forza fisica e uso di mezzi di coercizione

1. Non è consentito l’uso della forza fisica contro detenuti e internati ove non sia necessario per prevenire o evitare atti di violenza, per impedire tentativi di fuga o per vincere resistenze, anche passive, nell’esecuzione degli ordini impartiti.

2. I membri del personale che, a qualsiasi titolo, ricorrono alla forza fisica contro detenuti o internati devono immediatamente denunciare tale fatto al direttore del carcere il quale, senza indugio, ordina le prove cliniche e procede alle altre indagini pertinenti al caso.

3. Nessun mezzo di coercizione fisica può essere utilizzato se non espressamente previsto dal regolamento e, comunque, non è possibile farvi ricorso a scopo disciplinare, ma solo allo scopo di evitare lesioni ai persone o danni a cose o per garantire l’incolumità del detenuto stesso.

4. L’uso deve essere limitato al tempo strettamente necessario e deve essere costantemente monitorato da un medico.

5. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio all’interno delle carceri non possono portare armi se non in casi eccezionali, quando ciò sia stato ordinato dal governatore.

41-b. Situazioni di emergenza

1. Il Ministro della giustizia ha il potere di sospendere l’applicazione delle norme abituali di trattamento dei detenuti e degli internati, nel carcere interessato o in una parte di esso, in casi eccezionali di rivolta carceraria o altre situazioni di grave emergenza. Tale sospensione deve basarsi sulla necessità di ristabilire l’ordine e la sicurezza e la sua durata è strettamente limitata al raggiungimento delle finalità sopra indicate. 
 
2. Ove ricorrano gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, anche su richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia ha il potere di sospendere, in tutto o in parte, le persone incarcerate per uno dei delitti previsti dall’art. primo periodo del comma 1 dell’art. 4-b, o comunque per un reato commesso avvalendosi dei presupposti o con lo scopo di agevolare una associazione di tipo mafioso, nei confronti della quale si evidenziano attuali legami con organizzazioni criminali, terroristiche o eversive, l’applicazione del disciplina del trattamento e delle disposizioni previste dalla presente legge che possono essere in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza. Tale sospensione comporterà i vincoli necessari per soddisfare i suddetti requisiti e per impedire collegamenti con gli organismi di cui al comma precedente. In caso di concorso di pena o di concomitante ordine di custodia cautelare nei confronti di una persona, la sospensione può essere disposta anche quando il detenuto ha scontato la parte di pena o di custodia cautelare pertinente ai reati di cui all’articolo 4-b.

2-b. I provvedimenti di cui al comma 2 sono emanati con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentita la Procura della Repubblica che svolge le indagini preliminari o l’Ufficio del giudice procedente e dopo aver acquisito ogni altra necessaria informazione presso il Dipartimento Nazionale Antimafia e presso gli organi di polizia, sia centrali che specializzati nella lotta alla criminalità organizzata, al terrorismo o alla criminalità eversiva, di rispettiva competenza. La stessa disposizione ha durata di quattro anni, ed è prorogabile, nelle stesse forme, per ulteriori periodi di due anni ciascuno. Tale proroga è disposta quando vi sono prove che la capacità del detenuto o dell’internato di mantenere legami con organizzazioni criminali, terroristiche o sovversive sussiste ancora, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione del soggetto all’interno dell’associazione, dell’attività criminale attualmente in corso nell’organizzazione degli autori di reato, del verificarsi di nuove accuse, non valutate prima, degli esiti del trattamento penitenziario e della famiglia del soggetto standard di vita. Il semplice scorrere del tempo non è, di per sé, una prova sufficiente per escludere la capacità del soggetto di mantenere i legami con la sua associazione o per dimostrare che tale organizzazione non è più attiva.

2-c. [Abrogato]


2-d. I detenuti sottoposti a tale regime di detenzione speciale saranno rinchiusi in carceri a loro esclusivamente dedicate, ubicate preferibilmente su isole, o, comunque, in apposite ali separate, dal punto di vista logistico, dal resto dell’istituto penale, e presidiato da reparti specializzati della Polizia Penitenziaria. La sospensione delle regole di trattamento e delle disposizioni di cui al comma 2 prevede:

  1. l’adozione di misure di elevata sicurezza interna ed esterna, principalmente con riguardo alla necessità di prevenire i contatti con l’associazione per delinquere cui attualmente appartiene o fa riferimento l’autore del reato, i contrasti con le associazioni contrarie, le interazioni con altri detenuti o internati appartenenti alla stessa associazione o ad altre associazioni ad essa alleate;
  2. che il numero delle visite sia limitato a una al mese, da svolgersi ad intervalli regolari e in appositi locali attrezzati in modo da impedire lo scambio di oggetti. Sono vietate le visite con persone diverse da parenti e conviventi, salvo casi eccezionali di volta in volta stabiliti dal direttore del carcere o, come per imputati fino all’emissione della sentenza di primo grado, dalla competente autorità giudiziaria ai sensi del comma 2 dell’art. . 11. Le visite sono sottoposte a controllo uditivo, e sono registrate previa autorizzazione motivata della competente autorità giudiziaria ai sensi del comma 2 dell’art. 11; provvedimento motivato del direttore del carcere, ovvero, come per gli imputati fino all’emissione della sentenza di primo grado, dell’autorità giudiziaria competente ai sensi del comma 2 dell’art. 11, e solo trascorsi i primi sei mesi dall’esecuzione, può autorizzare, per coloro che non hanno ricevuto visita, una telefonata al mese con parenti e conviventi, non superiore a dieci minuti, che deve comunque essere registrata. Le visite dovranno comunque essere videoregistrate. Le disposizioni della presente lettera non si applicano ai colloqui con i difensori, con i quali sarà possibile effettuare una telefonata o un colloquio, fino a tre volte alla settimana, della stessa durata delle visite o delle telefonate con membri della famiglia;
  3. la limitazione dell’ammontare del denaro, dei beni e degli oggetti che i detenuti possono ricevere dall’esterno;
  4. l’esclusione dai rappresentanti dei detenuti e degli internati;
  5. il controllo della corrispondenza, fatta eccezione per i parlamentari, con le autorità europee o nazionali competenti in materia di giustizia;
  6. la limitazione della permanenza giornaliera all’aperto, in gruppi composti da non più di quattro persone, fino a due ore al giorno, fermo restando il limite minimo previsto dall’art. 10, comma 1. Devono inoltre essere adottate tutte le misure di sicurezza, anche attraverso disposizioni logistiche nei locali di detenzione, necessarie per garantire la totale impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a gruppi diversi, di scambiarsi oggetti e di cucinare cibi.

2-e. Le denunce contro l’esecuzione forzata possono essere avanzate dal detenuto o dall’internato nei confronti del quale è stata ordinata o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 2, o dal suo difensore. Il reclamo deve essere proposto entro venti giorni dalla data di comunicazione del provvedimento e la decisione in merito è del tribunale di sorveglianza di Roma. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento.

2-f. Il giudice, entro dieci giorni dal ricevimento del ricorso di cui al comma 2-e, si pronuncia in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 cpp, sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento disposizione. In udienza, la funzione di pubblico ministero può essere svolta da un rappresentante dell’ufficio della Procura dello Stato di cui al comma 2-b o dalla Procura nazionale antimafia. Il procuratore nazionale antimafia, il pubblico ministero indicato al comma 2-b, il procuratore generale presso la corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre reclamo, entro dieci giorni dalla comunicazione, al tribunale di cassazione contro il provvedimento del giudice per violazione di legge. Il reclamo non sospende l’esecuzione del provvedimento, e deve essere trasmesso senza indugio alla corte di cassazione. In caso di accoglimento del ricorso, il ministro della giustizia, qualora intenda apportare un nuovo provvedimento ai sensi del comma 2, segnala, tenuto conto della decisione del tribunale di sorveglianza, elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo.

2 g. Quanto alla partecipazione del detenuto o dell’internato all’udienza, le disposizioni di cui all’articolo 146-b delle norme esecutive, di coordinamento e provvisorie del codice di procedura penale, previste dal decreto legislativo n. 271 del 28 luglio 1989.

42. Trasferimenti

1. Il trasferimento è disposto per gravi e motivati ​​motivi di sicurezza, per motivi rilevanti per il carcere, per motivi di giustizia, di salute, di studio e di famiglia.

2. Nell’ordinare i trasferimenti devono essere favoriti i criteri di assegnazione dei detenuti a istituti di pena situati vicino alla loro residenza familiare.

3. I detenuti e gli internati sono trasferiti con i propri effetti personali e con almeno una parte del loro “peculio”.

42 b. Trasporto scortato di prigionieri

1. Si tratta dell’accompagnamento, da un luogo all’altro, di detenuti, internati, detenuti dalla polizia, arrestati o, comunque, privati ​​della libertà.

2. Il trasporto scortato dei detenuti maggiorenni e degli internati è effettuato, nel minor tempo possibile, dal Corpo di Polizia Penitenziaria, secondo le modalità previste dalle leggi e dai regolamenti e, per quanto riguarda le donne, con l’assistenza delle donne del personale.

3. Il trasporto scortato di persone di competenza dei Centri per la giustizia minorile può essere effettuato presso diverse forze dell’ordine, nei luoghi in cui non siano disponibili i componenti del Corpo di Polizia Penitenziaria assegnati al settore minorile.
 
4. Durante il trasporto scortato deve essere prestata la dovuta attenzione al fine di proteggere le persone trasferite dalla curiosità del pubblico e da ogni tipo di pubblicità, nonché ad evitare loro inutili disagi. L’inosservanza di tale disposizione sarà considerata ai fini disciplinari.

5. Durante i trasporti individuali scortati, l’uso delle manette è obbligatorio ove richiesto per la pericolosità del detenuto o per minaccia di fuga o per circostanze ambientali che rendono difficoltoso il trasferimento. In tutti gli altri casi è vietato l’uso delle manette o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica. Per quanto riguarda i trasporti individuali scortati di detenuti e internati, la valutazione della pericolosità del detenuto o della minaccia di fuga è effettuata, al momento dell’ordine del trasporto scortato, dall’autorità giudiziaria o dalla competente direzione penitenziaria, che impartiscono anche le relative istruzioni.

6. Durante i trasporti collettivi scortati sono obbligatorie le manette multiple modulari delle tipologie previste dal decreto ministeriale. È vietato l’uso di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica.

7. Durante i trasporti scortati individuali e collettivi, nei casi previsti dal regolamento, ai detenuti è consentito indossare abiti in borghese. I trasporti scortati di persone di cui al comma 3 sono normalmente effettuati in borghese.

43. Rilascio

1.  The release of prisoners and internees shall be carried out, without delay, by the prison management on the basis of a written order either from the competent judicial authority or the Police.

2.  The prison governor shall give notice of the envisaged release, at least three months in advance, to the social assistance council and the Probation Service Centre in the place where the penal institution is located and the above-mentioned bodies situated where the subject is going to take up his residence, communicating all data necessary for the proper aftercare interventions. Should it not be possible to envisage the release three months in advance, the governor shall communicate the prescribed data as soon as he knows of the relevant decision.

3.  In addition to what is specifically provided for by law, the governor shall inform in advance the supervisory judge, the police commissioner and the police office having territorial jurisdiction, of any release, also temporary, from the penal institution.

4.  The prison disciplinary board, on release or afterwards, shall issue, to a prisoner requesting it, a certificate containing any vocational training obtained as well as impartial information about his behaviour.
 
5.  Where a person does not have civilian clothes, he shall be provided with them.

44. Births, marriages, deaths

1.  In official documents relevant to weddings celebrated in prison, births and deaths which occur in penal institutions, the prison shall not be mentioned.

2.  The prison governor’s office shall immediately inform the judicial authority having jurisdiction in that area, the judicial authority which had jurisdiction over the subject, and the Ministry of Justice, about the death of a prisoner or an internee.

3.  The corpse shall be placed immediately at the disposal of their relatives.


CHAPTER V
ASSISTANCE

45. Assistance to the families

1.  The treatment of prisoners and internees shall be combined with actions directed at giving assistance to their families.

2.  Such actions are aimed also at maintaining and improving the relationships between the subjects and their families, as well as removing problems that may impede their social reintegration.

3.  Collaboration from both public and private organisations qualified in providing social assistance shall be used for this purpose.

46. Post-prison assistance

1.  Prisoners and internees shall receive particular assistance during the period of time immediately preceding their release and for an appropriate period of time after their release.

2.  Final reinsertion into life outside prison is made easier by actions carried out by the probation service also in co-operation with the organisations mentioned in the previous article.

3.  Notice is given to the competent public health authorities of the release of prisoners and internees suffering from serious physical impairment or from mental illness or abnormality, in order for those authorities to provide the necessary assistance.

 
CHAPTER VI
COMMUNITY MEASURES AND RELEASE OF DEBT

47. Assignment of the offender to the Probation Service

1. If a sentence imposed does not exceed three years, the sentenced offender may be assigned to the Probation Service outside prison, for a period equal to the length of the sentence to be served.

2. The order shall be issued on the basis of the results of the observation of the prisoner, which is carried out in prison, for at least one month, by an appropriate team, when it is deemed that the measure itself, also through the obligations and prohibitions referred to in para 5, should contribute to the re-education of the offender and ensure prevention from the risk of him committing other crimes.

3. The assignment to the Probation Service may be ordered without carrying out the observation in prison where the sentenced person, after the committal of the crime, showed  such  behaviour as to allow the judgement to be made in terms of para 2.

3-b. The assignment to the Probation service can also be granted to the finally sentenced person who has to serve a sentence not exceeding four years, even if remaining part of a longer sentence, when, during at least the year before the submission of a request, either serving a final sentence or under a pre-trial or remand measure or at liberty, he had a behaviour such as to allow the assessment under paragraph 2.

4. The request for assignment to the Probation Service is submitted after the beginning of the enforcement of the sentence, to the supervisory court having jurisdiction over the place of enforcement. When there is a serious prejudice stemming from the prolongation of the offender’s detention, the request can be submitted to the supervisory judge having jurisdiction over the place of detention. The supervisory judge may order the offender’s release and his temporary assignment to the probation service, if concrete indications are provided concerning the eligibility of the offender to be assigned to the probation service and concerning the serious prejudice deriving from the offender’s imprisonment, and if there is no danger of escape. The order is effective until the decision of the supervisory court, to which the supervisory judge shall immediately transmit the proceedings, and which shall decide within 60 days.

5. When assignment is granted, the relevant minutes shall indicate the obligations and prohibitions to be complied with by the subject with regard to his relations with the probation service, his domicile, his freedom of movement, his work and his disqualification from attending specified premises.

6. The said minutes may also establish that, during either the whole or a part of the assignment period, the sentenced offender shall not reside in one or more local authority area or that he shall reside in a particular local authority area; in particular, obligations and prohibitions are stipulated preventing the subject from engaging in activities or from maintaining personal relationships that might lead to the commission of further offences.

7. The minutes shall also provide for any possible reparation by the assigned person in respect of the victim of the offence, as well as his compliance with family duties.

8. During the assignment, the obligations and prohibitions may be modified by the Supervisory Judge. Temporary derogations to such obligations and prohibitions shall be authorised, upon proposal of the director of the office for the execution of sentences in the community, by the supervisory judge, even in oral form in urgent cases.

9. The Probation Service shall supervise the conduct of the assigned person and shall assist him in overcoming the difficulties of his social re-insertion, by establishing contacts with his family and with the environment where he lives.

10.  The Probation Service shall make periodical reports to the Supervisory Judge on the behaviour of the assigned offender.

11.  Assignment shall be revoked where the offender’s behaviour is against the law or contrary to provisions, and is deemed incompatible with the continuation of probation.

12.  However, successful completion of the probation period by the offender terminates the prison sentence and all other penal effects. The Supervisory Court, if the persons concerned is in poor economic conditions, can also declared the pecuniary penalty as terminated, where it was not already collected.

12b. The person assigned to the probation service who, during the assignment period, has shown a real social rehabilitation, which can be proved by his behaviours revealing his positive development, a reduction of the sentence may be granted under article 54. Articles 69, para 8, and 69-b as well as article 54 para 3 shall apply.

47-b. Assignment to the Probation Service in Particular Cases
Article repealed by article 3 of Law nr. 165 dated 27th May 1998. This measure is still provided by article 94 of the DPR dated 9th October 1990, nr 309.
[1]

47-c. Home Detention

01. The sentence of imprisonment for any crime, excluding those provided for by book II, title XII, Chapter III, section I, and by articles 609-b, 609-d, 609-h of the Criminal Code, by article 51, paragraph 3-b of the code of criminal procedure and by art 4-b of this Act, can be served in the offender’s own home or in a public health care centre or attendance centre or housing centre, when the said offender, at the moment of starting the enforcement of his punishment, or after its beginning, is seventy years old, provided that he was not found to be an habitual or professional offender or an offender by propensity and provided that he was never sentenced before in terms of the aggravating circumstance as per art. 99 of the Criminal Code.

1. A sentence of imprisonment not exceeding four years, even when representing the remaining part of a longer sentence, and the sentence of arrest may be served at the offender’s own home or in another private home, or in a public health care centre or attendance centre or housing centre, in the following circumstances:

  1. pregnant women or mothers of children under the age of ten who are living with them; 
  2. fathers having the parental responsibility for children under the age of ten living with them, where the mother is dead, or completely unable to take care of the children;
  3. persons with particularly serious health conditions, requiring constant care from health facilities outside prisons;
  4. persons over 60 years of age when disabled or partially disabled;
  5. persone di età inferiore ai 21 anni con documentati bisogni in relazione alla salute, allo studio, al lavoro, alla famiglia.

1.1 ABROGATO.

1 b – La detenzione domiciliare può essere applicata a tutte le pene detentive fino a due anni, anche se trattasi della parte restante di una pena più lunga, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 ove non sussistano i presupposti per l’affidamento all’affidamento al servizio di probation e purché che la misura sia idonea ad impedire al condannato di commettere ulteriori reati. Tale disposizione non si applica ai reati di cui all’art. 4-b.

1 c – Quando può essere disposto il differimento obbligatorio o non obbligatorio dell’esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 146 e 147 cp, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena eccede il limite di cui al comma 1, può disporre l’esecuzione della detenzione domiciliare, fissandone la durata; questo termine può essere prorogato. L’esecuzione della pena continua durante la detenzione domiciliare.

1 d – L’istanza per l’applicazione della detenzione domiciliare è presentata, dopo l’inizio dell’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente nel luogo dell’esecuzione. Nei casi in cui dalla proroga della carcerazione derivi un grave pregiudizio, l’istanza di trattenimento domiciliare di cui ai precedenti commi 01, 1, 1-b e 1-c è indirizzata al giudice di sorveglianza, che può disporre l’esecuzione provvisoria di tale provvedimento . Le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4, in quanto compatibili, trovano applicazione.

2. Abrogato

3. Abrogato

4. Il Tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, determina le relative modalità, ai sensi dell’art. 284 del codice di procedura penale. Il Tribunale stabilisce altresì le opportune disposizioni per l’intervento del Servizio di probation; tali norme e disposizioni possono essere modificate dal giudice di sorveglianza avente giurisdizione sul territorio in cui è scontata la detenzione domiciliare.

4 b. ABROGATO

5. I trasgressori a cui è stata concessa la detenzione domiciliare non sono soggetti al regime carcerario previsto dalla presente legge e dai regolamenti di applicazione. L’amministrazione penitenziaria non sosterrà alcuna spesa in relazione al mantenimento e all’assistenza sanitaria delle persone che si trovano in detenzione domiciliare.

6. La detenzione domiciliare è revocata quando il comportamento del soggetto, contrario alla legge o ai regolamenti imposti, appare incompatibile con la prosecuzione della detenzione domiciliare.

7. La detenzione domiciliare è altresì revocata quando vengono meno i presupposti di cui ai commi 1 e 1b.

8. Quando i condannati che beneficiano della detenzione domiciliare nel proprio domicilio o in altro luogo indicato nel comma 1 lasciano tale luogo, sono puniti ai sensi dell’art. 385 cp. Si applica la disposizione dell’ultimo comma del medesimo articolo.

9. La condanna per il reato di cui al comma 8 comporta la revoca della detenzione domiciliare, salvo che si tratti di reato minore.

9-b. In caso di revoca del provvedimento di cui al comma 1 ter, ai sensi dei commi precedenti, la parte restante della sentenza non può essere sostituita da altro provvedimento.


47-d. Provvedimenti alternativi alla reclusione per le persone affette da ausili conclamati o per le persone affette da grave immunodeficienza

1. Le misure di cui agli articoli 47 e 47 quater possono essere applicate anche oltre i limiti di pena ivi previsti su istanza dell’interessato o del proprio difensore nei confronti di persone affette da AIDS conclamato o affette da grave immunodeficienza, valutata ai sensi dell’articolo 286 ter, comma 2, cpp, che stanno o intendono sottoporsi a un programma di assistenza medica e sanitaria in un ospedale o in un centro universitario per malattie infettive o in unità di cura che forniscono principalmente assistenza alle persone affette da AIDS, secondo i piani regionali.

2. La domanda di cui al comma 1 è accompagnata da un certificato del servizio sanitario penitenziario, comprovante la sussistenza delle condizioni di salute ivi indicate e la fattibilità del programma medico e assistenziale, in corso o da svolgere, in un ospedale o in un centro universitario per malattie infettive o in unità di cura che prestano principalmente assistenza a persone affette da AIDS, secondo i piani regionali.

3. Gli obblighi e le condizioni da imporre in relazione all’esecuzione della misura alternativa comprendono le modalità per l’attuazione di detto programma.

4. Quando si esegue la detenzione domiciliare, i Centri per i servizi di libertà vigilata[2] ; supervisiona e assiste l’attuazione del programma.

5. Nei casi di cui al comma 1, il giudice non può concedere il provvedimento alternativo se l’interessato ha già goduto di un provvedimento analogo e questo è stato revocato nell’anno precedente.

6. Il giudice può revocare il provvedimento alternativo di cui al comma 1 se l’autore del reato è in custodia cautelare o è sottoposto a misura cautelare per uno dei reati di cui all’articolo 380 del codice di procedura penale, in relazione a reati commessi dopo la concessione del provvedimento.

7. Il Giudice, quando non applica o revoca la misura alternativa per uno dei motivi di cui ai commi 5 e 6, dispone la detenzione dell’autore del reato in un istituto penale adeguatamente ed adeguatamente attrezzato per la sua cura e assistenza.

8. Per quanto non diversamente previsto dal presente articolo, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 47-c.

9. Ai fini del presente articolo non trova applicazione il divieto di concedere i benefici previsti dall’articolo 4-b, dando per scontate le valutazioni di cui ai commi 2, 2-b e 3 del medesimo articolo.

10. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli internati.

47-e. Particolare detenzione domiciliare

1. Quando i requisiti di cui all’art. 47-c, le detenute madri di bambini di età inferiore ai dieci anni possono essere autorizzate a scontare la pena presso la propria abitazione o presso altra abitazione privata, ovvero presso un centro di assistenza sanitaria pubblica o di assistenza o di accoglienza, in al fine di prendersi cura dei propri figli e di assisterli, dopo aver scontato almeno un terzo della pena o dopo aver scontato almeno quindici anni di reclusione quando è stata inflitta l’ergastolo, secondo le modalità di cui al comma 1-b .

1-b. Fatte salve le madri condannate per i reati di cui all’articolo 4-b, le madri detenute possono scontare un terzo della pena o almeno quindici anni in un istituto penale di bassa sicurezza per le madri detenute o, se non vi è pericolo concreto di commettere ulteriori reati o di evasione, in altra casa privata, o in un centro di assistenza sanitaria pubblica o in un centro di accoglienza o di accoglienza, affinché possano prendersi cura e assistere i propri figli. Quando è impossibile scontare la pena nella propria abitazione o in un’altra abitazione privata, tale pena può essere scontata nelle strutture abitative protette, ove esistenti.

2. L’amministrazione penitenziaria non sostiene spese in relazione al mantenimento, all’assistenza e all’assistenza sanitaria delle donne che beneficiano di una particolare detenzione domiciliare.

3. Il Tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare particolare, determina le modalità di esecuzione adeguate ai sensi dell’art. 284, comma 2, cpp, stabilisce il periodo di tempo che la donna può trascorrere lontano dal proprio domicilio, stabilisce le disposizioni per l’intervento del servizio di probation. Tali disposizioni e condizioni possono essere modificate dal giudice di sorveglianza competente per l’area in cui si applica la particolare detenzione domiciliare. Arte. 284, comma 4, cpp.

4. All’atto della scarcerazione della donna è redatto un verbale in cui sono stabiliti obblighi e divieti che il soggetto deve rispettare in relazione ai suoi rapporti con il servizio di libertà vigilata.

5. Il Servizio di libertà vigilata vigila sulla condotta del soggetto e lo assiste nel superamento delle difficoltà del suo reinserimento sociale, stabilendo contatti con la sua famiglia e con l’ambiente in cui vive; redigono periodiche relazioni al giudice di sorveglianza sul comportamento dell’interessato.

6. La detenzione domiciliare particolare è revocata qualora il comportamento dell’autore del reato sia contrario alla legge oa disposizioni contrarie, e sia ritenuto incompatibile con la prosecuzione della detenzione domiciliare particolare.

7. Alle stesse condizioni, può essere accordata la detenzione domiciliare particolare anche al padre che si trovi in ​​carcere, se la madre dei figli è morta o totalmente incapace di prendersi cura di loro e non è possibile concedere l’affidamento dei figli a nessuno altro.

8. Al compimento del compimento dei dieci anni da parte del minore, su richiesta del soggetto già assoggettato alla detenzione domiciliare particolare, il Tribunale di sorveglianza può:

  1. disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’art. 50, commi 2, 3 e 5;
  2. consentire al soggetto di assistere i minori fuori dal carcere ai sensi dell’art. 21-b, tenuto conto del comportamento dell’interessato durante l’esecuzione della detenzione domiciliare particolare, desunto dalle segnalazioni emesse dal servizio di probation, ai sensi del comma 5, nonché della durata della detenzione domiciliare particolare e della durata della parte restante della pena da scontare.

47-sgg. Uscita dal domicilio senza giustificati motivi

1. Può essere revocata la detenzione domiciliare particolare la donna condannata a cui è stata concessa la detenzione domiciliare particolare che lasci il proprio domicilio per non più di 12 ore, senza giustificato motivo.

2. Se l’assenza supera le 12 ore, la donna condannata è punita ai sensi dell’art. 385, comma 1, cp e la previsione dell’ultimo comma del medesimo articolo.

3. La sua condanna per il reato di evasione comporterà la revoca della particolare detenzione domiciliare.

4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche al padre che si trovi in ​​carcere, se gli sia stata concessa la carcerazione domiciliare ai sensi dell’art. 47-e, comma 7.

48. Semi-libertà

1. Il regime di semilibertà consiste nel consentire al condannato e all’internato di trascorrere parte della loro giornata fuori dal carcere per motivi di lavoro, istruzione o partecipazione ad altre attività utili al suo reinserimento sociale.

2. I beneficiari di tale regime sono assegnati a strutture speciali oa unità separate delle carceri ordinarie. Possono indossare abiti normali.

3. [La semilibertà non può essere concessa ai sensi dell’articolo 47, comma 2] abrogato

49. Concessione obbligatoria della semilibertà
[ABBROGATO]

50. Concessione di semilibertà

1. Le pene dell’arresto e della reclusione non superiori a sei mesi possono essere scontate in regime di semilibertà, quando il condannato non è assegnato al Servizio di libertà vigilata.

2. Fatte salve le ipotesi previste dal comma 1, al condannato può essere concessa la semilibertà solo dopo aver scontato almeno la metà della pena, o due terzi di essa se condannato per uno dei delitti indicati nell’art. 4-b, commi 1, 1-c e 1-d. A un internato può essere concessa la semilibertà in qualsiasi momento. Tuttavia, nei casi previsti dall’art. 47, quando mancano i requisiti per l’affidamento al servizio di probation, il condannato per qualsiasi reato, salvo quelli indicati nell’art. 4-b, comma 1, può essere concessa la semilibertà anche prima che abbia scontato metà della pena.

3. Nel calcolo della durata della pena non si tiene conto delle sanzioni pecuniarie irrogate in concomitanza con il periodo di detenzione.

4. L’ammissione al regime di “semilibertà” è decisa in relazione all’andamento delle cure, quando sussistono le condizioni per un graduale reinserimento sociale del detenuto.

5. Ai condannati all’ergastolo può essere concessa la semilibertà solo dopo aver scontato 20 anni di reclusione.

6. Nei casi di cui al comma 1, la semilibertà può essere concessa anche dopo l’inizio dell’esecuzione della pena, quando il condannato abbia manifestato la propria determinazione al reinserimento sociale; in tali casi, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4.

7. Quando la semilibertà deve essere concessa ad una madre di figli di età inferiore ai tre anni, la madre ha il diritto di usufruire delle “case di semilibertà” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 92, DPR n. 431 del 29 aprile 1976

50-b. Abrogata la concessione della semilibertà ai
recidivi

51. Sospensione e revoca della Semilibertà

1.  The order granting Semi-liberty may be revoked at any time when the subject does not seem suitable to the treatment.

2.  The subject who remains unjustifiedly absent from the establishment for no more than 12 hours, shall undergo disciplinary sanctions and the revocation of the measure of semi-liberty may be proposed.

3.  When the person granted semi-liberty remains absent for more than 12 hours, he shall be punishable under art. 385, para 1, of the criminal code; the provision under the last section of the same article may be applied.

4.  A report of the crime under the above paragraph shall cause suspension of the measure, and the relevant conviction shall cause revocation.

5.  For an internee who has been granted semi-liberty who remains unjustifiedly absent from the establishment for more than 3 hours, the provisions under the last paragraph of art. 53 shall apply.

51-b. Issue of new orders for deprivation of liberty

1. When during the implementation of Assignment to the Probation Service, or Home detention, or Particular Home Detention or Semi-liberty a new imprisonment order is issued, the Public Prosecutor shall immediately inform the Supervisory Judge, making at the same time his request. If the latter, taking into account the aggregation of the sentences, finds that the conditions indicated in art. 47 para 1, in art. 47-c , para 1 and 1 b, or in art. 47-e, para 1 and 2, or in art. 50, paras 1-3 persist, shall issue a decree for the continuation of the measure in force; otherwise he shall order its suspension.

2. Against the provision under paragraph 1 an appeal can be lodged in terms of article 69-b.

51- c. Precautionary suspension of a Community Measure

1. When the behaviour of a person benefiting from Assignment to the Probation Service, Semi-liberty, or Home detention is such that revocation of the measure must be considered, the Supervisory Judge having jurisdiction over the area where the measure is implemented shall issue a motivated decree for the temporary suspension of the measure, ordering the transgressor to be taken into prison. The former shall then transmit the proceedings to the Supervisory Court to make its decision. The suspension order issued by the Supervisory Judge shall cease to have effect where the Supervisory Court’s decision does not occur within 30 days of receiving the proceedings.

52. Home leave for persons benefiting from “Semi-liberty”

1. The sentenced person benefiting from the regime of “Semi-liberty” may be granted, as a bonus, one or more periods of Home leave of no more than 45 days a year in total.

2. During Home leave, the beneficiary shall be subjected to supervised liberty.

3. Should the beneficiary infringe the obligations imposed upon him, Home leave may be revoked regardless of the revocation of Semi-liberty.

4. The provisions contained in the previous article shall also apply to the convicted person who does not return to prison at the end or after revocation of Home leave.

53. Home leave for internees

1. Gli internati possono beneficiare di un congedo domiciliare di sei mesi nel periodo immediatamente precedente la data fissata per il riesame della loro pericolosità.

2. A tali soggetti può essere concesso anche il congedo domiciliare non superiore a 15 giorni per gravi esigenze personali o familiari; inoltre, una volta all’anno possono essere concessi un congedo domiciliare non superiore a 30 giorni, al fine di favorire il loro riadattamento sociale.

3. Ai tirocinanti beneficiari del regime di semilibertà può essere altresì concesso, a titolo di premio, il congedo domiciliare previsto dal comma 1 del precedente articolo.

4. Durante il congedo domiciliare, il beneficiario è soggetto alla libertà vigilata.

5. Qualora un internato durante il congedo domiciliare violi gli obblighi che gli sono imposti, il congedo domiciliare può essere revocato indipendentemente dalla revoca della semilibertà.

6. L’internato che rientra nell’istituto 3 ore dopo la fine del congedo domiciliare senza giustificato motivo è soggetto a sanzioni disciplinari e, se beneficia della semilibertà, può essere soggetto alla revoca del provvedimento.

53-b. Calcolo della durata del congedo Home o Bonus

1. Il tempo trascorso dai detenuti e dagli internati che usufruisce del congedo domiciliare o del Congedo Bonus è considerato e calcolato come parte delle misure restrittive della loro libertà, salvo il caso di mancato rientro o di grave inadempimento che non meriti il ​​beneficio. In tali casi il giudice di sorveglianza decide con provvedimento motivato l’esclusione di tali periodi dal computo.

2. L’interessato può proporre ricorso avverso il provvedimento al tribunale di sorveglianza secondo la procedura di cui all’art. 14-c. Il giudice che emette l’ordinanza non partecipa alla commissione.

54. Rilascio anticipato

1. Ai condannati alla reclusione che abbiano dimostrato un’effettiva partecipazione al processo rieducativo può essere riconosciuta, a riconoscimento di tale partecipazione e ai fini di un più efficace reinserimento nella comunità, una riduzione di quarantacinque giorni della pena per ogni sei mesi effettivamente scontato. A tal fine si tiene conto del periodo trascorso anche in custodia cautelare o in detenzione domiciliare.

2. La concessione della scarcerazione anticipata è comunicata alla Procura presso la Corte d’Appello o al Tribunale che ha emesso l’ordinanza di esecuzione, ovvero al Tribunale di primo grado, se ha emesso l’ordinanza.

3. La condanna per un delitto commesso in corso di esecuzione della pena ma successivamente alla concessione del beneficio comporta la decadenza dal beneficio.

4. Ai fini del calcolo dell’importo della pena da scontare per avere diritto al beneficio del congedo maggiorato, della semilibertà e della libertà condizionale, si considera scontata la parte di pena sottratta ai sensi del comma 1 . Tale disposizione si applica anche ai condannati all’ergastolo.

Disposizioni transitorie in materia di “Partecipare all’estinzione anticipata” di cui all’articolo 4 della Legge con Decreto n. 146 del 23 dicembre 2013 (valido fino al 24 dicembre 2015)[3]

55. Azioni del Servizio di probation in relazione alla “libertà vigilata”

1. Conformemente a quanto previsto dall’art. 228 cp, il Servizio di probation presta sostegno e assistenza ai soggetti in “libertà vigilata”, al fine di favorirne il reinserimento sociale.

56. Liberazione del debito
Articolo abrogato dall’articolo 6 del DPR nr. 115 del 30 maggio 2002. Il rilascio del debito è ora disciplinato dal medesimo articolo.[4]
 

57. Idoneità a richiedere benefici

1. La domanda per la concessione delle cure e delle prestazioni di cui agli articoli 47, 50, 52, 53, 54 può essere avanzata dal condannato, dall’internato e dai suoi parenti prossimi o proposta dal consiglio di disciplina.

58. Comunicazioni all’autorità di pubblica sicurezza

1. Le disposizioni di cui al presente capo e adottate dal giudice di sorveglianza o dal collegio dei magistrati di sorveglianza sono immediatamente comunicate dalla cancelleria all’autorità provinciale di pubblica sicurezza.

58-b. Iscrizione all’Albo degli atti giudiziari
[1. Le decisioni del Collegio dei magistrati di sorveglianza relative alla concessione e alla revoca di atti comunitari sono iscritte nel Registro degli atti giudiziari.] abrogato

58-c. Soggetti che collaborano con il “Sistema di Giustizia”

1. Le disposizioni dell’art. 21 comma 1, dell’art. 30-c comma 4, e dell’art. 50 comma 2, concernente le persone condannate per uno dei reati di cui all’art. 4-b, non si applica a coloro che, anche dopo essere stati condannati, hanno intrapreso azioni volte ad impedire che l’attività delittuosa determini ulteriori conseguenze, o che hanno efficacemente assistito la polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta delle prove determinanti in ricostruzione dei fatti e nell’identificazione o cattura degli autori dei reati.

2. Il comportamento di cui al comma 1 è accertato dal Tribunale di Sorveglianza, dopo aver raccolto tutte le informazioni necessarie e sentito il Pubblico Ministero competente a giudicare il reato in relazione al quale è stata prestata la collaborazione.

58-d. Divieto di concessione di benefici

1. The benefits of work outside prisons, bonus leave, assignment to the Probation Service under art. 47, home detention, and semi-liberty, cannot be granted to persons having been found punishable under art.385 of the Criminal Code.

2. The provisions of para 1 shall also apply to sentenced persons subject to the revocation of a community measure under art. 47 para 11, art. 47-c para 6, or art. 51 para 1.

3. The prohibition of granting benefits shall last for a period of three years from the resumption of detention, or from the revocation order under para 2.

4. Persons sentenced for crimes in terms of art. 289-b and 630 of the Criminal code, who have caused the death of the kidnapped person, shall not be granted any of the benefits in terms of art. 4-b, para 1, until they have served at least two thirds of their sentence, or at least 26 years in case of a life sentence.

5. Further to what is provided for by para 1 and 3, the assignment to work outside prison,  bonus leave and community measures provided for in chapter VI shall not be granted, or shall be revoked (when already granted) to persons sentenced for any of the crimes in terms of art. 4-b, para 1, in relation to whom proceedings are taken, or who are sentenced for a culpable crime punishable with a period of imprisonment of no less than a maximum of three years, if this crime is punishable in terms of art. 385 of the Criminal Code or if they commit it during work outside prison or while enjoying bonus leave or a community measure.

6. For the purpose of applying the provisions under para 5, the Authority proceeding in relation to the new crime shall inform the Supervisory Judge of the place where the person was last imprisoned.

7. The prohibition of granting benefits under para 5 shall last 5 years from the resumption of detention, or from the revocation order.

7-b. Assignment to the probation service in the cases provided for by art. 47, home detention and semi-liberty cannot be granted more than once to the sentenced person to whom the recidivism provided for by art 99, para four of the Criminal Code was applied.

58-e. Particular modalities of surveillance during the enforcement of home detention

1. While ordering home detention, the supervisory judge or the supervisory court may order surveillance procedures through electronic tools or other technical tools, complying with the functioning and operational characteristics of the devices currently available to law enforcement agencies. Similar provisions can be ordered during the enforcement of the measure. As far as compatible, provisions under article 275-b of the Code of criminal procedure shall apply.


ITEM II

PROVISIONS RELEVANT TO THE ORGANISATION OF PRISONS

CHAPTER I
PENAL INSTITUTIONS

59. Institutions for adults

1. Institutions for adults belonging to the Penitentiary administration are of four types: 1) remand institutions; 2) institutions for the enforcement of sentences; 3) institutions for the enforcement of “security measures”; 4) observation centres.

60. Istituti di custodia cautelare

1. Gli istituti di custodia cautelare sono suddivisi in due diverse tipologie: “caso mandamentali” e “caso circondariali”.

2. Le “Case mandamentali” assicurano la custodia degli imputati a disposizione del Magistrato di primo grado. Sono ubicati nei principali centri abitati di frazioni dove non esistono “casi circondariali”.

3. I “casi circondariali” assicurano la custodia degli imputati a disposizione di ogni autorità giudiziaria. Si trovano nel capoluogo dei distretti amministrativi.

4. Le “case circondariali” e le “case mandamentali” assicurano altresì la custodia delle persone arrestate o detenute dalle autorità di pubblica sicurezza o da organi di polizia criminale, nonché dei detenuti e degli internati in via di trasferimento.

5.  A single “casa circondariale” or “casa mandamentale” can be established to serve more than one district.

61. Istituzioni per l’esecuzione delle pene

1. Gli istituti per l’esecuzione delle pene sono suddivisi in: 

  1. “Carceri d’arresto”, per l’esecuzione delle sentenze di arresto. Le ali di arresto possono essere istituite a “case mandamentali” o “case circondariali”;
  2. Carceri per l’esecuzione delle pene detentive. Sezioni per l’esecuzione delle pene detentive possono essere istituite in “casi circondariali”.

2. Per particolari esigenze, nei limiti e secondo le modalità previste dalla normativa, i condannati all’arresto o alla reclusione possono essere assegnati a “case circondariali” e “case mandamentali”; inoltre, i condannati alla reclusione possono essere assegnati a “carceri di arresto”.

62. Istituzioni preposte all’esecuzione delle “misure di custodia cautelare”

1. Gli istituti per l’applicazione delle “misure di detenzione di sicurezza” sono suddivisi in: fattorie penali, colonie di lavoro penale; ospedali carcerari; ospedali psichiatrici giudiziari.
2. Le misure di custodia cautelare previste dai nn. 1, 2, 3 del primo comma dell’art. 215 del codice penale trovano rispettivamente applicazione nei detti istituti.
3. Le unità speciali possono essere costituite come segue:

  • unità per l’applicazione della misura di sicurezza “fattoria penale” presso le colonie di lavoro penale e viceversa;
  • unità per l’esecuzione della misura di sicurezza ‘ospedale carcerario’ presso gli ospedali psichiatrici giudiziari e viceversa;
  • unità per l’esecuzione della ‘fattoria penale’ e della ‘colonia del lavoro penale’ misure di sicurezza nelle Carceri per l’esecuzione delle pene detentive.

63. Centri di osservazione

1. I centri di osservazione possono essere istituiti come strutture indipendenti o come unità all’interno di altre istituzioni.

2. I Centri di osservazione svolgono direttamente le attività di osservazione di cui all’art. 13; inoltre forniscono consulenza per le equivalenti attività di osservazione svolte nelle carceri.

3. I risultati dell’osservazione devono essere inseriti nel fascicolo personale del detenuto.

4. Su richiesta dell’autorità giudiziaria, i soggetti sottoposti a procedimento penale possono essere assegnati ai Centri per la compilazione della perizia di medicina legale.

5. I centri di osservazione svolgono anche attività di ricerca scientifica

64. Differenziazione tra istituzioni per l’esecuzione delle sentenze e per l’esecuzione delle misure di sicurezza

1. Ciascuna istituzione è organizzata con caratteristiche diverse in relazione allo stato giudiziario dei detenuti e degli internati e alle loro esigenze di trattamento individuali o di gruppo.

65. Istituzioni per infermi e disabili

1. Le persone affette da infermità o disabilità fisiche o mentali sono assegnate a istituzioni o unità speciali per cure adeguate.

2. Le persone le cui condizioni non consentono il regime carcerario ordinario sono assegnate a tali istituti o unità speciali.

66. Istituzione, conversione e soppressione di istituzioni

1. L’istituzione, la conversione e l’abolizione degli istituti penali e dei loro corpi sono disposte con decreto ministeriale.

67. Visite alle istituzioni

1. Gli istituti penali possono essere visitati, senza autorizzazione, da:

  1. the President of the Council of Ministers and the President of the Constitutional Court;
  2. Ministers, Judges of the Constitutional Court, the Under-secretaries of State, members of Parliament and members of the “Superior Council of the Judiciary”;
  3. the President of the Court of Appeal, the Prosecutor General attached to the Court of Appeal, the President of the “Court” and the Public Prosecutor attached to the “Court”, the Lower Court Magistrate, Supervisory Judges, within their jurisdictions; any other  Judge in the exercise of his duties;
  4. the members of the “Regional Council” and the Government Commissioner for the “Region”, within their district;
  5. the Bishop, for the exercise of his ministry;
  6. the Province’s “Governor” and the Head of Police Administration; the “local physician”;
  7. il Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria ei giudici e funzionari da lui delegati;
  8. gli Ispettori Superiori dell’Amministrazione Penitenziaria;
  9. l’Ispettore dei Cappellani;
  10. Alti Ufficiali del Corpo di Polizia Penitenziaria;
  11. i difensori civici dei prigionieri, indipendentemente dal nome.
  12. i membri del Parlamento europeo.

2. Inoltre nessuna autorizzazione è necessaria per coloro che accompagnano le persone sopra elencate per motivi di dovere o per il personale indicato all’art. 18-b.

3. Possono accedere agli stabilimenti, per motivi di dovere, gli agenti della Direzione Investigativa Penale e gli agenti di polizia, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

4. I ministri di religione cattolica e di altre religioni possono entrare negli stabilimenti, previa autorizzazione.

Articolo 67-b
Visite alle celle situate negli stabilimenti di Polizia

1. Le disposizioni di cui all’articolo 67 si applicano anche alle celle situate negli stabilimenti delle forze dell’ordine.


CAPO II
GIUDICI DI VIGILANZA

68. Uffici di vigilanza

1. Gli Uffici di vigilanza sono annessi agli uffici di cui alla tabella A allegata al presente atto e hanno giurisdizione sulle circoscrizioni territoriali dei tribunali elencati nella stessa tabella.

2. Al predetto sono assegnati i componenti della magistratura della Corte di Cassazione, della Corte d’Appello e dei Tribunali, nonché il personale degli elenchi delle cancellerie dei tribunali, delle procure e del personale operativo e subordinato Uffici per l’esercizio delle funzioni elencate rispettivamente negli articoli 69, 70 e 70-b.

3. Con decreto del Presidente della Corte d’Appello, un membro della Magistratura con grado di Giudice della Corte di Cassazione, della Corte d’Appello o del “Tribunale”, può essere temporaneamente assegnato all’esercizio delle funzioni di Giudice di sorveglianza quando quest’ultimo è assente o ha un impedimento.

4. Ai membri della magistratura che esercitano funzioni di vigilanza non sono attribuite altre funzioni giudiziarie. Possono altresì avvalersi di assistenti volontari, con compiti di mero sostegno nell’espletamento delle loro funzioni, che saranno selezionati sulla base dei criteri stabiliti dall’articolo 78. L’attività di volontariato non può essere remunerata.

69. Funzioni e disposizioni del giudice di sorveglianza

1. Il giudice di sorveglianza vigila sull’organizzazione degli istituti penali e riferisce al Ministro delle esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo all’attuazione del trattamento riabilitativo.

2. Inoltre, controlla che gli imputati siano detenuti a norma di leggi e regolamenti.

3. Vigila sull’applicazione delle “misure di sicurezza personale”.

4. Egli esamina la pericolosità ai sensi dei commi 1 e 2, art. 208 cp, e valuta l’applicazione, l’esecuzione, la modifica o la revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Inoltre, nei casi di cui sopra, provvede anche con decreto motivato alla revoca, se del caso, della dichiarazione ritenendo che l’interessato sia un delinquente abituale, professionale o che abbia tendenze criminali ex art. 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale.

5. Egli approva il programma di cure previsto dal comma 3, art. 13, con decreto, o lo restituirà con osservazioni, affinché sia ​​redatto nuovamente, se vede che viola i diritti dei condannati e degli internati. Approva, con decreto, il provvedimento che consente a un detenuto di lavorare fuori del carcere. Inoltre, darà indicazioni volte ad evitare violazioni dei diritti dei detenuti e degli internati condannati.

6. Decide, ai sensi dell’art. 35-b, sulle denunce di detenuti e internati concernenti:

  1.  le condizioni per l’esercizio del potere disciplinare, l’istituzione e la competenza dell’organo disciplinare, la contestazione delle violazioni e la difesa; nei casi previsti dall’articolo 39, comma 1, numeri 4 e 5, valuta anche la fondatezza dei provvedimenti adottati;
  2.  l’inosservanza, da parte dell’amministrazione, delle disposizioni previste dalla presente legge e dalle relative norme di attuazione, che diano luogo ad un attuale e grave pregiudizio per l’esercizio dei diritti dei detenuti o degli internati.

7. Decide, con decreto motivato, in merito a: congedi grati, permessi per i detenuti in semilibertà e internati, e modifiche relative all’Incarico al Servizio di Prova e al Carcerazione domiciliare.

8. Egli provvede, con ordinanza, alla riduzione della pena per la scarcerazione anticipata e alla liberazione del debito nonché ai ricoveri di cui all’art. 148 cp.

9. Emette pareri motivati ​​su proposte e istanze di grazia concernenti i detenuti.

10. Inoltre, svolge tutti i compiti che gli sono attribuiti dalla legge.

69-b. Atti in materia di rilascio anticipato

1. Sulla domanda di concessione della scarcerazione anticipata, con ordinanza adottata in camera di consiglio senza parti, spetta il giudice di sorveglianza; tale provvedimento è comunicato o notificato senza indugio ai soggetti indicati nell’articolo 127 del codice di procedura penale.

2. Il giudice di sorveglianza si pronuncia trascorsi quindici giorni dalla data della richiesta di parere al pubblico ministero e anche senza tale parere.

3. Il difensore, l’interessato e il pubblico ministero, entro dieci giorni dalla comunicazione o notifica, possono proporre ricorso avverso l’ordinanza di cui al comma 1 al competente organo di vigilanza.

4. Il tribunale di sorveglianza si pronuncia ai sensi dell’articolo 678 del codice di procedura penale. Si applicano le disposizioni dei commi 5 e 6 dell’articolo 30-b.

5. Il tribunale di sorveglianza, ove sia stata presentata istanza di concessione della liberazione anticipata, nel procedimento di cui all’articolo 70, comma 1, può trasmetterla al giudice di sorveglianza.

70. Funzioni e disposizioni del Tribunale di sorveglianza

1. Esiste una Corte di sorveglianza in ogni distretto della Corte d’Appello e in ogni distretto territoriale di una Corte d’Appello distaccata. I tribunali di sorveglianza sono competenti in materia di: affidamento al servizio di libertà vigilata, detenzione domiciliare, detenzione domiciliare particolare, semilibertà, libertà condizionale, revoca o cessazione dei suddetti benefici nonché riduzione della pena per liberazione anticipata, differimento obbligatorio o discrezionale di l’esecuzione delle pene detentive di cui agli artt. 146-147, nn. 2) e 3) del codice penale. I Tribunali sono competenti per tutte le altre disposizioni loro attribuite dalla legge.

2. Il Tribunale di Sorveglianza costituente Corte d’Appello decide sui ricorsi proposti avverso i provvedimenti di cui all’art. 69, comma 4. Il Giudice che ha emanato il provvedimento non può far parte del collegio dei giudici di appello

3. Ciascun Tribunale è composto da tutti i giudici di sorveglianza dislocati nel proprio distretto o nel distretto territoriale delle sezioni distaccate di Corte d’Appello, e esperti scelti tra le categorie indicate nell’art. 80, comma 4, e professori di criminologia.

4. Un numero adeguato di esperti permanenti e supplenti è nominato dal Consiglio superiore della magistratura, per soddisfare le esigenze dell’ufficio, in ogni “Tribunale” con mandato triennale rinnovabile.

5. Le decisioni del Tribunale di sorveglianza sono adottate da un collegio composto da: il presidente o, in caso di sua assenza o impedimento, il giudice di sorveglianza al primo posto per funzioni giudiziarie ovvero, se esercitano le stesse funzioni, in termini di anzianità; un giudice di sorveglianza; e due dei periti previsti dal comma 4.

6. Uno dei due giudici ordinari deve essere il giudice di sorveglianza avente giurisdizione sul condannato o sull’internato.

7. I membri dei collegi dei giudici sono costituiti annualmente secondo le disposizioni dell’ordinamento.

8. La Corte decide, con ordinanza, in sezioni. A parità di voti prevale il voto del Presidente.

9. ABROGATO

70-b. Il presidente del Tribunale di sorveglianza

1. Le funzioni di presidente dei Tribunali di sorveglianza sono attribuite a un Giudice con rango di giudice di Cassazione mentre i Tribunali di sorveglianza annessi a sezioni distaccate delle Corti d’appello, a un Giudice con rango di Giudice di appello.

 2. Il presidente del Tribunale, oltre a svolgere le funzioni di giudice di sorveglianza in carica:

  1. dirigere e organizzare l’attività del Tribunale di Vigilanza;
  2. organizzare, nel rispetto del carico di lavoro del Tribunale, le attività degli Uffici di Vigilanza di competenza del Tribunale stesso;
  3. inviare i Giudici e il personale ai vari Uffici di Vigilanza in caso di assenza, impedimento o urgenza dell’ufficio;
  4. chiedere al Presidente della Corte d’Appello di emanare i provvedimenti di cui all’art. 68, comma 3;
  5. proporre al Consiglio Superiore della Magistratura la nomina di esperti permanenti e supplenti e predisporre le tabelle degli onorari dovuti;
  6. svolgere tutte le altre attività previste da leggi e regolamenti.

70-c. Nuovi nomi

1. Le denominazioni di “Sezioni di Vigilanza” e “Magistrato di Vigilanza” previste dalla normativa vigente sono sostituite rispettivamente con “Tribunale di sorveglianza” e “Giudice di sorveglianza”.

2. Il funzionamento sia del Tribunale di Sorveglianza che degli Uffici di Vigilanza previsti dall’art. 68, è assicurato mediante stanziamento diretto di fondi e attrezzature dalle apposite Voci di Bilancio del Ministero della Giustizia.


CAPO II b
PROCEDIMENTI DI VIGILANZA

71. Disposizioni generali

1. Per l’adozione dei provvedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza espressamente previsti dall’articolo 70, commi 1 e 2, i provvedimenti del giudice di sorveglianza in materia si applicano i procedimenti previsti dai commi e dagli articoli successivi in materia di liberazione del debito, il ricovero di cui all’articolo 148 del codice penale, l’applicazione, l’esecuzione, la modifica o la revoca anche in anticipo delle misure di sicurezza e le misure relative all’accertamento dell’identità ai fini delle misure di cui sopra.

2. Il presidente del tribunale o il giudice di sorveglianza, a seguito di richiesta o suggerimento o d’ufficio, invita l’interessato ad esercitare i propri poteri per nominare un difensore. Qualora l’interessato non vi provveda entro cinque giorni dalla comunicazione dell’invito, il difensore è nominato dal presidente del tribunale o dal giudice di sorveglianza. Successivamente, il presidente del tribunale o il giudice di sorveglianza fissa, con decreto, la data dell’udienza e ne dà comunicazione al pubblico ministero, all’interessato e al difensore, almeno cinque giorni prima della data fissata.

3. La competenza è del tribunale o del giudice di sorveglianza competente per il carcere in cui è detenuto l’interessato al momento della richiesta o del suggerimento, ovvero all’inizio del procedimento d’ufficio.

4. Se l’interessato non è incarcerato o internato, la competenza spetta al tribunale o al giudice di sorveglianza competente nel luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio. Qualora non sia possibile determinare la competenza come sopra stabilita, si applica la disposizione di cui all’articolo 635, comma 2, del codice di procedura penale.

5. Le disposizioni del Capo I, Titolo V, Libro IV del codice di procedura penale (art. 633 e ss.) possono trovare applicazione, non diversamente la presente legge. L’articolo 641 del codice di procedura penale si applica solo ai casi di cui all’articolo 212 del codice di procedura penale.[5]

71b. Udito

1. All’udienza sono presenti il ​​difensore e un rappresentante della Procura della Repubblica. L’interessato può altresì intervenire e presentare memorie difensive.

2. L’ufficio di pubblico ministero è svolto, dinanzi al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la Corte di appello e, dinanzi al giudice di sorveglianza, dal procuratore del “Tribunale” ove è annesso il tribunale di sorveglianza.

3. I provvedimenti del tribunale di sorveglianza e del giudice di sorveglianza sono emanati sulla base degli atti acquisiti in udienza sull’osservazione e sul trattamento dell’interessato; le richieste pertinenti, se presenti; il parere degli esperti incaricati del trattamento.

4. L’ordinanza conclusiva del procedimento di vigilanza è notificata al pubblico ministero, all’interessato e al difensore entro dieci giorni dalla data della decisione.

71c. Ricorso in Cassazione

1. Il pubblico ministero, l’interessato e, nei casi previsti dagli articoli 14-ter e 69, comma 6, l’amministrazione penitenziaria possono proporre ricorso in Cassazione avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza e del giudice di sorveglianza per violazione di legge, entro dieci giorni dalla notifica del provvedimento. Le disposizioni di cui al par. 3 dell’art. 640 cpp. L’ultimo comma dell’art. Si applica anche l’articolo 631 del codice di procedura penale.[6]

71.d Notifiche

1. Le comunicazioni e le disposizioni previste dagli articoli precedenti all’interessato sono effettuate ai sensi dell’art. 645 cpp.

71. e Revoca[7]
(Omesso) 
 .

71. f Irricevibilità

1. Qualora la domanda di adozione delle disposizioni di cui all’art. 71, comma 1, appaiono manifestamente infondate per mancanza dei presupposti previsti dalla legge, ovvero qualora si tratti semplicemente di un nuovo deposito di un’istanza già respinta, fondata sui medesimi elementi, il presidente, sentito il pubblico ministero, rilascia motivata ordinanza con la quale dichiara irricevibile il ricorso e ordina che non si svolga alcun procedimento di vigilanza.

2. L’ordinanza è notificata entro cinque giorni all’interessato, che può proporre ricorso entro cinque giorni dalla data della comunicazione, chiedendone l’esame da parte del giudice.

3. In appello, il presidente del tribunale avvia il procedimento di vigilanza.

CAPO III
ESECUZIONE DELLE CONSENSI IN COMUNITÀ E ASSISTENZA

72. Uffici per l’esecuzione delle pene nella Comunità

1. Gli uffici locali per l’esecuzione della pena in comunità sono di competenza del Ministero della giustizia e la loro organizzazione è disciplinata da regolamenti adottati dal Ministro ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 23 agosto 1988, e successive modificazioni.

2. Gli uffici:

  1. su richiesta dell’autorità giudiziaria svolge indagini utili a fornire i dati necessari per l’esecuzione, la modifica, la proroga e la revoca delle “misure di sicurezza”;
  2. svolgere indagini sociali e familiari per l’applicazione delle misure comunitarie ai criminali condannati;
  3. proporre all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da erogare ai detenuti che chiedono di essere assegnati al servizio di libertà vigilata e di ottenere la detenzione domiciliare;
  4. vigilare sull’esecuzione dei programmi da parte dei soggetti destinatari di provvedimenti comunitari, ne riferiscono all’Autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modifica o revoca;
  5. su richiesta dei direttori penitenziari, danno i loro consigli per favorire la buona riuscita del trattamento penitenziario;
  6. svolgere ogni altra attività prevista dalla legge e dai regolamenti.

73. Fondo di soccorso per assistere le vittime di reati

1. Annesso alla Direzione Generale dell’Amministrazione Penitenziaria, è istituito il Fondo di Soccorso per le Vittime di Reati.

 2. Il Fondo, avente forma giuridica, è amministrato secondo le norme ei regolamenti di contabilità pubblica e può essere legalmente rappresentato dall’Avvocatura dello Stato. 

 3. In relazione al bilancio, alla gestione e al servizio del Fondo, le regole di cui all’articolo 4 della legge n. 457 del 9 maggio 1932.

 4. Il Fondo è gestito da un consiglio composto da: 

  1. il Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria in qualità di presidente;
  2. un rappresentante del Tesoro;
  3. un rappresentante del Ministero dell’Interno.

5. Le funzioni di segreteria sono svolte dal Direttore dell’Ufficio annesso alla Direzione generale dell’amministrazione penitenziaria che presta assistenza.

6. Nessun compenso o compenso è corrisposto ai suddetti consiglieri.

7. Il patrimonio del Fondo è costituito dalle somme ricavate dalla differenza tra reddito e compenso di cui all’articolo 23, oltre a lasciti, donazioni o altri contributi.

8. I fondi del Fondo sono utilizzati per assistere le vittime che a causa del reato si trovano in comprovato bisogno.


74. Consigli di assistenza sociale

 1. Nel capoluogo di ogni circoscrizione è costituito un Consiglio di Assistenza Sociale, presieduto dal Presidente del “Tribunale” o da un Giudice da lui delegato, e composto da: il Presidente del Tribunale per i minorenni o altro Giudice da lui delegato , un giudice di sorveglianza, un rappresentante della “Regione”, un rappresentante della “Provincia”, un funzionario dell’amministrazione civile dell’Interno nominato dal “Prefetto”, il sindaco o un delegato, il “medico locale”, il Dirigente del locale Centro per l’Impiego, delegato del Vescovo, e dei Governatori delle Carceri distrettuali. Vanno inoltre inseriti sei membri nominati dal Presidente del “Tribunale” tra quelli individuati da enti pubblici e privati ​​come qualificati in servizio sociale.

2. Il consiglio di assistenza sociale ha personalità giuridica, è vigilato dal Ministero della giustizia e può farsi rappresentare dall’Avvocatura dello Stato.

3. I membri del consiglio di assistenza sociale non sono corrisposti per i servizi da essi prestati.

4. Con decreto del Presidente della Repubblica, proposto dal Ministro della giustizia, più consigli di assistenza sociale possono essere fusi in un unico organismo.

5. Le spese necessarie per l’espletamento dei compiti del consiglio di assistenza sociale in materia di assistenza carceraria e post-cura sono a carico di:

  1. Fondo Sanzioni ex art. 4 della legge n. 547 del 9 maggio 1932;
  2. la dotazione annuale prevista dalla legge n. 491 del 23 maggio 1956;
  3. i proventi delle attività manifatturiere carcerarie attribuiti annualmente con decreto del Ministro del tesoro sul saldo del Fondo sanzioni nella misura del cinquanta per cento dell’importo totale;
  4. i fondi ordinari del bilancio;
  5. gli altri fondi che compongono la proprietà dell’ente.

6. Le spese necessarie per il raggiungimento delle finalità del consiglio di assistenza sociale nell’ambito dell’assistenza alle vittime di reati sono coperte mediante stanziamento del fondo di cui all’articolo precedente, oltre a fondi ottenuti a titolo di lasciti, donazioni o altro contributi ricevuti dall’ente a tal fine.

7. Il regolamento prevede l’organizzazione interna e le modalità di lavoro del consiglio di assistenza sociale, che delibera alla presenza di almeno sette dei suoi membri.

75. Attività del Consiglio di assistenza sociale per l’assistenza carceraria e l’assistenza post-carcere

1. Il ruolo del Consiglio di assistenza sociale è:

  1. fare in modo che i detenuti che devono essere rilasciati ricevano visite frequenti, in modo da favorire, attraverso un’adeguata consulenza e assistenza, il loro reinserimento nella comunità; 
  2. curare la raccolta di tutte le informazioni necessarie, al fine di individuare i reali bisogni dei detenuti che devono essere rilasciati e di studiare le modalità per provvedere ad essi, conformemente alla loro disposizione e alle condizioni familiari;
  3. raccogliere informazioni sulle possibilità di impiego nel distretto e prendere accordi anche, sentito il comitato di cui all’art. 77, di dare lavoro a tutti i detenuti dopo la scarcerazione, che risiedano o stabiliscano la residenza nello stesso distretto;
  4. to organise, also in co-operation with public institutions or with private individuals, vocational training courses and working activities for prisoners after release, needed to develop their working skills when they are unlikely to find a job immediately after release; to promote moreover the frequency of those released to normal vocational training courses made available by the “Regions”;
  5. to see that links between prisoners and internees and their families are maintained;
  6. to notify the competent authorities and institutions of the needs of the families of prisoners and internees which render special interventions necessary;
  7. to grant assistance in money or in kind;
  8. to co-operate with the competent authorities in the co-ordination of the assistance activity of the bodies and of the public and private associations and of the persons performing welfare and charitable activity aiming at carrying out the most effective and adequate intervention in favour of released prisoners and of prisoners’ and internees’ families.

76. The activities of the Social Assistance Council for the assistance of the victims of crime

1. The Social Assistance Council shall provide for assistance to victims of crime through financial assistance or assistance in kind, and shall provide for assistance to minors who are orphans as a result of the crime.

77. Committee for the employment of persons assisted by the Social Assistance Council

1. In order to assist in the employment of released prisoners, at each Social Assistance Council, or at the institution under para 4 of art. 74, a committee for the employment of the persons assisted by the Social Assistance Council shall be established.

2. Such Panel, chaired by the President of the Social Assistance Council or by a magistrate delegated by the president himself, shall consist of four representatives respectively from Industry, Commerce, Agriculture and local Handicrafts, designated by the President of the Chamber of Commerce, Industry, Handicraft and Agriculture, three employers’ representatives, three workers’ representatives, designated by trade union organisations represented in the largest number at national level, a tenants’ representative, the Director of the Local Employment Office, an executive from the Penitentiary Administration and a social worker from the Probation Service Centre as provided for by the article 72.

3. The President of the Social Assistance Council shall provide for the appointment of the Committee members.

4. The Committee shall take decisions when at least five of its members are present.

78. Voluntary workers

1. Upon the proposal of the supervisory judge, the Penitentiary Administration may authorise persons suitable to provide assistance and education to attend prisons with the aim to participate in order to ensure the moral support of prisoners and internees, and their future reintegration into the community.

2. Voluntary workers may collaborate in the prison’s cultural and recreational activities under the guidance of the governor, who co-ordinates their actions with that of all personnel responsible for treatment.

3. The activity described in the foregoing paragraphs shall not be remunerated.

4. Voluntary workers may collaborate with the probation service centres in relation to the assignment to the probation service, semi-liberty and providing assistance to released prisoners and their families.

CHAPTER IV
FINAL AND TRANSITIONAL PROVISIONS

79. Young offenders under the age of 18 under criminal measures. The Supervisory Magistracy

1. The provisions of the present Act shall apply to juveniles under the age of 18, subjected to criminal measures, until provisions are made by a specific law.

2. In the case of juveniles referred to in the previous paragraph and of offenders over 18 who were under 18 when the offence was committed, the duties of the Supervisory Court and those of the Supervisory Judge shall be performed by the Juvenile Court and by the Supervisory Judge for juveniles to the Juvenile Court respectively.
3. The last paragraph of the article 68 shall not apply to the Supervisory Judge for juveniles.

80. Staff in the penitentiary administration

1. In ogni istituto penale per adulti, oltre al personale previsto dalla normativa vigente, operano gli educatori per adulti e gli assistenti sociali dei Centri per i servizi alla libertà vigilata previsti dall’articolo 72.

2. L’Amministrazione Penitenziaria può avvalersi, per lo svolgimento delle attività di cura e di osservazione, di lavoratori giornalieri, nei limiti da concordarsi annualmente con il Ministero del Tesoro.

3. I lavoratori giornalieri percepiranno, per giornata lavorativa, la stessa retribuzione del corrispondente personale designato.

4. Per lo svolgimento dell’attività di osservazione e cura l’Amministrazione penitenziaria può avvalersi dell’assistenza professionale di esperti in psicologia, assistenza sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica che percepiranno un compenso in proporzione al servizio prestato.

5. Il servizio infermieristico negli istituti di pena previsti dall’articolo 59 è svolto da personale formato e abilitato all’infermiere.

6. A tal fine il numero degli operai inseriti nell’organico stabile dell’Amministrazione penitenziaria, di cui al DPR 31 marzo 1971, n. 275, emanato ai sensi dell’articolo 17 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è aumentato di 800 unità per le posizioni sopra indicate. Dette unità comprenderanno 640 operai qualificati formati e 160 capisquadra.

7. Le modalità di assunzione del suddetto personale sono stabilite dal Regolamento di Applicazione.

81. Compiti degli assistenti sociali

1. Gli assistenti sociali a livello dirigenziale svolgono i compiti previsti dagli articoli 9, 10 e 11 della legge n. 1085 del 16 luglio 1962, anche nell’ambito dei centri di servizio alla libertà vigilata previsti dall’art. 72 della presente legge.

2. Gli assistenti sociali a livello di impiegati svolgono le attività indicate nell’art. 72 della presente legge nell’ambito dei centri di servizio alla libertà vigilata. Essi garantiscono la sorveglianza e l’assistenza alle persone soggette a misure alternative alla detenzione, nonché il sostegno e l’assistenza alle persone rilasciate in libertà vigilata; inoltre, devono partecipare alle attività di supporto e supervisione agli autori di reato dopo la scarcerazione.

82. Compiti degli educatori

1. Gli educatori partecipano all’attività di gruppo finalizzata all’osservazione scientifica dei detenuti e degli internati e sono coinvolti anche nel trattamento riabilitativo individuale o di gruppo, collegando il loro lavoro con quello del personale addetto alle attività riabilitative.

2. Svolgono altresì, ove consentito, attività educative a favore degli imputati.

3. Collaborano inoltre alla tenuta della biblioteca e alla distribuzione di libri, riviste e giornali.

83. Elenchi del personale permanente del servizio di probation e degli educatori

1. Il tavolo del personale direttivo del servizio di probation, allegato alla legge 16 luglio 1962, n. 1085, è sostituito dalla tabella B allegata alla presente legge.

2. Sono stabiliti gli elenchi del personale impiegato a tempo indeterminato per gli incarichi di educatore per adulti e di assistente sociale per adulti.

3. Il numero degli agenti di cui al comma precedente è stabilito rispettivamente dalle tabelle C e D allegate alla presente legge.

4. Le disposizioni in materia di statuto dei Funzionari Pubblici e, ove applicabili, quelle di cui al regio decreto 30 luglio 1940, n. 2041, come successivamente modificato, si applica al personale che ricopre i suddetti incarichi; il suddetto personale sarà direttamente sottoposto all’autorità dell’amministrazione penitenziaria e dei suoi organi periferici.

5. Sono esonerati i membri del personale direttivo del servizio di probation che, al 1° luglio 1970, ricopriva la carica di amministratore, per quanto riguarda la nomina alla carica di “primo dirigente” (primo livello di carriera del dirigente) , dalla partecipazione al corso di formazione previsto dagli articoli 22 e 23 del medesimo decreto, al raggiungimento del livello di anzianità di cui al 1° comma dell’art. 22 del DPR 30 giugno 1972, n. 748.

6. La loro nomina è effettuata, nei limiti dei posti disponibili, con decreto ministeriale, previo parere favorevole del consiglio di amministrazione, sulla base delle informative e del punteggio complessivo ottenuto dai candidati interessati .

84. Concorso per esame speciale per entrare nel personale impiegato a tempo indeterminato come assistente sociale per adulti

1. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il Ministro della giustizia bandisce un concorso, mediante esame speciale, per accedere alla carriera di assistente sociale per adulti prevista dall’articolo precedente, al fine di ricoprire il 50% del totale dei posti disponibili nel personale a tempo indeterminato di cui sopra.

2. Entro trenta mesi dall’entrata in vigore della presente legge è bandito un concorso pubblico per l’accesso alla carriera di assistente sociale per adulti, per la copertura del residuo 50% del totale dei posti disponibili nel personale a tempo indeterminato di cui sopra. Possono partecipare al presente concorso anche gli assistenti sociali inseriti nell’organico degli assistenti sociali per minori, a seguito del bando per l’assunzione di 160 assistenti sociali, di cui al decreto ministeriale 21 giugno 1971.

3. Solo coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, svolgono attività di assistenza sociale retribuita presso istituti penali ed in possesso di un diploma di scuola media superiore più un attestato di formazione professionale rilasciato dopo due o tre anni di corso in attività di assistenza sociale, possono partecipare al concorso di cui al primo comma, indipendentemente dai limiti di età previsti dalla normativa vigente per l’accesso alla pubblica amministrazione.

4. Il concorso consiste in una prova orale avente ad oggetto le seguenti materie:

  1. Teoria e pratica del servizio di probation;
  2. Psicologia;
  3. Elementi di diritto e procedura penale;
  4. Regolamento per gli istituti penali

5. La commissione esaminatrice è presieduta dal direttore generale dell’amministrazione penitenziaria, o dal suo sostituto magistrato, ed è composta dai seguenti membri:

  • un magistrato di corte d’appello presso la direzione generale dell’amministrazione penitenziaria;
  • un professore di neuropsichiatria o psicologia o criminologia o antropologia criminale;
  • un ispettore generale dell’amministrazione penitenziaria;
  • un insegnante di materie relative al servizio di libertà vigilata.

6. Le funzioni di segretario sono esercitate da un componente del personale dirigente amministrativo della predetta amministrazione, di grado non inferiore a quello di direttore al secondo livello di stipendio (ex coefficiente 257).

7. L’esame è superato quando il richiedente ottiene un punteggio non inferiore a sei decimi.

8. I vincitori del concorso sono nominati:

  1. al primo livello retributivo per la posizione di assistente sociale se hanno lavorato ininterrottamente per almeno due anni, come previsto dal comma 3 del presente articolo;
  2. al secondo livello retributivo per la posizione di assistente sociale se hanno lavorato ininterrottamente per almeno quattro anni, come previsto dal comma 3 del presente articolo;
  3. al terzo livello retributivo per la posizione di assistente sociale se hanno lavorato ininterrottamente per almeno otto anni, come previsto dal comma 3 del presente articolo;

9. Per i richiedenti inseriti nel primo o nel secondo gruppo salariale ai sensi dei commi precedenti, si tiene conto degli anni durante i quali hanno svolto ininterrottamente le funzioni di assistenza sociale di cui al comma 3 del presente articolo, ove eccedenti i due o soglia quadriennale di cui sopra, in vista dell’inserimento nella fascia retributiva immediatamente superiore.

10. Entro tre mesi dalla data di pubblicazione del decreto di nomina, i vincitori del suddetto concorso possono chiedere il riscatto delle annualità prestate di cui al terzo comma del presente articolo ai fini del calcolo della pensione e del TFR

85. Accesso al personale dirigente nel servizio di libertà vigilata

1. All’articolo 5/e della legge 16 luglio 1962, n. 1085, le parole “istituite o autorizzate a norma di legge” sono abrogate.

86. Personale degli Uffici di Vigilanza

1. Entro 6 mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il numero dei giudici e del personale di cui all’articolo 68 è stabilito per ciascun Ufficio di vigilanza, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, sentito il parere il Ministro del Tesoro, nell’ambito dell’attuale organico.

87. Regolamenti di esecuzione

1. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, il regolamento di esecuzione è emanato, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della giustizia, sentito il Ministro del tesoro. Per quanto riguarda l’istruzione in carcere, detto regolamento è emanato anche sentito il Ministro dell’Istruzione.

2. Fino all’emanazione di tale regolamento, si applicano le disposizioni della normativa vigente in quanto non incompatibili con la presente legge.

3. Entro il termine di cui al comma 1, sono emanate norme che disciplinano l’accesso agli elenchi degli impiegati a tempo indeterminato per gli incarichi di educatori e assistenti sociali per adulti.

4. Le disposizioni sull’affidamento al servizio di Prova e sulla semilibertà entrano in vigore un anno dopo la pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale.

88. Attuazione delle disposizioni relative agli elenchi permanenti del personale

1. Le disposizioni concernenti l’istituzione dell’elenco del personale permanente del servizio di probation, l’aumento del personale direttivo del servizio di probation, l’istituzione dell’impiegato permanente degli educatori per adulti e l’aumento del personale specializzato annesso agli ospedali psichiatrici e alle “carcere ospedali” come previsto dalla presente legge, si applicano entro un periodo di 7 anni.

89. Norme abrogate

1. Gli articoli 141, 142, 143, 144, 149, e l’ultimo comma dell’articolo 207 del codice penale, l’articolo 585 del codice di procedura penale e tutte le norme incompatibili con la presente legge sono abrogati.

90. Requisiti di sicurezza
(Omissis)

91. Finanziamento

1. L’onere risultante dalla presente legge, fissato in 25 miliardi di lire italiane per l’esercizio 1975, è sopportato riducendo di pari importo la ripartizione di cui alla voce 6856 del Bilancio del Ministero del Tesoro per detto esercizio.
2. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare al bilancio dello Stato le modifiche che si rendessero necessarie, con l’emanazione dei relativi decreti.


TRADUZIONE E AGGIORNAMENTI A CURA DEL DOTT. ANDREA BECCARINI
REVISIONE AGGIORNATA A CURA DELLA DOTT.SSA ALESSANDRA VIVIANO
 
Appendice
 
1. Delinquente Per ragioni
di brevità, il termine “delinquente” va inteso sia come imputato sia come condannato.

2. Genere
Per ragioni di brevità, la presente legge fa uso del solo genere maschile (ad esempio, “suo”, “lui”, “lui”). Il genere femminile è sempre da intendersi in congiunzione con il genere maschile.

3. Forme verbali Le
affermazioni nell’Atto che fanno riferimento a requisiti essenziali sono formulate usando “shall” come forme verbali. Al contrario, i divieti essenziali usano queste forme verbali in negativo.

[1] Il testo dell’articolo 94 del DPR 9 ottobre 1990, nr. 309 attualmente in vigore è il seguente: (Incarico al Servizio di libertà vigilata in casi particolari.)
1. Il condannato alla reclusione, tossicodipendente o alcolista, può in ogni momento chiedere l’affidamento al Servizio di libertà vigilata per proseguire o intraprendere le cure sulla base di un programma concordato dall’interessato con il territorio sanitaria o con uno degli enti privati ​​abilitati indicati dall’art. 116. L’affidamento al Servizio di affidamento in casi particolari può essere conferito solo quando la pena detentiva da scontare, anche rappresentando la parte restante di una pena più lunga e unitamente ad una la sanzione pecuniaria, non è superiore a sei anni, ovvero a quattro anni se l’atto in questione ricomprende uno dei delitti indicati dall’articolo 4-b dell’atto penitenziario. La relativa domanda deve contenere, a pena di inammissibilità, un certificato di un’autorità sanitaria pubblica o di una struttura privata autorizzata all’attività di diagnosi prevista dal comma 2, lettera d), dell’articolo 116 attestante lo stato di dipendenza da droghe o alcol, la procedura attraverso la quale l’uso abituale di droghe o alcol è stato accertato lo stato di avanzamento del programma riabilitativo concordato nonché la sua idoneità in termini di riabilitazione del condannato. Per effettuare tale trattamento a spese del Servizio Sanitario Nazionale, la struttura interessata deve essere in possesso dell’accreditamento istituzionale ai sensi dell’articolo 8-d del decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992 e successive modificazioni, e si inserisce negli accordi previsti dall’articolo 8-e del citato decreto legislativo.
2. Se l’ordine carcerario è stato eseguito, l’istanza è presentata al giudice di sorveglianza il quale, se detta domanda è ricevibile, se sono fornite reali indicazioni circa la sussistenza dei requisiti per l’accoglimento della domanda e circa il grave pregiudizio dovuto alla lo stato di reclusione, ove non sussista il pericolo di fuga sulla base delle informazioni raccolte, può concedere temporaneamente il provvedimento alternativo. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del comma 4. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il giudice di sorveglianza è competente ad adottare gli ulteriori provvedimenti previsti dalla legge penitenziaria.
3. Per prendere una decisione, il Tribunale di Sorveglianza può acquisire copia del fascicolo e disporre idonee istruttorie in relazione all’adeguatezza del programma terapeutico concordato; va altresì accertato che la dipendenza da sostanze stupefacenti o alcoliche e l’attuazione del programma riabilitativo non sono predisposti per ottenere il beneficio. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 92, commi 1 e 3.
4. Il Tribunale di sorveglianza accoglie la domanda se ritiene che il programma riabilitativo contribuisca, anche attraverso gli altri obblighi e divieti previsti dall’articolo 47, comma 5, della legge penitenziaria, alla riabilitazione dell’autore del reato e che detto programma assicuri la prevenzione della ulteriore recidiva. Qualora il Tribunale di Sorveglianza attribuisca l’Incarico, gli obblighi ei divieti imposti devono comprendere anche quelli che determinano le modalità di attuazione del programma. L’ordinanza deve inoltre precisare gli obblighi ei divieti e le forme di sorveglianza per accertare che il tossicodipendente o l’alcolista inizi immediatamente o prosegua il percorso riabilitativo. La pena si considera esecutiva dalla data del verbale di assegnazione; tuttavia,
5. ABROGATO
6. Salvo diversa disposizione, la disciplina applicata è dettata dalla legge 25 luglio 1975, n. 354, così come modificata dalla legge 25 luglio 1975, n. 663 del 19 giugno 1986.
6-b. Se, nel corso dell’incarico conferito ai sensi del presente articolo, l’interessato ha concluso positivamente la parte terapeutica del proprio percorso riabilitativo, il Giudice di sorveglianza, dopo aver riformulato i relativi obblighi e divieti, può ordinarne la prosecuzione ai fini della sua riabilitazione, anche se la parte restante della pena da scontare è superiore al termine previsto dall’art. 47 della Legge Penitenziaria.
6-c. Il responsabile della struttura presso la quale si svolge il programma terapeutico e riabilitativo deve segnalare all’Autorità giudiziaria ogni violazione commessa dal soggetto che effettua il programma. Se tali violazioni costituiscono reato, e ove siano state omesse, l’autorità giudiziaria ne dà comunicazione alle autorità competenti per la sospensione o la revoca dell’autorizzazione prevista dall’art. 116 e dell’accreditamento previsto dall’art. 117, a condizione che devono essere adottate misure idonee a tutelare i soggetti in trattamento in tale struttura.

[2] Ai sensi dell’articolo 3, comma 2, della Legge 27 luglio 2005, n. 154, si intendono fatti i riferimenti ai Centri di Servizio Sociale per Adulti (Centri di Servizio Sociale per Adulti) previsti da leggi e regolamenti , dalla data di entrata in vigore di tale legge (GU Serie Generale – n. 177 del 1° agosto 2005), agli Uffici Locali di Esecuzione Penale della Comunità.

[3] Particolare rilascio anticipato

  1. Per un periodo di due anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la riduzione della pena concessa per liberazione anticipata prevista dall’articolo 54 della legge penitenziaria è di settantacinque giorni per ogni sei mesi effettivamente scontato.
  2. I condannati che, a partire dal 1° gennaio 2010 già beneficiavano della scarcerazione anticipata, beneficeranno inoltre di un’ulteriore riduzione di trenta giorni ogni sei mesi effettivamente scontati, a condizione che durante l’esecuzione della pena successiva alla concessione del beneficio abbiano continuato a mostrare efficacia partecipazione al loro percorso riabilitativo.
  3. La riduzione prevista dal comma precedente si applica anche ai semestri di pena in corso di scontare il 1° gennaio 2010.
  4. I trasgressori condannati per uno qualsiasi dei reati previsti dall’articolo 4-b dell’atto penitenziario possono beneficiare della riduzione di settantacinque giorni, ai sensi dei commi precedenti, solo se hanno dimostrato, durante la detenzione, una concreta riabilitazione sociale, che possono essere dedotti dai loro comportamenti rivelando la loro evoluzione positiva.
  5. Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano ai delinquenti assegnati al servizio di probation e ai detenuti in detenzione domiciliare, come per i periodi trascorsi nell’ambito di tali misure alternative. 

[4] Il testo dell’articolo 6 del DPR n. 115 del 30 maggio 2002 è il seguente:
(Liberazione del debito) 1. Il debito contratto in relazione alle spese del processo è rimesso nei confronti di coloro che non sono stati detenuti né internati, che hanno problemi economici e che hanno avuto un buon comportamento in libertà.
2. Il debito contratto in relazione al costo del processo e alle spese di mantenimento è rimesso nei confronti di coloro che sono stati detenuti o internati, che hanno problemi economici e che hanno tenuto un buon comportamento in carcere, ai sensi del comma 8 del arte. 30-c dell’atto penitenziario.
3. L’istanza di tale provvedimento, con allegata tutta la relativa documentazione, è presentata dall’interessato o dai suoi familiari, ovvero dal consiglio disciplinare, previsto dall’atto penitenziario, al giudice competente, fino al termine del procedimento. perché il recupero è terminato; la stessa procedura è sospesa se in corso.

[5] Il richiamo all’art. 641 del codice di procedura penale del 1930 deve ora essere inteso all’art. 579 del medesimo codice, ai sensi dell’art. 208 coordina. cpp

[6] Il richiamo all’art. 640 del codice di procedura penale del 1930 deve ora essere inteso all’art. 680, co. 3 del codice di procedura penale e il richiamo all’art. 631 del codice di procedura penale del 1930 va inteso ora agli articoli 666, co. 7, e 678, par. 1, cpp, ai sensi dell’art. 208 coord. cpp

[7] Questo articolo è stato cancellato dall’art. 27 della Legge 10 ottobre 1986, n. 663, modificando tale Legge

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Carcere e droghe: aspetti organizzativi

 

Convegno “Carcere e droghe: aspetti organizzativi”

(Roma, Presidenza del Consiglio dei ministri, 4 giugno 2009)

“Giustizia minorile e prospettive d’intervento per i minori assuntori di sostanze stupefacenti entrati nel circuito penale”
di S.Pesarin


Il fenomeno del disagio, del disadattamento e della devianza dei minori – ragazzi che entrano nel circuito penale dai 14 ai 18 anni di età – è un fenomeno tristemente in crescita. L’attività del Dipartimento è rivolta alla comprensione del fenomeno “disagio minorile” nelle sue diverse espressioni e in quanto fattori produttivi dei comportamenti devianti e della commissione di reati.
La residualità di applicazione della misura del carcere, secondo i principi fondamentali del codice di procedura penale per i minorenni (D.P.R. 448/88), è dovuta alla previsione di misure cautelari non detentive  quali le prescrizioni, la permanenza in casa e il collocamento in comunità, oltre che ad una più ampia agibilità delle sanzioni sostitutive alla detenzione.
Tutti gli interventi destinati ai minori sono centrati sulle particolari esigenze rilevate e sono svolti nel territorio attraverso progetti educativi individualizzati.
In particolare, l’istituto della messa alla prova, art.28 D.P.R. 448/88, collegabile all’impianto filosofico della “probation” corrisponde alla necessità di evitare la definizione del processo in quanto anticipa la messa alla prova rispetto alla pronuncia sul caso.
Il giudice può disporre la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne in esito alla realizzazione di un progetto di intervento elaborato dai servizi minorili della Giustizia, a cui il minore è affidato, in collaborazione con i servizi degli Enti locali. Il processo viene sospeso per un periodo non superiore ai tre anni ed il progetto di intervento deve prevedere le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente sociale, gli impegni specifici assunti dal minore, le modalità di partecipazione degli operatori dei servizi minorili e di quelli degli Enti locali, le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa.

TIPOLOGIA DELL’UTENZA

Dati statistici a livello nazionale(1)
Appare opportuno, in questa sede, dare un quadro generale della dinamica del fenomeno della “criminalità minorile” sull’intero territorio nazionale nel periodo relativo all’ultimo quinquennio (2004-2008). In tal modo sarà più facile inquadrare il fenomeno più specifico dei minori assuntori di sostanza stupefacenti in ingresso e/o presi incarico dai servizi del sistema giustizia minorile italiano.
La tabella n. 1 evidenzia l’andamento degli ingressi nei Centri di prima accoglienza (CPA).
Nell’arco di tempo preso qua in considerazione, si registra un evidente calo degli ingressi totali nei CPA. Solo negli ultimi due anni il decremento è pari al -14,1%.

Tabella 1
Ingressi nei Centri di prima accoglienza
20042005200620072008
3.8663.6553.5053.3852.908
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 1

In relazione alla provenienza dei soggetti secondo le categorie maggiormente rappresentate nelle statistiche (italiani, romeni, dall’ex Yugoslavia(2) e marocchini), il generale decremento registrato si riscontra in particolar modo per quanto riguarda i minori provenienti dal Marocco e, in misura minore, dai paesi dell’ex Yugoslavia. Questi ultimi, tuttavia, manifestano un andamento altalenante, mentre c’è una sostanziale stabilità degli italiani. Per quanto concerne i minori romeni, si registra il forte incremento dei loro ingressi fino all’anno 2006, mentre tra il 2006 e il 2008 si è innescata una tendenza inversa che indica una marcata inflessione.
Il calo degli ingressi registrato nei Centri di prima accoglienza (CPA) si è verificato, nello stesso arco temporale preso in considerazione in precedenza, anche per quanto riguarda gli ingressi negli Istituti penali per i minorenni (IPM), così come evidenziato dalla tabella n. 2. 

Tabella 2
Ingressi negli Istituti penali per i minorenni
20042005200620072008
15941489136213371347
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 2

Si registra, però, negli Istituti penali per i minorenni un crescente aumento di provvedimenti emessi dall’Autorità giudiziaria minorile di esecuzione di pene e di custodia cautelare per soggetti provenienti dalla libertà, nonché si evidenzia un innalzamento della presenza media giornaliera dei minori ristretti. Ciò produce un continuo stato di sovraffollamento in tutti gli Istituti penali per i minorenni operanti sul territorio nazionale, anche a motivo di una riduzione della capacità ricettiva dovuta a oggettive situazioni di inagibilità e allo svolgimento di lavori di ristrutturazione. Questa situazione provoca un  movimento continuo di detenuti e un incremento del numero dei minori da ospitare notevolmente al di sopra della effettiva ricettività. Gli effetti immediati di tale condizione sono: per i minori la limitazione dell’esercizio del diritto a mantenere i rapporti con la propria famiglia ed i difensori. Per il personale un aggravio di lavoro per l’organizzazione e la gestione di un numero elevato di detenuti e per il consistente numero di traduzioni fuori distretto, con ciò che ne consegue in termini di regolare svolgimento delle attività trattamentali a fronte di un notevole impegno di risorse umane ed economiche.
Relativamente agli ingressi secondo provenienza dei soggetti, il dato inerente gli stranieri continua ad essere in calo (da 965 del 2004 a 653 del 2008), mentre per quanto riguarda gli italiani, persiste l’incremento iniziato nel 2006.

Tabella 3.
Ingressi negli Uffici dei servizi sociali per i minorenni
20042005200620072008
1389213901130661477417814
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 3

Per quanto concerne gli Uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM), il dato relativo alle azioni di servizio sociale attivate indica (tabella n. 3) un netto incremento che inizia nel 2006.
Per quanto riguarda la provenienza dei soggetti, gli Uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM) da sempre sono caratterizzati dalla prevalenza di utenza italiana poiché, come è noto, la legislazione minorile pone, come requisito per l’accesso ai benefici diversi da quelli della restrizione in carcere ( prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità, altro), vincoli legati alla sussistenza di adeguate condizioni personali, familiari e sociali. Ed è altrettanto noto che la fenomenologia della devianza minorile straniera, oramai da qualche anno, è caratterizzata, oltre che da altri ed articolati elementi, dal fenomeno dei minori non accompagnati, comunitari e non.
Per quanto riguarda le comunità, si può evidenziare, nella tabella n. 4, un costante e forte aumento degli ingressi. Detto incremento si distribuisce sia per quanto concerne gli italiani, sia per quanto concerne gli stranieri.

Tabella 4
Ingressi nelle Comunità
20042005200620072008
18061926189920552188
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 4

La valutazione qualitativa dell’utenza impone una prima considerazione, quella della presenza di tutte le problematiche che investono gli universi del disagio minorile, infatti, emergono:

  • problematiche di tossicodipendenza,
  • soggetti bordeline dediti al policonsumo di sostanze,
  • il fenomeno della manovalanza minorile ad uso della criminalità organizzata,
  • i minorenni stranieri privi di riferimenti familiari spesso non accompagnati,per i quali è difficile costruire percorsi di reinserimento,
  • minori con problematiche psicopatologiche che richiedono interventi specialistici in stretta connessione con la competenza clinica,
  • i minori abusanti;
  • il fenomeno delle baby gang e di atti di bullismo ai limiti del penale,
  • l’utenza ultradiciottenne, costituita per la maggior parte dei casi da soggetti in espiazione di pena, detenuti prevalentemente negli Istituti meridionali, non di rado collegati alla criminalità organizzata.


Tutto ciò rappresenta un momento del “malessere” che attraversa gli universi giovanili che appare trasversale e non più riconducibile alle cosiddette “povertà sociali”. L’uso di sostanze stupefacenti non è più associato ad una ricerca di evasione, ma bensì ad un’ ansia correlata al raggiungimento di prestazioni sempre più elevate richieste da una società che si trasforma velocemente ed il cui sistema valoriale non è più un riferimento stabile. Si assiste ad una caduta di “impegno educativo” verso le nuove generazioni, che risentono della frammentazione di questo periodo, aggravate da fenomeni che si susseguono con una rapidità temporale mai registrata come oggi. La globalizzazione ha accentuato paradossalmente i localismi, da qui il frantumarsi di “categorie omogenee” e di “valori unici” di riferimento, che oltre ad ingenerare una “orfananza” di culture, producono una sempre più crescente frammentazione e destabilizzazione rispetto a percorsi volti ad acquisire l’identità personale e sociale senza la quale si manifestano situazioni di disagio, disadattamento e devianza.

Dati statistici sui minori assuntori di sostanze stupefacenti (3)

La tabella n. 5 evidenzia un trend che, a partire dal 2006, indica un netto e costante aumento di minori assuntori di sostanze stupefacenti e/o dediti al policonsumo, in ingresso e/o in carico ai servizi della giustizia minorile. Detto aumento appare determinato, in modo esclusivo, dal dato relativo ai ragazzi italiani che, dal 2006 al 2008, hanno fatto registrare un allarmante incremento pari al 41,3%, a fronte di un decremento dei ragazzi stranieri, nel medesimo periodo, pari al -11,8%. Nel 2008, così, i ragazzi italiani sono arrivati a costituire oltre l’80% del totale di minori assuntori di sostanze stupefacenti di cui si fanno carico e per i quali lavorano i servizi della giustizia minorile(3).

Tabella 5
Minori assuntori di sostanze stupefacenti transitati nei servizi minorili
Ingressi20042005200620072008
Italiani752716612764865
Stranieri280291245233216
Totali1.0321.0078579971.081
il grafico rappresenta i dati contenuti nella tabella 5

Relativamente al 2008, il numero di soggetti assuntori di sostanze stupefacenti in ingresso e/o in carico ai servizi della gustizia mnorile è aumentato, rispetto all’anno precedente, dell’8%. Come detto, la stragrande maggioranza di essi sono italiani, seguiti, a notevole distanza, dai ragazzi provenienti dal Marocco (9%) e dalla Romania (1,6%). Per quanto riguarda le loro caratteristiche, la maggioranza è composta da maschi (95%) di età compresa tra i 16 e i 17 anni (71%).
Questi soggetti, nella loro totalità, rispondono, in prevalenza, di reati di detenzione e spaccio per il 58% e contro il patrimonio per il 36%. Residuali sono le rimanenti categorie di imputazione.
Appare necessario indicare che tra le varie sostanze stupefacenti, i cannabinoidi risultano essere le sostanze maggiormente assunte (78%), ma preoccupante è anche l’uso di cocaina (10%) e oppiacei (7%). Queste ultime due sostanze aumentano d’importanza statistica con l’aumento dell’età dei soggetti, mentre accade l’inverso con i cannabinoidi che sono maggiormente usati dai ragazzi più piccoli.
In questo quadro generale, appaiono allarmanti i dati che indicano la percentuale di assuntori giornalieri di sostanze stupefacenti (35%, in aumento rispetto al precedente anno) e quella di chi presenta forme di dipendenza da più di un anno (38%).
L’introduzione di nuove sostanze sul mercato e l’evoluzione del consumo di quelle tradizionali hanno diversificato la modalità di assunzione delle sostanze. I cannabinoidi, ad esempio, vengono assunti anche per via inalatoria mentre è possibile consumare oppiacei o cocaina fumando sostanze come il kobret o il crack.
I dati riguardanti il contesto di assunzione della sostanza fanno registrare che è in aumento la percentuale degli assuntori in gruppo.
Gli accertamenti sanitari effettuati nell’anno 2008 dai servizi minorili della Giustizia per verificare l’assunzione di sostanze stupefacenti sono stati 2.029 nei Centri di prima accoglienza e 1007 negli Istituti penali per i minorenni.
Gli interventi di tipo farmacologico effettuati dai CPA, IPM, Comunità e Uffici di servizio sociale per i minorenni sono stati 326, gli invii al servizio tossicodipendenze sono stati 389 e in comunità sono stati 50.
Si specifica che secondo i dati dell’Istat su “l’uso e l’abuso del consumo di alcol in Italia” esiste un forte incremento del consumo di alcol tra giovanissimi con modalità a rischio in quanto l’assunzione avviene fuori dal contesto familiare e non in corrispondenza dei pasti. Inoltre, emerge la precocità dell’assunzione rispetto all’età dei consumatori abituali e in genere l’alcol diviene una sorta di automedicazione contro gli stati d’ansia e di stress. L’estensione del fenomeno nella fascia giovanile fa presumere che anche tra l’utenza penale minorile vi sia questa diffusione anche se non sempre rilevabile, in quanto tale condotta non viene percepita come rischiosa.
Secondo informazioni pervenute dai servizi minorili risulta che l’abuso di sostanze si caratterizza come poliassunzione di sostanze stupefacenti e alcol.
L’uso di sostanze da parte di minori stranieri sembra essere legato allo spaccio o ad un consumo normale ed abituale non percepito come sintomo di devianza in quanto culturalmente accettato nel paese di origine, come nel caso delle popolazioni provenienti dal nord Africa.
La problematicità del minore che accede ai servizi della giustizia minorile è piuttosto complessa e variegata, quasi mai esclusivamente centrata sulla tossicofilia o la tossicodipendenza.
Il profilo tipologico del minore che usa e abusa di sostanze stupefacenti non può essere in alcun modo assimilato a quello dell’adulto in quanto l’orientamento verso comportamenti di tossicofilia raramente comporta una  certificazione di tossicodipendenza, pur richiedendo interventi specialistici da parte delle Aziende sanitarie e dei Ser.T  che prevengano la cronicizzazione del comportamento. Le modalità di aiuto e i percorsi di recupero devono privilegiare un approccio individualizzato con la realizzazione di interventi di sostegno e accompagnamento educativo.  L’entrata nel circuito penale costituisce, paradossalmente, una opportunità di aggancio del minore e una opportunità di crescita e responsabilizzazione rispetto ai comportamenti devianti messi in atto.

Minori assuntori di sostanze stupefacenti: competenze, funzioni e modello d’intervento

Il decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230 “Riordino della medicina penitenziaria”, all’articolo 1 stabilisce che i detenuti e gli internati, al pari dei cittadini in stato di libertà, hanno diritto alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali”. In particolare, con detto decreto e con il decreto del 21 aprile 2000 di “Approvazione del progetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario”, il sistema sanitario nazionale è stato chiamato ad intervenire nei settori della prevenzione e cura della tossicodipendenza e delle patologie ad essa correlate e nella cura e prevenzione delle patologie psichiche. cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali e uniformi di assistenza.
L’articolo 2 definisce il quadro di riferimento per le azioni da porre in essere, stabilendo che:

  1. Lo Stato, le regioni, i comuni, le aziende sanitarie e gli istituti penitenziari uniformano le proprie azioni e concorrono responsabilmente alla realizzazione di condizioni di protezione della salute dei detenuti e degli internati, attraverso sistemi di informazione ed educazione sanitaria per l’attuazione di misure di prevenzione e lo svolgimento delle prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione contenute nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali.
  2. L’assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati è organizzata secondo principi di globalità dell’intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, di integrazione della assistenza sociale e sanitaria garanzia della continuità terapeutica.
  3. Alla erogazione delle prestazioni sanitarie provvede l’azienda sanitaria. L’amministrazione penitenziaria provvede alla sicurezza dei detenuti e a quella degli internati ivi assistiti.

La riforma del Titolo V parte II della Costituzione della Repubblica ha attribuito alla Regioni ed alle Amministrazioni locali un ruolo centrale. Le Regioni, infatti nell’ambito della predetta normativa hanno assunto, con il concorso degli Enti locali e dei Comuni, anche la titolarità per l’esercizio di funzioni di indirizzo programmazione e coordinamento in materia socio assistenziale e sanitaria.
La riforma della Legge Costituzionale ha ridisegnato in maniera sostanziale l’assetto delle Istituzioni della nostra Repubblica, in modo da renderle più vicine ai bisogni locali e più capaci di dare voce alla società civile ed alla pluralità dei soggetti coinvolti, al fine di garantire “livelli essenziali di assistenza” per tutti i cittadini.
Il sistema giuridico attuale è ispirato al principio di sussidiarietà. Infatti la generalità delle competenze e delle funzioni amministrative (art. 118 come modificato dalla legge costituzionale del 18.10.2001 n. 3) vengono attribuite ai Comuni alle Province agli altri Enti locali sovracomunali, poi alle Regioni ed infine allo Stato. Il riconoscimento di una pluralità soggettuale nella gestione, nella organizzazione ed erogazione dei servizi e delle prestazioni per il governo delle politiche sociali, coinvolge nuovi e differenti attori “istituzionali e non” che concorrono a soddisfare i crescenti e sempre più complessi bisogni delle persone , delle famiglie, delle comunità locali e dell’intera società.
La cultura del dialogo e della operatività interistituzionale, della collaborazione della comunità civile e dell’Amministrazione della Giustizia minorile, è presente nell’ordinamento penitenziario (L. 354/75, Regolamento di esecuzione DPR 230/2000), ma in misura ancora più determinante nel codice di procedura penale minorile (DPR 448/88, DL.vo 272/89).
Tale processo di decentramento ha interessato le politiche socio-assistenziali e sanitarie, ispirando le norme del settore. Ne consegue che l’Amministrazione della giustizia minorile, nel perseguire i propri fini istituzionali, non può prescindere da un’attività di programmazione, di progettazione e di erogazione di servizi e prestazioni con le Regioni e gli Enti locali, cui la vigente normativa attribuisce titolarità di ruolo. Significa, allora, la co-costruzione di azioni-progettualità integrate con dette istituzioni locali rivolte non solo alla prevenzione primaria e secondaria, ma anche a quella terziaria in materia socio-assistenziale e sanitaria.
Dette trasformazioni istituzionali dell’organizzazione amministrativa statale e locale hanno originato la conseguente contrazione delle risorse finanziarie di questo Dipartimento rispetto agli anni passati e per il decentramento in atto sempre più le relative disponibilità si ridurranno in favore di nuovi bacini di risorse esigibili solo attraverso progettualità integrate, interistituzionali e territorialmente pianificate.
Con il DPCM 1° aprile 2008, predisposto dal Ministero della salute, di concerto con il Ministero della giustizia, dell’economia e della funzione pubblica e dopo l’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, dal 1° gennaio 2009 sono state trasferite al SSN  le  funzioni sanitarie e le relative risorse finanziarie, umane e strumentali afferenti la medicina penitenziaria.
Tale passaggio di competenze richiede la definizione e a livello locale di accordi interistituzionali tra i referenti delle Regioni, delle ASL e Centri per la giustizia minorile e i servizi minorili di rispettiva competenza territoriale per garantire la continuità nell’erogazione del servizio e del trattamento terapeutico nei confronti dei minorenni sottoposti a procedimento penale.
Per l’attuazione del DPCM sono state predisposte le  ‘Linee di indirizzo per gli interventi del servizio sanitario nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale’, che disciplinano obiettivi di salute e livelli essenziali di assistenza. In particolare, in accordo con il piano sanitario nazionale i principali obiettivi di salute che devono essere perseguiti sono:

  • promozione della salute, anche all’interno dei programmi di medicina preventiva e di educazione sanitaria, mirata all’assunzione di responsabilità attiva nei confronti della propria salute
  • promozione della salubrità degli ambienti e di condizioni di vita salutari, pur in considerazione delle esigenze detentive e limitative della libertà
  • prevenzione primaria, secondaria e terziaria, con progetti specifici per patologie e target differenziati di popolazione, in rapporto all’età, al genere e alle caratteristiche socio culturali, con riferimento anche alla popolazione degli immigrati
  • promozione dello sviluppo psico-fisico dei soggetti minorenni sottoposti a provvedimento penale, riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio, attraverso l’individuazione dei fattori di rischio

In considerazione di quanto sopra, i Centri per la giustizia minorile e i servizi minorili che hanno storicamente operato, tramite accordi di programma e protocolli, con le Aziende ASL e i SERT per gli interventi trattamentali  nei confronti dei minori ristretti in I.P.M. , ospiti delle Comunità ministeriali, dei C.P.A. o in carico all’USSM, stanno attivando le procedure per l’attualizzazione delle collaborazioni secondo i riferimenti definiti dal DPCM  e dalle Linee di indirizzo sopra citate.  
Lo scenario attuale prevede, pertanto, che l’assistenza ai soggetti tossicodipendenti sia garantita dal Ser.T. dell’Azienda sanitaria, competente per territorio, che stabilisce rapporti di interazione clinica, sia con i servizi minorili che con la rete dei servizi sanitari e sociali che sono coinvolti nel trattamento e nel recupero dei tossicodipendenti. La presa in carico del tossicodipendente prevede l’attuazione delle misure preventive, diagnostiche e terapeutiche che riguardano sia l’aspetto clinico che quello della sfera psicologica.
I programmi di intervento devono garantire la salute complessiva del minorenne dell’area penale e a tale scopo, è necessario prevedere:

  • la formulazione di percorsi capaci di una corretta individuazione dei bisogni di salute, in particolare tramite la raccolta di dati attendibili sulle reali dimensioni e sugli aspetti qualitativi che costituiscono la popolazione giovanile sottoposta a provvedimento penale con problemi di assunzione di sostanze stupefacenti e di alcol per la quale non è stata formulata una diagnosi di tossicodipendenza e delle eventuali patologie correlate all’uso di sostanze (patologie psichiatriche, malattie infettive)
  • la sistematica segnalazione al Ser.T., da parte dei sanitari dei possibili nuovi utenti o soggetti con diagnosi anche solo sospetta e l’immediata presa in carico dei minori sottoposti provvedimento penale, da parte del Ser.T. e la garanzia della necessaria continuità assistenziale
  • l’implementazione di specifiche attività di prevenzione, informazione ed educazione mirate alla riduzione del rischio di patologie correlate all’uso di droghe
  • l’effettuazione di ogni eventuale intervento specialistico necessario per l’approfondimento diagnostico e terapeutico
  • la predisposizione o la prosecuzione di programmi terapeutici personalizzati, sulla base di una accurata diagnosi multidisciplinare dei bisogni del minore
  • la definizione di protocolli operativi per la gestione degli interventi predisposti per i minori sottoposti a provvedimenti penali presso le comunità terapeutiche, nei tempi previsti dal provvedimento di esecuzione
  • la realizzazione di iniziative permanenti di formazione che coinvolgano congiuntamente sia gli operatori delle Aziende sanitarie, che quelli della giustizia.

      La presa in carico dei minori prevede la diagnosi e la predisposizione di un programma terapeutico che possa continuare anche dopo la dimissione del ragazzo dalla struttura minorile o comunque al termine della misura penale.

Collegamento con i servizi sanitari per tossicodipendenti

Le strutture e i servizi che vengono attivati dai servizi minorili sono il Dipartimento di salute mentale, il servizio tossicodipendenze, le comunità pubbliche o private, i centri diurni.
Gli interventi di tipo sanitario che vengono svolti nei Centri di prima accoglienza, negli Istituti penali per minorenni e nelle Comunità riguardano gli accertamenti diagnostici con la ricerca di sostanze stupefacenti ed interventi di tipo farmacologico. Il minore arrestato che entra in contatto col CPA viene visitato dai servizi sanitari per rilevare la tipologia ed il livello di sostanze presenti nell’organismo. Parallelamente sono previsti dei colloqui con gli assistenti sociali dell’USSM che devono riferire quanto osservato all’Autorità giudiziaria minorile. Essendo limitato a quattro giorni il termine massimo di permanenza del minore nella struttura non sempre si riesce a rilevare, se non in casi conclamati, il consumo di sostanze psicotrope.
Per tutti i servizi, un problema comune è la mancata percezione da parte del giovane del proprio stato, in altre parole il minore non si riconosce come tossicodipendente. Pertanto il grado di consapevolezza sembra rientrare tra gli indicatori utili per capire quale progetto rieducativo adottare.

Collocamento di minori in comunità terapeutiche

Tra le aree di collaborazione di maggiore rilevanza tra il sistema sanitario e quello della giustizia minorile, si individua certamente l’esecuzione del collocamento in comunità terapeutiche.
In attuazione dell’art. 7 del DPCM 1° Aprile 2008, è stato sottoscritto l’accordo in sede di Conferenza unificata Stato Regioni che stabilisce le forme di collaborazione e di collegamento tra le funzioni riguardanti la salute e le funzioni di sicurezza e trattamento.  In merito agli inserimenti in comunità terapeutiche di minorenni sottoposti a procedimento penale è previsto “ (…)  le Regioni, ferma restando la titolarità degli oneri relativi, forniscono l’elenco delle Comunità presenti sul proprio territorio ai Centri per la giustizia minorile che provvedono all’esecuzione del provvedimento con invio alla struttura terapeutica individuata di concerto a seguito di valutazione diagnostica”.
Pertanto, nel caso specifico di un minore tossicodipendente, che deve essere collocato in comunità in esecuzione di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria l’individuazione della struttura deve essere effettuata congiuntamente dalla ASL competente per territorio e dal servizio minorile della giustizia che ha in carico il minore sulla base di una valutazione delle specifiche dello stesso.
Tuttavia, in questa complessa fase di transizione emerge la questione, già evidenziata nel corso degli anni precedenti, relativa alla scarsità ed alla diversa distribuzione territoriale delle comunità terapeutiche, non omogenea nel territorio nazionale, in grado di accogliere minori tossicodipendenti o tossicofilici. Tale problematica ha assunto dimensioni rilevanti in quanto l’attuale normativa è diventata più esplicita riguardo all’obbligo per le Regioni di provvedere al collocamento dei minorenni in comunità terapeutiche. Precedentemente, infatti, il collocamento veniva realizzato anche in comunità fuori dal territorio regionale in base alla tipologia della struttura e al progetto d’intervento.  
Ulteriori difficoltà di inserimento si riscontrano nei casi di doppia diagnosi di cui sembra registrarsi un aumento negli ultimi anni. Molti sono i casi di tossicodipendenza o tossicofilia associati a psicopatologia, per i quali non risultano esserci strutture specializzate e pronte allo specifico trattamento.
L’attuale fase di passaggio di competenze ha comportato il trasferimento degli oneri finanziari e quindi delle relative risorse dalla giustizia minorile alle regioni: ciò ha riguardato anche il capitolo di spesa 2135 destinato alle “Spese per gli interventi per i minori tossicodipendenti, tossicofili, portatori di patologie psichiche” sul quale gravano, quindi, anche le spese per i collocamenti in comunità dei soggetti sopra individuati.  
Tale capitolo era stato istituito a seguito dell’art. 4 duedecies della legge 49 del 21 febbraio 2006 che aveva inserito due nuovi commi  nel Testo unico in materia di leggi sulla tossicodipendenza, il D.P.R. 309/1990, prevedendo il  riconoscimento degli oneri per il collocamento in comunità terapeutiche e per il trattamento sanitario e socio-riabilitativo dei minori con provvedimenti penali. Tale inserimento aveva permesso di colmare il vuoto legislativo e, pur salvaguardando gli accordi con gli enti territoriali che in alcune regioni ( Puglia e Sicilia ) già assicuravano la realizzazione di tale intervento,  consentiva a tutti i minori di fruire di uno stesso trattamento socio-sanitario indipendentemente dalle regioni in cui veniva eseguita la misura penale. La normativa aveva infatti assicurato, in attesa della piena attuazione del trasferimento di tali competenze al Servizio sanitario nazionale, al Dipartimento giustizia minorile, per gli anni 2006, 2007 e 2008, uno stanziamento annuale di 2.000.000 di euro per la copertura di tali spese.
Nella definizione dell’entità degli oneri da trasferire alle regioni sono stati considerati anche tali stanziamenti e pertanto tutti gli interventi destinati all’utenza penale minorile con problemi di tossicofilia o tossicodipendenza non sono più sostenibili dall’Amministrazione della giustizia minorile.
Emerge, infatti, come elemento problematico la questione della diagnosi dello stato di tossicodipendenza e/o di disturbo psichiatrico in quanto non sempre può essere realizzata poiché trattandosi di soggetti adolescenti il rischio di etichettamento potrebbe condizionare pesantemente l’evoluzione della personalità.
Conseguentemente il collocamento in strutture specializzate per il trattamento dei tossicodipendenti potrebbe non essere corrispondente alle effettive esigenze del minore e privilegiare invece l’inserimento in una comunità socio-educativa per minori in cui siano garantiti anche interventi specialistici da parte del S.S.N. o la frequenza di un centro diurno che attui percorsi terapeutici adeguati.
In proposito il D.P.R. 309/90, così come modificato dalla Legge 46/2006 prevede all’art. 96 che l’intervento sanitario e socio-riabilitativo è rivolto ai minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche ed è realizzato sia in comunità terapeutiche che in comunità socio-riabilitative(4).
Invece, poiché resta ancora a carico del sistema giustizia, nelle more dell’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1, art. 8 del D.P.C.M. 1° aprile 2008 da parte delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, le funzioni e le competenze in materia di sanità penitenziaria tra cui anche quelle relative al collocamento dei minori con problemi di tossicodipendenza nelle comunità del territorio per dette regioni e province, si reputa opportuno la riattribuzione di risorse finanziarie dedicate al settore sanitario penale minorile.
Tutto ciò premesso, l’ambito di lavoro sarà quello di dare concreta attuazione, attraverso gli strumenti indicati dal predetto DPCM alle modalità di collaborazione operativa sui collocamenti in comunità terapeutica per i minori del circuito penale.
Su questo versante dovranno essere affinate modalità di lavoro congiunte e condivise con le ASL di tutte le province al fine di attuare una presa in carico congiunta dei minori/giovani con problematiche di tossicodipendenza e di quelli con disagio psichico,  spesso entrambi presenti nello stesso soggetto.
A breve termine verrà inoltre dato avvio al progetto “Insieme per”, curato dalla Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento per la giustizia minorile e finanziato, per un importo pari a € 143.000,00, dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il progetto consentirà l’inserimento della figura del “Compagno adulto” nel lavoro terapeutico tradizionale individuando, per i ragazzi destinatari dell’intervento, un percorso di riabilitazione sociale che consenta di ridurre l’emarginazione, di migliorare le competenze personali e le capacità relazionali per abbattere uno degli aspetti che aumentano la sofferenza psichica e il rischio di approccio a sostanze stupefacenti ed alcool.
L’accompagnamento educativo nelle attività previste dal progetto individuale elaborato dal servizio minorile della giustizia che ha in carico il minore/giovane adulto avrà l’obiettivo di aumentare il livello di autonomia personale e di facilitare il reinserimento sociale del soggetto.
A decorrere dalla data di entrata in vigore del D.P.C.M. 1° aprile 2008, sono state trasferite al Servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, comprese quelle concernenti il rimborso alle comunità terapeutiche sia per i tossicodipendenti e per i minori affetti da disturbi psichici delle spese sostenute per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica.  
Nella prima fase di applicazione del decreto le risorse finanziarie, sono state ripartite tra le regioni, sulla base anche della tipologia delle strutture penitenziarie e dei servizi minorili presenti sul territorio di competenza, nonché dei flussi di accesso ai medesimi, secondo i criteri definiti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
   
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE E PROPOSTE                                                      

In relazione al quadro tipologico dell’utenza ed in base alla vigente normativa, appare necessario:

  • rivedere il Testo unico in materia di leggi sulla tossicodipendenza, il D.P.R. 309/1990 in relazione alla necessità di prevedere espliciti richiami al settore della giustizia minorile;  
  • potenziare le strategie di intervento comuni, a livello nazionale e locale, quale metodo d’intervento più efficace per il conseguimento dei risultati attesi,
  • uniformare su tutto il territorio nazionale la modalità di attuazione degli interventi e delle prestazioni sanitarie, compresi i collocamenti dei minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche correlate all’uso di sostanze stupefacenti assuntori di sostanze stupefacenti e sottoposti a procedimento penale; tale obiettivo sarà perseguito da questo Dipartimento giustizia minorile, in sede del tavolo di consultazione, costituito da rappresentanti dei dicasteri della Salute e della Giustizia, delle regioni e province autonome e delle Autonomie locali, presso la Conferenza Unificata, anche attraverso la costituzione di un sottogruppo specifico per l’area penale minorile;
  • privilegiare l’intervento individualizzato rispettando la centralità del minore e quindi assicurando tutte le prestazioni e gli interventi a prescindere dalla struttura in cui vengano realizzati: in particolare si fa riferimento alla possibilità che i minori dell’area penale con problemi di tossicofilia possano essere collocati anche in strutture di tipo socio-riabilitativo con oneri a carico del S.S.N.;
  • attivare in ogni regione e provincia autonoma, gli  Osservatori permanenti sulla sanità penitenziaria, con la presenza di rappresentanti della regione, dell’Amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile, competenti territorialmente, al fine di valutare l’efficienza e l’efficacia degli interventi a tutela della salute dei minorenni sottoposti a provvedimento penale.
  • Stipulare gli accordi a livello territoriale tra A.S.L., Centri per la giustizia minorile e servizi minorili per disciplinare le modalità di collaborazione operative;
  • Assicurare, come previsto dalla normativa vigente, le prestazioni ed erogazioni di medicina specialistica, di assistenza farmaceutica ed effettuare gli accertamenti sanitari ai minori  con problemi di tossicofilia e tossicodipendenza presenti nei CPA, negli IPM e nelle Comunità pubbliche;
  • prevedere per tutta l’utenza penale minorile con problemi riguardanti la dipendenza da sostanze un “presidio” del Ser.T nei tribunali per i minorenni in sede di udienza al fine di una presa in carico congiunta con i servizi minorili del minore e della programmazione degli interventi. La sperimentazione potrebbe essere attuata nelle sedi di Milano e Torino attraverso una convenzione che permetta un presidio del Ser.T nei due tribunali per i minorenni: tale esperienza è stata attuata a Milano dal Dipartimento amministrazione penitenziaria e il Ser.T per gli adulti;
  • riattribuzione delle risorse dedicate al settore sanitario penale minorile, stante, tra l’altro il non ancora avvenuto passaggio della medicina penitenziaria da parte delle regioni a statuto speciale;
  • Implementare il numero delle strutture comunitarie destinate specificamente al trattamento dei minori tossicodipendenti e predisporre un elenco delle comunità terapeutiche e/o socio-riabilitative che possano accogliere i minori tossicofili e portatori di sofferenza psichiatrica;
  • Garantire, qualora sussistano specifiche esigenze di tipo terapeutico, in osservanza del principio di continuità della presa in carico, la permanenza del minore nella stessa struttura anche a conclusione della misura penale.
  • Per l’utenza penale minorile di nazionalità straniera prevedere: 1) una regolamentazione delle competenze amministrative rispetto all’ultima residenza accertata quale criterio unitario e condiviso, esteso a tutto il territorio nazionale, che consenta quindi una certezza dei referenti operativi ed organizzativi; 2 ) l’attività di mediazione culturale quale supporto indispensabile alla definizione e all’attuazione del programma trattamentale.
  • Prevedere percorsi di accompagnamento con forte centratura educativa e di tutoraggio dei minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche correlate all’uso di sostanze stupefacenti assuntori di sostanze stupefacenti e sottoposti a procedimento penale attraverso specifiche progettualità che investono la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari ed il territorio.
  • Attivare percorsi di formazione professionale specifica per i minori del settore penale che consentano di acquisire competenze idonee a favorire il raccordo con il mondo del lavoro ed un possibile sbocco occupazionale.
  • Prevedere progettualità sperimentali di alternanza scuola, tempo libero, lavoro, realizzati in integrazione con le istituzioni competenti, scanditi in momenti applicativi e laboratoriali, alternati a momenti più teorici finalizzati a costituire per il giovane un’esperienza che favorisca un suo futuro inserimento sociale.
  • Sostenere il reinserimento sociale e lavorativo, spostando la centratura dalle sostanze e dai percorsi di cura, compresi i collocamenti in comunità terapeutiche, socio-riabilitativo ed educativo, a quelli dedicati al rafforzamento dell’identità personale, sociale e civile di ciascun adolescente e dei suoi accresciuti bisogni di sicurezza, di accompagnamento educativo e di riferimenti emotivi ed affettivi.
  • Attivare percorsi di formazione integrata tra operatori del sistema penale minorile e del servizio sanitario, degli enti territoriali, del terzo settore, del volontariato e tutte le agenzie educative per armonizzare le diverse competenze e metodologie d’intervento.

Il modello, infatti,  attuato dal sistema penale è quello di un intervento integrato che costruisce reti interistituzionali capaci di riportare al centro il giovane con i suoi specifici bisogni a cui dare riscontro attraverso un progetto individualizzato e specializzato che con il coinvolgimento di tutte le agenzie  educative gli consenta non solo la fuoriuscita dal sistema  penale, ma anche il suo inserimento sociale e lavorativo e l’opportunità di poter esercitare una cittadinanza attiva fatta di diritti e doveri centrata sulla responsabilità senza la quale è impossibile ottenere qualsiasi successo riabilitativo.
Occorre infine recuperare come dice il Ministro Alfano una “squadra” chiamata Stato, capace di lavorare con una vera lealtà interistituzionale ed interorganizzativa, senza più autoreferenzialismi e/o riserve, avendo come unico obiettivo quello di costruire percorsi comuni, di promuovere il benessere, di assumere una coerente responsabilità verso le nuove generazioni con atti ed azioni di senso e di significato, centrando ogni processo sui reali bisogni della persona e della sua famiglia.


IL DIRETTORE GENERALE
Serenella Pesarin

Documento elaborato con la collaborazione di:
Maria Teresa Pelliccia, funzionario Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari
Giovanna Spitalieri, funzionario Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari
Massimiliano Lucarelli, funzionario Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari

Note
1. Dati del Servizio statistico – Ufficio I del Capo dipartimento ed elaborati dalla Direzione generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari.
2. Nella categoria “ex Yugoslavia” sono comprese la Bosnia e Erzegovina, la Croazia, la Macedonia, la Serbia, il Montenegro e la Slovenia.
3. Dati del Servizio statistico – Ufficio I del Capo dipartimento.
4. Art. 4 duodecies 6-bis. Per i minori tossicodipendenti o tossicofili, anche portatori di patologie psichiche correlate all’uso di sostanze stupefacenti, sottoposti alle misure cautelari non detentive, alla sospensione del processo e messa alla prova, alle misure di sicurezza, nonche’ alle misure alternative alla detenzione, alle sanzioni sostitutive, eseguite con provvedimenti giudiziari di collocamento in comunità terapeutiche e socio-riabilitative, gli oneri per il trattamento sanitario e socio-riabilitativo sono a carico del Dipartimento giustizia minorile, fatti salvi gli accordi con gli enti territoriali e, nelle more della piena attuazione del trasferimento di dette competenze, del Servizio sanitario nazionale.

La violenza di genere in ambito internazionale ed europeo

I riconoscimenti all’impegno italiano Il contrasto alla violenza di genere si può sicuramente definire un obiettivo “globale” in considerazione dei numerosi strumenti regolativi finalizzati a contrastare il fenomeno adottati in ambito internazionale. Appare importante mettere a fuoco quali attese e necessità abbiano condotto all’adozione del Codice Rosso, per verificare, dopo il primo anno di applicazione, se le stesse siano state soddisfatte. L’ambito ONU La prima sede internazionale nel cui ambito è stato disciplinato il tema della violenza nei confronti delle donne, come aspetto del connesso fenomeno della discriminazione di genere, è costituita dalla Organizzazione delle Nazioni Unite, dovendosi ricordare la costituzione sin dal 1946, nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, di una apposita Commissione sullo Status delle Donne (United Nations Commission on the Status of Women – UNCSW), operante nel Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, avente lo scopo di promuovere i diritti delle donne in ambito politico, economico, civile, sociale ed educativo. In parallelo alle attività della Commissione, si possono enucleare tre passaggi fondamentali per la tutela dei diritti delle donne contro la violenza di genere nell’attività dell’ONU. Nel 1967 la Commissione dei Diritti Umani dell’ONU elaborò la Dichiarazione sull’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Declaration on the Elimination of Discrimination Against Women), adottata dall’Assemblea Generale con la Risoluzione 2263 (XXII) del 7 novembre 1967. Come ogni Dichiarazione, essa non costituiva uno strumento giuridicamente vincolante, ma ha avuto il pregio di evidenziare la necessità di attenzione al fenomeno da parte degli Stati membri e l’esigenza di approntare interventi in difesa delle donne.

Nel 1979 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò, con la Risoluzione 34/180 del 18 dicembre 1979, la Convenzione sull’Eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of all forms of Discrimination Against Women – CEDAW)1 , che rappresenta la pietra miliare di riferimento in materia di tutela dei diritti delle donne. La Convenzione2 è entrata in vigore il 3 settembre 1981, al raggiungimento delle 20 ratifiche necessarie previste all’articolo 27. L’Italia ha ratificato la Convenzione con legge del 14 marzo 1985, n. 132. Il Comitato CEDAW (Committee on the Elimination of Discrimination against Women), organismo indipendente composto da 23 esperti che vigila sull’attuazione della Convenzione, ha emesso poi nel corso degli anni diverse Raccomandazioni Generali (ex art. 21 C.E.D.A.W.) con le quali ha proposto agli Stati misure da adottare o ha approfondito tematiche specifiche.

Con riferimento al tema della violenza di genere in particolare vanno citate le seguenti raccomandazioni: – la Raccomandazione Generale n.19, adottata nel 1992, relativa alla violenza per motivi legati alla differenza di genere, in cui la violenza di genere viene definita come “una forma di discriminazione che inibisce gravemente la capacità delle donne di godere dei diritti e delle libertà fondamentali su una base di parità con gli uomini”; -la Raccomandazione Generale n. 12, adottata nel 1989, relativa alla violenza contro le donne, che ha esortato gli Stati Parti ad includere nei loro rapporti periodici alComitato informazioni sulla legislazione in vigore volta a proteggere le donne dall’incidenza di ogni tipo di violenza nella vita quotidiana (ivi compresa la violenza sessuale, i maltrattamenti in famiglia, le molestie sessuali sul posto di lavoro ecc.), sulle altre misure adottate per estirpare tale violenza, sull’esistenza di servizi di sostegno alle donne vittime di aggressioni o maltrattamenti, sui dati statistici sull’incidenza della violenza di ogni tipo contro le donne; -la Raccomandazione Generale n. 28 afferma che la discriminazione basata sul sesso e/o sul genere costituisce una violazione dei diritti umani e un ostacolo al godimento dei diritti e delle libertà fondamentali; – la Raccomandazione Generale n.35, adottata il 26 luglio 2017, con cui è stata aggiornata la Raccomandazione n.19, riconoscendo il divieto della violenza di genere come norma di diritto consuetudinario internazionale e sottolineando la natura sociale del fenomeno. Sulla scia della Raccomandazione n. 19 ed in seguito alla Conferenza Mondiale sui diritti umani tenutasi a Vienna del 1993, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha inoltre adottato, con la Risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993, la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (Declaration on the Elimination of Violence Against Women – DEVAW)3, espressamente dedicata al tema della violenza di genere.

Passando ad azioni più recenti, dal 2008 è stata lanciata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite la campagna UNiTE to End Violence Against Women; risale invece al luglio del 2010 la creazione dell’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne (United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women – U.N. Women), nuovo organismo delle Nazioni Unite avente lo scopo, appunto, di favorire l’uguaglianza di genere e l’emancipazione (empowerment) femminile, fornendo sostegno sia agli organismi intergovernativi (a partire dalla Commissione sullo Status delle Donne – C.S.W.)4 nell’elaborazione di politiche, standard e norme internazionali, che agli Stati membri nell’applicazione di tali misure.

Tali politiche sono svolte anche attraverso l’amministrazione del Fondo fiduciario delle Nazioni Unite per porre fine alla violenza contro le donne (U.N. Trust Fund to End Violence Against Women) istituito nel 1996 dalla risoluzione 50/166 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel 2017 l’Unione europea e le Nazioni Unite hanno poi lanciato l’iniziativa congiunta denominata Spotlight Initiative, finalizzata al contrasto di tutte le forme di violenza contro donne e ragazze e finanziata con un ulteriore apposito Fondo fiduciario multilaterale che vede l’UE quale principale contributore, aperto ad altri donatori anche attraverso l’eliminazione di ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine sia nella sfera privata che in quella pubblica, passando attraverso il raggiungimento della uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze.

Quanto all’impegno dell’Italia rispetto alle raccomandazioni ONU in materia, nell’ultimo Rapporto di Revisione Periodica Universale (Universal Periodic Review –U.P.R.) dell’Italia5 , approvato il 12 marzo 2020 dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONUnel quadro dei lavori della 43ª sessione6 , è stato riconosciuto il significativo contributo alla lotta alla violenza di genere derivato dall’adozione nuova legge sul Codice Rosso.

Nella lettera inviata in data 13 maggio 2020 dall’Alto Commissario per i diritti umani Michelle Bachelet al Ministro degli Esteri Luigi di Maio a conclusione della procedura di revisione7 , la nuova normativa in materia di contrasto alla violenza domestica ed alla violenza di genere viene salutata come una delle azioni più efficaci e idonee a far avanzare il Paese nella lotta alla discriminazione di genere e alla protezione delle donne.

1 https://undocs.org/en/A/RES/34/180 ; per una traduzione in Italiano del testo della Convenzione e delle raccomanda-zioni emesse dal Comitato: http://cidu.esteri.it/resource/2016/09/48434_f_CEDAWmaterialetraduzione2011.pdf 2 Si ricorda che con il Protocollo Opzionale del 1999 (entrato in vigore nel 2000 e ratificato dall’Italia nel 2002) è stata riconosciuta la competenza del Comitato CEDAW a ricevere ed esaminare le denunce provenienti da singoli o gruppi di individui.3 https://www.esteri.it/mae/approfondimenti/20090827_allegato2_it.pdf 4 UN Women svolge sostanzialmente un ruolo di segretariato rispetto alla Commissione sullo Status delle Donne (CSW) 5 https://undocs.org/A/HRC/43/4 6 Tutti gli atti riferibili alla Revisione periodica universale sono rinvenibili al sito https://www.ohchr.org/EN/HRBodies/UPR/Pages/ITIndex.aspx7 https://lib.ohchr.org/HRBodies/UPR/Documents/Session34/IT/Letter-OHCHR-HC-Italy.pdf

Il Rapporto: un anno di “Codice Rosso”

Fonte: Ministero della giustizia

Minori detenuti tra devianza e abuso di sostanze

Relazione presentata nel corso del Convegno di Milano del 18 novembre 2010 dal titolo: “Minori oltre la detenzione”

Interventi territoriali multiprofessionali con minori d’area penale abusatori di sostanze stupefacentiIntroduzione

La giustizia minorile si interroga sul tema dell’interazione tra abuso di sostanze e devianza, tema che si colloca in realtà su una zona di confine tra le competenze specifiche della giustizia e quelle dei servizi territoriali. Il senso di questo interrogarsi è legato alla costruzione del progetto terapeutico che, nel caso di minori in carico alla Giustizia mnorile che presentano problemi di dipendenza, diviene ovviamente più complesso perché legato a due obiettivi tra loro interdipendenti, il superamento della dipendenza (che non ricade nelle competenze dalla giustizia ma dei servizi sanitari) e il processo rieducativo (che invece attiene a questa amministrazione). Le riflessioni su questo tema pongono inevitabilmente gli operatori della giustizia minorile a contatto con una sofferenza psicologica dell’adolescente che ha subito importanti trasformazioni rispetto al passato, trasformazioni che è necessario conoscere per chi si trova ad occuparsi del minore seppure, come detto, non dal punto di vista strettamente sanitario. Coerentemente con quanto segnalano gli esperti, e senza entrare in questa sede nel dettaglio di tale questione, da un punto di vista prettamente psicopatologico, si assiste ad un accentuarsi dell’incidenza dei disturbi di personalità, che si esprimono attraverso sintomi e manifestazioni comportamentali oggi sempre più difficilmente inquadrabili nei sistemi nosografici a disposizione. Da un punto di vista psico-sociale, invece, il crescere degli episodi di violenza che vedono coinvolti adolescenti, sia come agenti sia come vittime, ci invita a riflettere da una parte sullo specifico della condizione adolescenziale nella società contemporanea, dall’altra sul significato che tali episodi assumono oggi, alla luce di tutta una serie di cambiamenti che ora cercheremo sinteticamente di delineare.

Entrambi i dati segnalano che le tradizionali teorie psicologiche, che vedevano l’adolescenza come una fase di passaggio individuando il nucleo del disagio adolescenziale proprio nella sfida posta dai diversi compiti evolutivi cui l’adolescente doveva far fronte, è oggi messo in crisi, o se vogliamo reso più complesso, da una serie di altri fattori contestuali che riguardano, più in generale, i cambiamenti che hanno investito negli ultimi decenni la struttura sociale e familiare. Anche sulla base di tali cambiamenti, l’adolescenza è andata sempre più perdendo la sua valenza di fase di passaggio per diventare una fase di sospensione temporale dai confini indefiniti.Se prima quindi l’elemento più evidente dell’adolescenza era il conflitto con le figure genitoriali, e con l’autorità in generale, oggi assistiamo ad una sorta di apparente pacificazione tra le generazioni, che caratterizza le famiglie moderne o, come direbbe Bauman, post-moderne. Non a caso, il rapporto esistente tra la realtà dei nuovi adolescenti e le modalità di esercizio della funzione educativa da parte degli adulti costituisce un argomento centrale anche nel dibattito socio-psicologico attuale. L’interpretazione del ruolo genitoriale che si realizza nella così detta ‘famiglia affettiva’ trova espressione non solo nelle modalità di regolazione delle dinamiche interpersonali, ma anche nel modo in cui oggi viene assolta la funzione educativa.

L’esercizio di questa funzione sembra basarsi sulla convinzione secondo la quale è possibile una educazione neutrale, cioè non fondata sulla necessità di trasmettere ai figli valori e regole universali, quanto piuttosto di creare condizioni favorenti la libera espressione della loro personalità.

Obiettivo primario in questo nuovo tipo di famiglia è quello di favorire un clima relazionale intrafamiliare fatto di reciproca accettazione; laddove nella ‘famiglia normativa’ di stampo tradizionale l’accesso ai valori e alle norme sociali presentificate dai genitori, passava necessariamente attraverso una buona dose di repressione, e determinava una coloritura decisamente conflittuale della relazione. Questa particolare modalità di esercizio della genitorialità produce un clima relazionale sufficientemente pacificato: gli adolescenti si mostrano soddisfatti delle loro relazioni familiari (1), e non hanno da lamentarsi circa le regole che i genitori prescrivono o per altri aspetti, quali il poco tempo che trascorrono insieme a loro, che sembra oramai accettato come una realtà di fatto su cui si strutturano le dinamiche familiari. Tuttavia va segnalato che questa trasformazione implica anche il venir meno della funzione di “contenitore” educativo della famiglia. Infatti, a ben guardare, dietro questo quadro di ‘famiglia pacificata’ emergono alcuni segnali di disagio.

Come sottolinea P. Charmet (2), gli adolescenti, se utilitaristicamente apprezzano i vantaggi che tale clima relazionale comporta, ad un livello più profondo mostrano inquietudine per l’impossibilità di rinvenire solidi punti di riferimento. E’ in questo scenario che la richiesta di una autorevolezza, percepita come assente in ambito familiare, viene proiettata all’esterno. La sostanziale ‘latitanza’ dell’adulto e della sua funzione normativa, sono alla base di quella tendenza dell’adolescente a ‘farsi il suo Edipo con la polizia’, di cui parlano Benasayag e Schmit nel loro libro L’epoca delle passioni tristi: “Il giovane che deve esplorare la sua potenza, sperimentare i limiti della società, che deve insomma affrontare tutte le funzioni tipiche dei riti di passaggio dell’adolescenza occidentale, non trovando un quadro familiare sufficientemente stabile, sposta la scena nella città, nel quartiere.” (3) In sostanza, questa pacificazione apparente che caratterizza l’ambito familiare si regge, di fatto, su uno spostamento del conflitto da parte dell’adolescente in altri ambiti, come peraltro segnalato dall’esasperazione delle sfide con la morte che altro non sono, dal punto di vista simbolico, che trasposizioni dei riti di passaggio che caratterizzavano l’epoca pre-moderna.

Uso e abuso di sostanze e nuove modalità di consumo come facilmente intuibile, parallelamente a queste trasformazioni che attraversano l’ambito sociale e famigliare, e che come detto riguardano anche il concetto stesso di adolescenza e la lettura del disagio che la caratterizza, è rintracciabile anche una significativa trasformazione della fenomenologia dei comportamenti di assunzione di sostanze e di dipendenza. Anche su questi cambiamenti ci soffermeremo brevemente perché, seppure essi come detto all’inizio non ricadono nelle specifiche competenze della Giustizia, è però evidente che hanno un peso legittimo nella costruzione del piano trattamentale.

Se da un lato c’è il dato allarmante dell’abbassamento dell’età della prima assunzione di sostanze, dall’altro si è sempre più in difficoltà nel definire, sia quantitativamente sia qualitativamente, un fenomeno che non risponde più alle tradizionali interpretazioni di esso, utili fino a qualche decennio fa. Gli elementi di novità consistono non tanto nelle sostanze utilizzate, quanto piuttosto nelle modalità di approccio alla sostanza e negli atteggiamenti- ad un tempo cognitivi, emotivi e relazionali – che sottendono il consumo di queste sostanze. E’ per questo che piuttosto che di “nuove droghe”, termine largamene utilizzato in letteratura, sarebbe più corretto parlare di “nuove modalità di consumo”. Un corollario di queste nuove modalità di consumo è il fenomeno della poliassunzione nel quale “l’innamoramento” per una determinata sostanza viene sostituito da una propensione generalizzata verso i consumi che, come ben ci ricorda Bauman, è indissolubilmente legata ad una più generale esasperazione consumistica anche rispetto ad esperienze, prodotti, rapporti, ecc..I nuovi profili di consumo si manifestano quindi attraverso il ricorso ad una pluralità di “vecchie” e “nuove” droghe: il nuovo consumatore è soprattutto un policonsumatore.

D’altra parte, la novità delle modalità di consumo chiama immediatamente in causa i cambiamenti intervenuti nel soggetto dei consumi: il profilo del “nuovo consumatore” è distante sotto molti aspetti da quella del “vecchio consumatore” di sostanze. L’elemento di maggior distanza tra “nuovo” e “vecchio” consumatore sta nella piena adesione del primo ai valori predominanti, nella sua piena integrazione sociale: adesione e integrazione che egli ricerca attivamente, laddove il “vecchio” consumatore si poneva deliberatamente ai margini della società, partendo da una posizione di contestazione dei modelli culturali prevalenti (4).

A tale proposito si parla oggi di invisibilità del consumatore, a cui si accompagna una seconda caratteristica che è quella dell’ubiquità sociale: la sostanza, nel caso delle nuove modalità di consumo, sembra costituire uno strumento per entrare nella realtà, un mezzo per mantenere con maggiore facilità la propria posizione sociale assolvendo apparentemente in modo meno faticoso ai compiti che essa richiede. Questo bisogno di ricerca ed esplorazione, nel caso delle cosiddette nuove droghe sembra dirigersi proprio verso l’esterno: la definizione stessa di sostanze empatogene enfatizza questo aspetto, esse vengono ricercate perché inducono un innalzamento della performance e consentono il superamento dei limiti soggettivi. Tutto ciò si riflette anche in una minore consapevolezza da parte del consumatore rispetto alla propria dimensione di dipendenza e all’insieme di fattori che la determinano, soprattutto se a ciò si aggiunge il fatto che la dipendenza oggi non è più legata solo a sostanze notoriamente nocive, ma anche a comportamenti comuni, largamente diffusi e ampiamente accettati dal sociale (vedi le dipendenze tecnologiche, i disturbi alimentari psicogeni, la diffusione del doping legato ad attività sportive, ecc.).

Anche in virtù di ciò, è attualmente molto difficile delineare un unico ed inequivoco profilo del consumatore attuale che oggi ha mille e nessun volto, e sembra rientrare in quelle forme di identità patchwork tipiche delle generazioni cresciute nella cultura postmoderna o delle identità a palinsesto della società dell’incertezza(5). La tendenza emergente sembra essere quella di un polimorfismo della costruzione identitaria che porta a privilegiare un adattamento autoplastico all’ambiente, modificando abitudini e stili comportamentali in funzione delle richieste dei differenti contesti. In tale modalità adattiva, coerente con la richiesta di flessibilità che caratterizza l’attuale fase storica e con le esigenze poste dalla società dei consumi, si inserisce il polimorfismo dei fenomeni di consumo di sostanze.Riassumendo, si può quindi dire che oggi il profilo del “nuovo” consumatore può essere quello di un poliassuntore, il cui consumo di sostanze è spesso limitato al weekend o alle occasioni sociali, nelle quali la funzione della sostanza è quello di offrire una sorta di autoterapia finalizzata al superamento delle inibizioni.

Minorenni tra devianza e consumo di sostanze: il ruolo della Giustizia Minorile

Qual è in questo nuovo scenario, di cui abbiamo cercato di delineare a grandi tratti alcune caratteristiche, il ruolo specifico della giustizia minorile? Intanto è noto che vi è tra i minori in carico alla giustizia minorile una quota minoritaria di soggetti che entrano nel sistema della giustizia per reati legati al consumo e allo spaccio di sostanze. Va specificato che, in molti casi, i reati legati allo spaccio non hanno all’origine anche un problema di consumo da parte dell’autore di reato, in altri casi si tratta invece di reati (spaccio, furto, ecc.) effettivamente legati all’uso e abuso di sostanze. In particolare, come evidenziano i dati relativi al 2008, la maggior parte degli assuntori di sostanze stupefacenti è di cittadinanza italiana (79%) mentre, per quanto riguarda gli stranieri, i più rappresentati sono i marocchini.

Per ciò che concerne i reati a carico, quello di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti rimane il più rappresentativo (57% del totale), seguito dai reati contro il patrimonio (36%), mentre quelli contro la persona sono meno frequenti (6%).

I cannabinoidi rimangono le sostanze maggiormente consumate (77% dei casi), seguiti dalla cocaina (9%) e dagli oppiacei (9%).

L’uso di cannabinoidi è maggiore per gli italiani che non per gli stranieri (rispettivamente 80% e 68%), mentre l’uso di eroina è riferibile per il 11% agli stranieri e per l’8% per gli italiani. In riferimento all’età, si rileva che la cocaina rappresenta il 10% delle sostanze assunte tra i minori della classe d’età 16-17 e tra gli ultradiciottenni, mentre è il 5% nella classe d’età 14-15 anni.

La stessa tendenza si registra per quanto riguarda il consumo di eroina (11% degli ultradiciottenni e percentuali minori per le altre classi d’età). I cannabinoidi sono invece maggiormente diffusi tra le classi d’età più basse (87% dei 14-15 anni, 77% dei 16-17 anni, 71% degli ultradiciottenni).

Per gli stranieri spesso si tratta di ragazzi senza permesso di soggiorno, senza famiglia e spesso senza fissa dimora, provenienti da paesi in cui vivono, probabilmente, in condizioni di maggiore disagio. Secondo informazioni pervenute dai servizi minorili risulta poi che l’abuso di sostanze si caratterizza come poliassunzione di sostanze stupefacenti e alcol.

L’uso di sostanze da parte di minori stranieri sembra essere legato allo spaccio o ad un consumo normale ed abituale non percepito come sintomo di devianza in quanto culturalmente accettato nel paese di origine, come nel caso delle popolazioni provenienti dal nord Africa(6)

I dati danno conto di questo segmento di soggetti all’interno del circuito della giustizia minorile che pone, per le specificità di cui è portatore, un problema di ordine trattamentale reso ancora più complesso dal cambiamento delle modalità di assunzione e del profilo del consumatore, secondo quanto prima descritto. Inoltre va tenuto presente anche un ulteriore elemento di complessità introdotto dai nuovi riferimenti normativi che hanno modificato l’assetto delle competenze e degli ambiti di intervento per quanto riguarda il ruolo degli psicologi, e quindi dell’intervento sanitario, all’interno del sistema della giustizia minorile.

Con il DPCM 1° aprile 2008, predisposto dal Ministero della Salute, di concerto con il Ministero della Giustizia, dell’Economia e della Funzione Pubblica e dopo l’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, sono state trasferite al SSN tutte le funzioni sanitarie e le relative risorse finanziarie, umane e strumentali afferenti la medicina penitenziaria. Tale passaggio di competenze richiede come da allegato A del DPCM “Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario Nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale” la definizione a livello locale di accordi interistituzionali tra i referenti delle Regioni, delle ASL e i Centri per la Giustizia Minorile e i Servizi Minorili di rispettiva competenza territoriale per garantire la continuità nell’erogazione del servizio e del trattamento terapeutico nei confronti dei minorenni sottoposti a procedimento penale. Al fine poi di gestire la complessità di tale passaggio e garantire l’omogeneità degli interventi su tutto il territorio nazionale sono stati attivati presso la Conferenza Unificata due Tavoli Interistituzionali previsti dal DPCM (il Tavolo di Consultazione permanente sulla sanità penitenziaria e il Tavolo Paritetico sugli OPG).In particolare il tavolo sulla sanità penitenziaria ha elaborazione un accordo ‘Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio sanitario nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale’, che disciplinano modalità, criteri e principi del nuovo assetto della medicina penitenziaria. In considerazione di quanto sopra, i Centri per la giustizia minorile e i servizi minorili che hanno storicamente operato, tramite accordi di programma e protocolli, con le Aziende ASL e i SERT per gli interventi trattamentali nei confronti dei minori ristretti in I.P.M.(istituti penale per i minorenni), ospiti delle Comunità ministeriali, dei C.P.A.(centri di prima accoglienza) o in carico all’USSM (uffici di servizi sociali), hanno attivato le procedure per l’attualizzazione delle collaborazioni secondo i riferimenti definiti dal DPCM e dalle Linee di indirizzo sopra citate. Lo scenario attuale prevede, pertanto, che l’assistenza ai soggetti tossicodipendenti sia garantita dal Ser.T. dell’Azienda Sanitaria, competente per territorio, che stabilisce rapporti di interazione clinica, sia con i servizi minorili che con la rete dei servizi sanitari e sociali che sono coinvolti nel trattamento e nel recupero dei tossicodipendenti. La presa in carico del tossicodipendente prevede l’attuazione delle misure preventive, diagnostiche e terapeutiche che riguardano sia l’aspetto clinico che quello della sfera psicologica. Alla luce di questo nuovo assetto normativo, e quindi organizzativo, è necessario ridefinire anche le funzioni e le responsabilità che attengono alla giustizia minorile.

Se, come detto, la presa in carico del minore sotto l’aspetto strettamente sanitario è ora posta all’esterno, e attiene ai servizi sanitari, alla giustizia rimane la competenza rieducativa che però non può prescindere da tutti quegli elementi di complessità fin qui delineati. Complessità che rende necessario innanzitutto individuare le competenze che attengono alla giustizia minorile, per integrarle con quelle degli altri servizi, al fine di costruire progetti terapeutici globali e multimodali. In tal senso, una prima questione da dirimere è quella riguardante la cosiddetta “doppia diagnosi”, di cui la letteratura psicopatologia negli ultimi anni si è molto occupata.

Ovvero, il comportamento di dipendenza rappresenta l’epifenomeno di una organizzazione psicopatologica della personalità dell’adolescente, oppure esso va considerato quale tratto e disturbo primario sul versante socio-patico? In altre parole, il disturbo psicopatologico viene “nascosto” dall’uso di sostanze o, al contrario, è da esse scatenato? E’ chiaro che la propensione verso l’una o l’altra ipotesi, entrambe ampiamente dibattute in letteratura, comporta scelte trattamentali differenti, l’una più schiacciata sul versante della cura psichiatrica, l’altra più orientata al livello rieducativo e “correttivo”.

Proprio rispetto al problema posto dai casi di doppia diagnosi va detto che sono scarse le strutture di tipo comunitario dedicate ai soggetti che necessitano di un trattamento legato e al disturbo psicopatologico e al problema di assunzione di sostanze. Se infatti questi casi possono rappresentare un segmento limitato dell’utenza all’interno degli Istituti Penali Minorili, il loro numero aumenta di significatività se si considerano anche tutti i minori in carico al servizio della giustizia minorile. Si pone quindi il famoso problema del lavoro di rete tra servizi, volto alla costruzione di un sistema integrato multisettoriale e multispecialistico in grado di offrire all’adolescente un progetto terapeutico individualizzato, integrato e multimodale. La necessità di lavorare in rete non costituisce di certo una novità né per il sistema della giustizia minorile né tanto meno per i servizi territoriali, tuttavia essa sembra tutt’ora impegnare le varie amministrazioni in una sfida complessa e ancora lontana dalla sua piena realizzazione.

E ciò tanto più se il lavoro di rete viene inteso non come semplice operazione di invio del minore ai servizi territoriali competenti, o scambio di informazioni tra un servizio e l’altro, ma come strumento di costituzione di un’equipe di lavoro formata dai vari attori sociali preposti ad occuparsi, con funzioni diverse e sulla base delle specifiche competenze, del minore.

A tale scopo, gli interventi di ordine sanitario nei confronti dei minori ristretti che presentano un problema di assunzione di sostanze, pur mantenendo la propria specificità, sono parte di un intervento socio-sanitario-educativo che si attua all’interno del contesto penale, il quale caratterizza ulteriormente la qualità dell’azione dei soggetti coinvolti. La presa in carico di questi minori, così come di tutti quelli che entrano in contatto con le strutture della Giustizia minorile, avviene a partire da una valutazione multidisciplinare che deve essere fatta da una equipe di operatori: medici, psicologi, educatori, assistenti sociali da attuarsi anche in tempi successivi che consenta di evidenziare le caratteristiche del minore e i suoi bisogni “assistenziali” (sanitari, educativi e sociali) rispetto ai quali costruire un programma di presa in carico che preveda tutti gli interventi necessari individuando contestualmente gli enti e gli operatori responsabili della loro attuazione. C’è da dire che la valutazione multidisciplinare congiunta consente di attuare anche tutti gli interventi necessari a risolvere situazioni di urgenza.Da ciò consegue che soprattutto per i soggetti minorenni e giovani adulti che presentano disturbi psicopatologici, alcol dipendenza, tossicodipendenza o portatori di doppia diagnosi, sono necessarie non solo una valutazione specialistica – che si integri con quelle di diversa natura – da realizzarsi in tempi relativamente brevi ma anche eventualmente l’immediato collocamento in strutture di cura – si pensi ad esempio a soggetti che presentano sindromi acute o comunque la previsione di interventi terapeutico(7) . Nello specifico dei minori con problemi di dipendenza, sono state in tal senso già avviate da questa amministrazione progettualità basate su un intenso lavoro di rete. Presso l’IPM Meucci di Firenze, nel corso del 2003 è stato attivato il progetto Aladino in collaborazione con il SerT, il C.G.M di Firenze, la Cooperativa sociale CAT, il CeSDA (Centro Studi Dipendenze e Aids di Firenze). Le finalità del Progetto sono state quella di modificare i comportamenti a rischio legati all’uso e all’abuso di sostanze stupefacenti, quella di offrire una maggiore informazione e sensibilizzazione sulle opportunità terapeutiche e riabilitative rese disponibili dai servizi pubblici, dagli Enti Ausiliari e dall’Associazionismo, oltre che una più approfondita conoscenza delle condizioni di vita dei minori stranieri accompagnati e dei servizi a questi rivolti.Allo stesso modo, presso l’IPM Malaspina di Palermo è stata avviata la collaborazione con medici ed esperti del Ser.T. che effettuano interventi specifici di consulenza e presa in carico di giovani detenuti portatori di problematiche legate all’uso di sostanze stupefacenti e alcoliche, individuando con il personale dell’Area Tecnica interventi trattamentali individualizzati (vedi inserimenti in comunità terapeutiche, trattamenti farmacologici, etc.) come previsto dalla legge sugli stupefacenti di cui al D.P.R. 309/90. Sempre a Palermo, sono stati anche realizzati incontri con i giovani detenuti di informazione e prevenzione su tematiche diverse (uso e abuso di sostanze alcoliche e sostanze stupefacenti), realizzati all’interno dei gruppi-classe e che hanno coinvolto nella fase progettuale sia l’équipe del Ser.T. sia l’équipe tecnica dell’Istituto e per quanto concerne la fase operativa anche gli insegnanti della scuola elementare e media che operano all’interno di questa struttura. Tuttavia ci rendiamo conto che quello del lavoro di rete tra le varie istituzioni è una sfida ancora aperta se consideriamo che oggi, ancor meno che nel passato, la complessità assunta dalle manifestazioni dell’uso e abuso di sostanze non possono trovare risposte efficaci in un interlocutore unico, mentre necessitano invece della forte coesione tra enti e servizi finalizzata a costruire un sistema di protezione che può esser immaginato come una vera e propria rete capace di avvolgere e contenere il minore.ConclusioniPremettendo che sarebbe interessante capire quanto i paradigmi interpretativi attuali rispecchino effettivamente la realtà osservata, cioè il minore adolescente e il suo disagio, e non l’osservatore di tale realtà, tali paradigmi evidenziano quale elemento caratterizzante l’adolescente contemporaneo, la confusione e lo stato di sospensione temporale e spaziale (che assume poi le forme dei ben noti fenomeni di “espansione dell’adolescenza” anche fino ai 30 anni). Se è vero che tale confusione, da una parte rappresenta uno dei tratti caratteristici dell’adolescenza, dall’altra è il riflesso, come detto prima, di una molteplicità di trasformazioni che hanno investito ambiti diversi (da quello familiare a quello sociale), allora è necessario costruire insieme interventi che prevedano un’integrazione tra servizi, e quindi tra competenze differenti. Il rischio che vogliamo però segnalare, e quindi scongiurare, è che questo lavoro di rete entri in una sorta di corto circuito ovvero in un sovrapporsi di interventi, giustapposti, se non addirittura in contrasto tra loro.

Un esempio attuale di tale rischio è il conflitto, che diventa sempre più evidente, tra l’istituzione scuola e l’istituzione famiglia, spesso divisi e frammentati rispetto ad interventi educativi che non di rado risultano essere in antitesi l’uno con l’altro, finendo per rafforzando la sensazione dell’adolescente di non poter individuare punti di riferimento stabili. Il rischio che vogliamo segnalare è quindi quello di cadere, per restare in tema, in una progettualità di interventi pachtwork, figli della stessa confusione a cui essi si propongono di dare risposta. E’ proprio l’analisi critica dei limiti e dei fattori di debolezza degli interventi attuali e le considerazioni sull’aspetto della confusione fatte prima, che spinge la giustizia minorile a riflettere su come sviluppare azioni di contenimento, inteso in senso winnicottiano, del minore.

E’ su questo ambito che vogliamo impegnarci per contribuire al superamento di tutti quegli aspetti di frammentazione e solitudine che rendono il disagio adolescenziale di difficile intercettazione per gli operatori e le istituzioni, i quali finiscono a loro volta per rimanere vittime dello stesso isolamento che si prefiggono di contrastare. In tal senso la giustizia si sta interrogando su quali strategie mettere in campo per costruire un sistema protettivo intorno al minore, costituito da una pluralità di soggetti interagenti tra loro, che ha come finalità ultima quella di potenziare il “capitale sociale” dei giovani, inteso quale bagaglio relazionale e valoriale che un soggetto costruisce nel corso della propria esistenza, in una determinata società.Lo sviluppo e il rafforzamento del capitale sociale potrebbe infatti costituire un efficace deterrente rispetto al gesto violento che, alla luce di quanto detto, nell’attuale società posmoderna può essere letto quale modo distorto di affermazione della propria individualità, in un contesto nel quale l’impoverimento della dimensione relazionale, del rapporto interpersonale affettivamente saturo, sembrano aver ridotto la possibilità per l’adolescente di ricevere conferma e riconoscimento dall’altro. Nel gesto violento, così come nell’atto vandalico, non sembra più prevalente l’aspetto della sfida e della trasgressione delle norme; piuttosto, tali fenomeni possono essere visti come effetti prodotti dall’esperienza di isolamento, di delegittimazione identitaria e di perdita di senso(8)

.Milano, 18 novembre 2010

il Direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento giustizia minorile S. Pesarin

NOTE:(1) ICARO, Indagine sugli stili di consumo delle cosiddette “nuove droghe” a Cagliari, Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, Casa Editrice Psicoanalisi Contro, Roma, 2004.(2) Ragazzi sregolati. Regole e castighi in adolescenza (a cura di), (Franco Angeli, 2001).(3) Benasayag M., Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2004.(4) ICARO, Indagine sugli stili di consumo delle cosiddette “nuove droghe” a Cagliari, Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, Casa Editrice Psicoanalisi Contro, Roma, 2004.(5) Z.Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1994.(6) Dati Giustizia Minorile 2008(7) Conferenza Unificata Stato Regioni, Linee di indirizzo per l’assistenza ai minori sottoposti a provvedimento dell’autorità giudiziaria, 26 Novembre 2009.(8) U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007.

Minori vittime e autori di reati a sfondo sessuale – “Sex Offender”

Attività svolte dagli uffici di servizio sociale per i minorenni
rilevazione anno 2011

1. INTRODUZIONE

Il presente documento espone le attività di assistenza e sostegno realizzate nell’anno 2011 dai funzionari della professionalità di Servizio Sociale afferenti ai 29 Uffici di Servizio Sociale per i minorenni che insistono sul territorio nazionale nei confronti dei minori autori e vittime di reati a sfondo sessuale ed è curato dalla Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari ed effettuato con la fattiva collaborazione dei predetti Uffici.

2. OBIETTIVI DELLA RILEVAZIONE

Lo scopo della presente rilevazione è documentare sotto il profilo quantitativo e qualitativo le caratteristiche anamnesiche, personali, familiari e di contesto sia dei minori vittime che degli autori di reato a sfondo sessuale, nonché di rilevare le modalità di intervento dei Servizi minorili nei loro confronti.

Si sente l’esigenza, da una parte di conoscere il fenomeno della violenza sessuale commessa da minori e in danno dei minori, dall’altra di conoscere se e come si stia evolvendo il fenomeno, per mettere a fuoco modalità di intervento sempre più appropriate sia nel trattamento diretto degli utenti sia nel campo della prevenzione del fenomeno.

Lo scopo ultimo, infine, è anche quello di individuare eventuali punti da sviluppare all’interno di proposte di legge affinchè l’esercizio dei principi e dei diritti dei minori, sanciti a livello internazionale attraverso nella fattispecie dalla Convenzione di New York del 1989 e da quella di Lanzarote del 2007, dalla Costituzione e recepiti nel nostro ordinamento dalla normativa nazionale di settore, siano adempiuti in modo esaustivo ed efficace.

Il documento vuole anche testimoniare alla società civile, in un’ottica di “rendicontazione” della pubblica Amministrazione, il lavoro trattamentale svolto dai Servizi della Giustizia minorile nei confronti degli “autori” e il lavoro di assistenza e supporto all’Autorità Giudiziaria ai minori e alle famiglie delle “vittime” svolto dagli Uffici di Servizio Sociale per i minorenni.

In tale ottica, uno specifico paragrafo evidenzia gli accordi stipulati e le progettualità sviluppate con gli attori sociali del territorio sulla tematica in questione.

Un ulteriore paragrafo è dedicato alla partecipazione dei  funzionari degli USSM ad attività di aggiornamento e/o formazione sul tema, nonché alla segnalazione di eventuali bisogni formativi da parte degli stessi, considerato che, soprattutto per le vittime, è richiesta una specifica formazione.

3. MINORENNI VITTIME DI REATI A SFONDO SESSUALE

3a. Quadro normativo di riferimento per le vittime di reati a sfondo sessuale

Dal 1996 al 2006 il Parlamento ha emanato tre normative concernenti i reati a sfondo sessuale che tengono in debito conto i mutamenti culturali e sociali avvenuti alla fine del XX secolo con l’avvento di internet e la “globalizzazione” della comunicazione di immagini e video: la legge 15 febbraio 1996, n. 66 “Norme contro la violenza sessuale”, la legge 3 agosto 1998, n. 269, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”, la legge 6 febbraio 2006, n. 38 “Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet”.

Tali normative recepiscono, come anzidetto, i mutamenti culturali e sociali avvenuti alla fine del XX secolo per cui i reati sessuali diventano reati contro la persona e non più contro la moralità e soprattutto tengono conto degli effetti della globalizzazione e dell’utilizzo sempre più frequente e diffuso di internet. Per alcuni reati, ad esempio la prostituzione minorile, il turismo sessuale e la detenzione di materiale pornografico minorile, viene introdotta la perseguibilità degli autori di reato anche per fatti commessi all’estero se compiuti da cittadini italiani ovvero in danno di cittadini italiani. Inoltre, in un’ottica di prevenzione della recidiva viene prevista l’istituzione del fondo per la prevenzione e la cura delle vittime e degli autori di reato.

Gli Uffici di Servizio Sociale per i minorenni del Dipartimento Giustizia Minorile seguono le vittime di reati a sfondo sessuale ai sensi del comma 3 dell’art.11 della legge 66/1996. Rispetto all’assistenza fornita alle “vittime” è bene rammentare che questo Dipartimento Minorile ha emanato specifiche disposizioni con la circolare 9/2001 del 1º giugno 2001.

Le normative suddette, in particolare le leggi 269/98 e 38/2006, hanno previsto numerose azioni che, a vari livelli, perseguono l’obiettivo di contrastare i reati di violenza sessuale, prostituzione e pedopornografia, quali:

  • l’istituzione presso il Ministero dell’Interno del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete internet,
  • Istituzione dell’Osservatorio per la il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile presso il Dipartimento per le pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri
  • l’istituzione presso il predetto Osservatorio di una banca dati, in cui vengono contemplate le azioni di contrasto alla commercializzazione di materiale pedopornografico su la rete internet affidate alla polizia postale e giudiziaria,
  • l’introduzione di obblighi per i fornitori dei servizi e per i fornitori di connettività delle reti di comunicazione elettronica.

Nel quadro degli interventi a tutela dei minorenni vittime di reati a sfondo sessuale, è opportuno citare la Carta di Noto, redatta nel giugno 1996, che costituisce un orientamento per l’”ascolto” del minore vittima di reati a sfondo sessuale durante il procedimento giudiziario in quanto fornisce indicazioni precise in merito alla modalità tecnico-operative (audio-video registrazione) per l’ascolto della testimonianza del minore in caso di abuso sessuale, ascolto che deve avvenire sempre in presenza di un operatore specializzato e specificatamente formato che fornisce assistenza psicologica al minore. Tali orientamenti intendono tutelare la sfera psicologica ed emotiva del minore che rende la propria testimonianza in un processo in cui è la parte lesa.

Un’altra tappa importante concernente la tutela dei diritti dei minori in tale ambito è la recente approvazione da parte del Parlamento della legge 1° ottobre 2012, n. 172 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno” la quale punta ad un rafforzamento della tutela e della protezione giuridica dei minori attraverso una serie di  misure. Questo Dipartimento Minorile ha emanato, nel merito, la circolare prot. n. 39209 del 13/11/2012.

Tra le novità maggiormente rilevanti apportate dalla legge 172/2012 concernenti le “vittime” si evidenzia:

  • L’art. 4, comma 1, lettera v) che modifica l’art. 609 decies del codice penale ed estende quanto previsto dall’art. 11, comma 3º, della legge 66/1996 anche per i reati previsti dagli artt. 600 “Riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù ”, 600 bis “prostituzione minorile”, 600 ter “Pornografia minorile, 600 quinques “Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile”, 601 “tratta e commercio di persone”, 602 “Acquisto o alienazione e commercio di schiavi” del codice penale oltre che a quelli già previsti dall’art. 609 decies “Adescamento di minorenni”;
  • L’art. 5, lettere c), d) ed f), che modifica vari articoli del c.p.p., prevedendo, nei procedimenti per delitti di sfruttamento sessuale di minori, di tratta di persone, di violenza sessuale e di adescamento di minori, che l’assunzione delle informazioni da minorenni avvenga con l’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nel corso delle indagini preliminari, rispettivamente dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dal difensore;
  • L’art. 9 che reca modifiche al testo unico in materie di spese di giustizia, estendendo il gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal D.P.R. 115/2002, a favore delle vittime dei delitti di sfruttamento sessuale di minori, di corruzione di minorenne, di adescamento di minorenne, di tratta di persone oltre a quelle di violenza sessuale.


3b. Dati statistici relativi ai minori vittime di reati a sfondo sessuale

I dati statistici più recenti disponibili per gli USSM sono riferiti all’anno 2009. I minori complessivamente presi in carico dai Servizi nella predetta annualità risultano essere 184.

MinorenniItalianiStranieriTotale
MFTMFTMFT
Segnalati22951172121424107131
Per i quali sono state attivate azioni da parte degli USSM31991302101233109142
In carico per periodi precedenti al 2009123042000123042
Totale presi in carico431291722101245139184

3c. Nazionalità, genere sessuale, fascia di età delle vittime di reato a sfondo sessuale 

Come precedentemente anticipato, l’art. 11, comma 3° della legge 66/1996 prevede che “al minorenne sia assicurata l’assistenza dei Servizi Minorili dell’Amministrazione della Giustizia e dei Servizi istituiti dagli Enti locali. Dei Servizi indicati al terzo comma si avvale altresì l’Autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento”.

Nell’ambito di tale norma, per i reati previsti al comma 1, dell’art.11, come modificato dalla legge 172/12, l’Autorità giudiziaria ha facoltà di interpellare, o meno, i Servizi Minorili della Giustizia per l’assistenza al minore vittima di reati a sfondo sessuale durante le fasi del processo.

Dalla presente Rilevazione risulta che l’Autorità Giudiziaria si è avvalsa di 17 USSM per l’assistenza alle vittime e precisamente nei distretti di: Ancona, Bologna, Bolzano, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Lecce, Messina, Napoli, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Sassari, Taranto e Trieste.

Viceversa 12  USSM e precisamente, Bari, Brescia, Catania, Firenze, Genova, Milano, Palermo, Perugia, Salerno, Torino, Trento e Venezia non vengono coinvolti dall’A.G. nell’assistenza alle vittime.

I minorenni vittime di reato a sfondo sessuale seguiti dagli Uffici di Servizio Sociale (USSM) per i minorenni nel 2011 risultano essere 144 (tavola 1). Raffrontando questo dato con i dati statistici riportati nel presente documento si rileva che dal 2009 al 2011 complessivamente c’è stata una diminuzione del numero dei casi, sebbene vi sia stato un incremento del numero di USSM coinvolti dall’A.G..

Rispetto alla nazionalità, l’87% di essi è di nazionalità italiana (125) ed il 13% è di origine straniera (19). I ragazzi di nazionalità italiana sono in numero nettamente maggiore dei ragazzi di origine straniera (Tavola1). Rispetto al genere, il 76% di essi risulta essere di genere femminile ed il 24% risulta essere di genere maschile (Tavola 2).

La fascia di età a cui appartengono le vittime di reati a sfondo sessuale corrisponde nel 45% dei casi alla fascia di età 14-17 anni, nel 24% dei casi alla fascia di età 11-13 anni, nel 21% dei casi alla fascia d’età 6-10 anni e nel 7% dei casi, l’età delle piccole vittime è compresa tra 0 e 5 anni. Per 5 minori gli USSM non hanno potuto definire con esattezza l’età. La fascia d’età adolescenziale, 14-17 anni, prevale tra le vittime di reati a sfondo sessuale (Tavola 3).

Tavola 1Tavola 2Tavola 3
NazionalitàValori assolutiPercentualeGenere
sessuale
Valori assolutiPercentualeFascia d’etàValori assolutiPercentuale
Italiana12587%Maschio3524%0-5 anni107%
6-10 anni3021%
Straniera1913%Femmina10976%11-13 anni3424%
14-17 anni6545%
      non so53%
Totale144100%Totale144100%Totale144100%

3d. Relazione tra la vittima ed il reo, soggetto segnalante

 La relazione di conoscenza tra la vittima e l’autore di reato risulta molto significativa. Il reato si svolge spesso tra persone che si conoscevano; l’autore del reato risulta appartenere al contesto amicale della vittima nel 36% dei casi, al contesto familiare nel 28% dei casi, risulta essere uno sconosciuto nel 19% dei casi ed un soggetto conosciuto tramite rete nel 4% dei casi. Per 19 casi gli USSM non hanno potuto definire in che relazione fossero la vittima e l’autore di reato. La vittima, pertanto, conosceva il soggetto che ha commesso il reato nell’64% dei casi.

Per 19 casi su 144 viene segnalata la presenza di un accordo con la Magistratura locale per la segnalazione dei casi agli USSM. La tavola 5 evidenzia in quale fase del procedimento l’A.G. coinvolge gli USSM. Nello specifico l’autorità segnalante risulta essere nel 49% dei casi il Tribunale per i minorenni, nel 34% dei casi la Procura, nel 7% dei casi il GIP, nel 6% dei casi la Questura e soltanto nel 1% dei casi il GUP. Nel caso di 4 minori gli USSM non hanno potuto definire il soggetto segnalante. Pertanto, nonostante i pochi accordi formali raggiunti, risulta del tutto evidente che sono prevalentemente gli Organi giudiziari a segnalare le vittime agli USSM (91%).

Relazione reo/vittimaValori assolutiPercentuale
Tra sconosciuti2719%
Familiare4028%
Di contesto5236%
Contatto tramite rete64%
Non so1913%
Totale144100%
SegnalanteValori assolutiPercentuale
Procura4934%
Gip107%
Gup11%
S.S. territorio00%
Trib. per i minorenni7249%
Questura86%
Non so43%
Totale144100%


3e. Azione di gruppo, attivazione della procedura per l’apertura di tutela, audizione protetta

Risulta che nel 78% dei casi il reato di violenza sessuale non è stato consumato in gruppo mentre nell’10% dei casi si è trattato di un reato di gruppo. Soltanto nell’8% dei casi è stata attivata la procedura per l’apertura di tutela e, nel 20% dei casi, l’ascolto della vittima si è svolto in una aula protetta secondo la normativa vigente. Viceversa nel 24% dei casi non è stata attivata la procedura per l’apertura di tutela e nel 58% dei casi l’ascolto della vittima, minorenne, non si è svolto in un’aula protetta. Non si è potuto definire se si è trattato di un’azione di gruppo per 17 casi, se era stata attivata la procedura per l’apertura di tutela per 99 casi e se l’audizione del minore si era svolta in un’aula protetta per 32 casi sul totale complessivo di 144 minori.

Tavola 6Tavola 7Tavola 8
Azione di gruppoValori assolutiPercentualeAttivazione della procedura
per l’apertura di tutela
Valori assolutiPercentualeAudizione protettaValori assolutiPercentuale
SI1410%SI118%SI2920%
NO11378%NO3424%NO8358%
Non so1712%Non so9968%Non so3222%
Totale144100%Totale144100%Totale144100%


3f. Modalità di raccordo degli USSM con S.S. Enti Locali/Centri anti-abuso e comunità/AA.SS.LL./Privato Sociale/altro e accordi stipulati con le Procure minorili ed ordinarie relativamente alla segnalazione di casi

Le Procure, ordinarie e minorili, con le quali gli USSM hanno stipulato degli accordi per disciplinare la segnalazione dei casi di minori abusati, sono relative ai territori di Cagliari, Roma, Catanzaro, Trieste, Reggio Calabria, Lecce, Messina e Caltanissetta.

Le percentuali dei dati riferiti alla tavola 9 sono state calcolate sulle risposte valide in quanto era possibile fornire una risposta multipla. Per 16 casi il dato non era rilevabile.

Nello specifico, i soggetti con i quali gli USSM hanno stabilito delle modalità di raccordo sono: nel 46% dei casi i Servizi Sociali degli Enti Locali, nel 25% dei casi le AA.SS.LL., nel 9% dei casi i Centri anti-abuso e le Comunità, nel 10% dei casi le Procure, nell’8% dei casi il Privato Sociale, altro nel 3% dei casi.

EnteValori assolutiPercentuale
S.S Enti Locali8846%
Procure2010%
Centri anti-abuso e Comunità189%
AA.SS.LL.5025%
Privato sociale118%
Altro63%

 * Percentuali calcolate esclusivamente sulle risposte valide.


3g. Modalità di assistenza alle vittime dei reati a sfondo sessuale da parte degli USSM

Gli USSM, così come previsto dal 3° comma dell’art.11 della legge 66/1996, svolgono un ruolo di sostegno alla vittima soprattutto durante l’iter giudiziario (45%) fornendo assistenza al giudice in udienza e attraverso colloqui con la vittima ed i familiari (26%), individuali con la vittima (10%), di raccordo con i Servizi territoriali (18%) a seconda del bisogno identificato. 

Anche in questo caso, le percentuali dei dati riferiti alla tavola 10 sono state calcolate sulle risposte valide in quanto era possibile fornire una risposta multipla. Per 14 casi il dato non era rilevabile. 

AssistenzaValori assolutiPercentuale
Durante l’udienza9045%
Inoltro ai servizi competenti3718%
Colloqui vittima e familiari5226%
Colloqui personali vittima2110%

* Percentuali calcolate esclusivamente sulle risposte valide

4. MINORI AUTORI DI REATI A SFONDO SESSUALE

4a. Quadro normativo di riferimento per gli autori di reati a sfondo sessuale

I Servizi della Giustizia minorile, in base alla normativa di settore, attuano un percorso individualizzato per ogni minore che entra nel circuito penale a seconda dei bisogni e delle specifiche caratteristiche del soggetto nonchè delle potenziali risorse riferite al contesto ambientale e familiare. Gli autori di reati a sfondo sessuale usufruiscono, pertanto, di un trattamento individualizzato che non si differenzia da quello degli altri minori in carico ai Servizi della Giustizia. Non esistono nel nostro circuito, a differenza di altri Paesi, modalità di presa in carico e trattamento differenziate per “categorie”, esistono bisogni specifici, personalizzati che vanno individuati e risolti al fine di favorire il processo di crescita evolutiva di ogni minore, indipendentemente dalla restrizione della libertà.

Si fa presente, tra l’altro, che con il DPCM 1° aprile 2008 tutte le funzione sanitarie svolte all’interno del circuito della Giustizia Minorile e dell’Amministrazione Penitenziaria sono state trasferite alle competenze del Servizio Sanitario Nazionale. Le Regioni garantiscono le prestazioni sanitarie ai soggetti del circuito penale minorile e degli adulti attraverso le Aziende Sanitarie Locali. Il predetto DPCM sancisce la parità tra persone detenute o internate e cittadini liberi nell’usufruire delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione.

Rispetto alle modifiche introdotte dalla legge 172/2012 precedentemente citata, si evidenziano quelle inerenti l’ordinamento penitenziario. L’art.7 modifica la legge 354/75 in materia di concessione di benefici, vincola il trattamento dei condannati per reati sessuali in danno di minori ai seguenti elementi:

  1. In particolare il comma 1, amplia il catalogo dei delitti rispetto ai quali l’accesso ai benefici penitenziari è subordinato ai risultati positivi dell’osservazione scientifica della personalità del detenuto; 
  2. il comma 2, subordina la concessione dei benefici alla valutazione positiva della partecipazione al programma di riabilitazione specifico, che sarà considerato dal Magistrato di Sorveglianza come elemento di valutazione per la concessione dei benefici;
  3. il comma 3, individua uno specifico trattamento psicologico cui possono sottoporsi i condannati per reati di sfruttamento sessuale dei minori con finalità di recupero e sostegno.

Si rammenta che l’art.16, comma 3, della Convenzione di Lanzarote già prevedeva che gli Stati “in conformità alla propria legislazione interna, prevedessero a che programmi o misure di intervengo venissero messi in atto o adattate per corrispondere ai bisogni connessi allo sviluppo dei bambini che abbiano commesso reati di natura sessuale, inclusi coloro che sono al di sotto dell’età della responsabilità penale, allo scopo di trattare i loro problemi di condotta sessuale”.


4b. Dati statistici relativi ai minori autori di reati a sfondo sessuale

Numero delitti e numero minorenni denunciati alle Procure c/o T.M. per violenza sessuale ed incidenza % sul totale dei delitti e dei minorenni denunciati dal 2000 al 2007.

Rispetto ai dati più recenti disponibili si evince che il numero dei delitti e dei minorenni denunciati  per reati a sfondo sessuale ha un andamento altalenante e sostanzialmente esiguo rispetto al totale dei delitti e dei minorenni denunciati alle Procure presso i Tribunali per i minorenni.

Annin. Delitti denunciati alle Procure c/o T.M. e
percentuale sul totale dei minorenni denunciati
n. Minorenni denunciati alle Procure c/o T.M. e
percentuale sul totale dei minorenni denunciati
Totale%Totale%
20004891%5661%
20016522%7512%
20025881%7141%
20035821%7141%
20047382%8992%
20055691%6771%
20066792%7832%
20076822%8172%

Complessivamente nel 2011 i minorenni autori di reati a sfondo sessuale che hanno fatto ingresso nei Centri di Prima accoglienza sono 28, negli Istituti penali per i minorenni sono 19, nelle Comunità sono 86.

TipologiaIngressi CPAIngressi IPMIngressi in Comunità
MFTMFTMFT
Violenza sessuale200201201268169
Atti sessuali con minorenne20210113013
Pornografia minorile213303303
Istigazione, sfruttamento, favoreggiamento, prostituzione303303101
TOTALI271281901985186

Nell’anno 2011 l’autorità giudiziaria minorile ha emesso n.176 provvedimenti di messa alla prova ai sensi dell’art.28 del D.P.R. 448/88 per reati di “violenza sessuale” commessi da minorenni, la cui durata media del “periodo di prova” corrisponde a 13 mesi.

E’ opportuno premettere che gli USSM non sempre hanno a disposizione gli elementi per tutti i quesiti posti. Pertanto, si è ritenuto di includere nel calcolo delle percentuali anche le informazioni non rilevabili (non so), a volte piuttosto copiose. I dati, seppur a volte parziali, sono comunque molto significativi.


4c. Nazionalità, genere sessuale, età anagrafica dei minori autori di reato a sfondo sessuale

I minorenni autori di reato a sfondo sessuale seguiti dagli Uffici di Servizio Sociale (USSM) per i minorenni nel 2011 risultano essere 387; di questi alcuni potrebbero essere stati presi in carico dagli USSM negli anni precedenti e, pertanto, potrebbero essere le stesse persone conteggiate lo scorso anno. Rispetto alla nazionalità, l’83% di essi è di nazionalità italiana (322) ed il 17% è di origine straniera (65). I ragazzi di nazionalità italiana sono in numero nettamente maggiori dei ragazzi di origine straniera. I minori stranieri appartengono a tutte le nazionalità del circuito penale minorile.

Nel questionario rivolto agli USSM è stata posta una domanda più specifica volta a comprendere se i ragazzi di origine straniera vivevano, dalla nascita, da meno o da più di un anno nel nostro Paese. In molti casi questa informazione non è stata classificata. Le informazioni comunque disponibili, indicano che su 65 minori di origine straniera, 19 risultavano vivere nel nostro Paese dalla nascita, 4 da meno di un anno e 50 da più di un anno.

PeriodoMinori di origine straniera
In Italia dalla nascita19
In Italia per un periodo > 1 anno50
In Italia per un periodo < 1 anno4
TOTALE65

Rispetto al genere sessuale, 97% dei minori sex offender risulta essere di genere maschile (377) e il 3% di genere femminile (10). Il genere maschile prevale nettamente su quello femminile.

Rispetto all’età, i minorenni autori di reato risultano avere nel 47% dei casi dai 14-15 anni (182) e nel 52% dei casi 16-17 (200). La fascia d’età 16-17 anni prevale moderatamente su quella 14-15 anni. Rispetto a 5 minori, non si è potuta precisare l’età.

Il dato che emerge molto evidente in queste tavole, e che desta qualche perplessità, è l’elevato numero di minori, n.105 presi in carico dall’USSM di Bari rispetto agli altri USSM, che non è giustificato né dai dati statistici sulla popolazione minorile residente nel distretto barese né dai dati statistici sui minori del circuito penale locale. Questo dato potrebbe significare molte cose diverse. Che i reati commessi nel distretto barese sono piuttosto gravi, quindi le misure penali sono più lunghe e quindi i ragazzi presi in carico dall’USSM di Bari sono la somma di quelli relativi agli anni pregressi. Oppure si potrebbe supporre che negli altri distretti il numero “oscuro” di minori denunciati per tali reati sia piuttosto alto e quindi che negli altri distretti sia notevolmente sottostimato il numero di minorenni denunciati per tali reati.

Tavola 1Tavola 2Tavola 3
NazionalitàValori assolutiPercentualeGenere sessualeValori assolutiPercentualeFascia d’etàValori assolutiPercentuale
Italiana32283%Maschio37797%14-15 anni18247%
Straniera6517%Femmina103%16-17 anni20052%
      non so51%
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4d. Titolo di istruzione, attività di formazione e stato occupazionale dei minori autori di reato a sfondo sessuale

Rispetto al titolo di istruzione il 14% dei minori autori di reati sessuali ha concluso la scuola primaria (53), il 64% ha concluso la scuola secondaria di 1º (251) e, il 17% ha concluso la scuola secondaria di 2º (65).

Per quanto concerne l’attività formativa, il 58% dei minori autori di reati sessuali frequenta attività di formazione (224) mentre il 39% no (152).

Per quanto concerne il livello di occupazione, l’85% dei ragazzi non risulta essere occupato (327) mentre solo il 12% risulta esserlo (48).

Una parte consistente dei giovani ha, dunque, il livello di istruzione della scuola secondaria di 1º (64%), è impegnato in attività di formazione (58%) e non risulta essere occupato (85%).

Gli USSM non hanno potuto definire il titolo di istruzione rispetto a n.18 minorenni, la frequenza di attività formative rispetto a 11 ragazzi ed il livello di occupazione rispetto a 12 minori.

Tavola 4Tavola 5Tavola 5 bis
Titolo di istruzioneValori assolutiPercentualeAttività di Formazione
al momento del reato
Valori assolutiPercentualeStato occupazionale
al momento del reato
Valori assolutiPercentuale
Scuola Primaria5314%SI22458%SI4812%
Scuola Secondaria di 1º25164%NO15239%NO32785%
Scuola secondaria di 2º6517%Non so113%Non so123%
Non so185%      
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4e. Dipendenza da sostanze stupefacenti e presenza di disturbi psichiatrici.

Le tabelle che seguono, in questo paragrafo e nei successivi, intendono esaminare la presenza di problematiche, personali o familiari, dei minori autori di reati sessuali, pregresse alla commissione del reato.

Per quanto concerne l’assunzione di sostanze stupefacenti da parte dei ragazzi autori di reati sessuali, l’89% non risulta farne uso in generale (345) e l’85% non ne faceva uso al momento del reato (330), mentre solo il 6% faceva uso di sostanze stupefacenti in generale (23) e il 7% ne faceva uso al momento del reato (26). Il dato rilevato evidenzia che, complessivamente l’uso di sostanze stupefacenti non è determinante nei ragazzi che hanno commesso reati a sfondo sessuale (Tavole 6 e 6 bis).

Non si è potuto definire se i minori facevano uso in generale di sostanze stupefacenti rispetto a 19 minori e se ne facevano uso al momento del reato rispetto a 31 minori sul dato complessivo di 387 minori.

Rispetto al campione esaminato, risulta che l’82% dei minori sex offender non presentava disturbi psichiatrici. Non si è potuto riscontrare questo dato rispetto a 18 minori.

Tavola 6Tavola 6 bisTavola 10
Assuntore di sostanze
stupefacenti in generale
Valori assolutiPercentualeAssuntore di sostanze
stupefacenti al momento del reato
Valori assolutiPercentualePresenza disturbi
psichiatrici
Valori assolutiPercentuale
SI236%SI267%SI5113%
NO34589%NO33085%NO31882%
Non so195%Non so318%Non so185%
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4f. Ciclo intergenerazionale della violenza dei minori autori di reato a sfondo sessuale

Rispetto al ciclo intergenerazionale della violenza si rileva che il 83% dei sex offender (321) non ha subito abuso fisico, l’83% non ha subito maltrattamenti (320) e l’80% non ha subito abuso psicologico (309). Viceversa, il 7% del campione preso in considerazione, ha subito abuso fisico (26), il 7% ha subito maltrattamenti (27), il 10% ha subito abuso psicologico (38). Si sottolinea la difficoltà degli USSM a reperire tali informazione e che, rispetto n.40 ragazzi, per ciascuna categoria, non hanno potuto indicare alcun dato.

Si constata che una piccola quota di ragazzi sex offender abusanti, dal 7 al 10 %, sono stati, a loro volta, abusati. 

Abuso fisicoValori assolutiPercentualeMaltrattamentiValori assolutiPercentualeAbuso psicologicoValori assolutiPercentuale
SI267%SI277%SI3810%
NO32183%NO32083%NO30980%
Non so4010%Non so4010%Non so4010%
Totale387100%Totale387100%Totale387100%


4f. Precedente presa in carico da parte dell’Ente locale, precedenti istituzionalizzazioni/ affidamenti familiari/adozioni dei minori autori di reato a sfondo sessuale.

Anche le tabelle che seguono intendono esaminare la presenza di problematiche, personali o familiari pregresse alla commissione del reato nei minori autori di reati sessuali.

Rispetto ai dati disponibili relativi alle tabelle di cui sopra, emerge che il 70% dei minori sex offender non era stato precedentemente preso in carico da parte dei S.S. degli Enti Locali, che l’85% di essi non aveva avuto precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozione.

Viceversa, il 27% dei minori sex offender era stato precedentemente preso in carico da parte dei S.S. degli Enti Locali, il 13% aveva avuto precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozione. Non si è potuta definire la precedente presa in carico da parte dell’Ente locale rispetto a 10 minori, su eventuali precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozioni rispetto a 7 minori sul totale complessivo di 387 minori. 

Tavola 8Tavola 9
Precedente presa in carico
da parte dell’Ente locale
Valori assolutiPercentualePrecedenti istituzionalizzazioni/affidamenti familiari/adozioniValori assolutiPercentuale
SI10627%SI5113%
NO27170%NO32985%
Non so103%Non so72%
Totale387100%Totale387100%


4g. Struttura familiare del minori autori di reato a sfondo sessuale

La rappresentazione della struttura familiare offre alcuni elementi di riflessione. Dai dati relativi al nucleo familiare dei ragazzi autori di reato a sfondo sessuale emerge che, in prevalenza, esso: è normocostituito (64%), è disgregato (64%), sono presenti altri fratelli o sorelle (69%), non è multiproblematico (54%), non presenta svantaggio economico (56%), non presenta patologie fisiche o psichiche (65%), non si trova in una situazione di isolamento, sociale, geografico o culturale (60%), non presenta comportamenti antisociali (65%), né forme di dipendenza da sostanze stupefacenti (74%), né relazioni di attaccamento problematiche (61%).

Viceversa il nucleo familiare non è normocostituito (18%), non è disgregato (28%), non sono presenti altri fratelli o sorelle (16%), è multiproblematico (27%), presenta svantaggio economico (30%), presenta patologie fisiche o psichiche (19%), si trova in una situazione di isolamento, sociale, geografico o culturale (28%),  presenta comportamenti antisociali (21%), forme di dipendenza da sostanze stupefacenti (7%), relazioni di attaccamento problematiche (21%).

I dati sotto riportati riepilogano il numero di casi per i quali gli USSM hanno potuto, o non hanno potuto definire la struttura familiare, che in questo caso risultano abbastanza consistenti.

Struttura familiare del minori autori di reato a sfondo sessuale
 Struttura familiareNormocostituitaDisgregataMultiproblematicaPresenza altri fratelli/sorelleSvantaggio economicoPresenza patologie fisiche/psichicheIsolamento geografico, sociale, culturaleComportamenti antisocialiForme di dipendenzaRelazione di Attaccamento problematica
SI24910810326811574110802982
NO7020921060217252231253285234
Non definito68707459556146547371

Nella tavola 11 sono riportati i valori assoluti relativi alla struttura familiare dei minori autori di reati a sfondo sessuale e nei grafici sottostanti sono riportate per ciascuna voce della “Struttura familiare” le singole percentuali. 

NormocostituitaValori assoluti%DisgregataValori assoluti%Multiproblematicavalori assoluti%Presenza fratellivalori assoluti%Svantaggio economicoValori assoluti%
SI24964%SI10828%SI10327%SI26869%SI11530%
NO7018%NO20964%NO21054%NO6016%NO21756%
Non definito6818%Non definito7018%Non definito7419%Non definito5915%Non definito5514%
Presenza patologievalori assoluti%Isolamento geografico,
culturale, sociale
valori assoluti%Comportamenti antisocialivalori assoluti%Dipendenzevalori assoluti%Relazione di attaccamento
problematico
valori assoluti%
SI7419%SI11028%SI8021%SI297%SI8221%
NO25265%NO23160%NO25365%NO28574%NO23461%
Non definito6116%Non definito4612%Non definito5414%Non definito7319%Non definito7118%


4h. Relazione di conoscenza tra la vittima e l’autore del reato, età della vittima del reato.

La relazione di conoscenza tra la vittima e l’autore di reato risulta molto significativa; il reato si consuma per lo più tra persone che si conoscevano. L’autore del reato risulta appartenere al contesto amicale della vittima nel 68% dei casi, al contesto familiare nel 13% dei casi, risulta essere uno sconosciuto nel 10% dei casi e un soggetto conosciuto tramite rete nel 6% dei casi.  La vittima, pertanto, conosceva nell’81% dei casi il soggetto, minorenne, autore del reato a sfondo sessuale.

L’età della vittima non è sempre individuabile (32% dei casi). Tra i dati rilevati risulta che le vittime appartengono nel 34% dei casi alla fascia di età 14-17 anni, nel 19% dei casi alla fascia di età 11-13 anni, nell’8% dei casi alla fascia d’età 6-10 anni e nel 5% dei casi hanno compiuto la maggiore età, soltanto nel 2% dei casi l’età delle vittime è compresa tra 0 e 5 anni. La fascia d’età adolescenziale, 14-17 anni prevale tra le vittime di minorenni autori di reati a sfondo sessuale. Gli USSM non hanno potuto definire quale era la relazione reo/vittima rispetto a 11 minori. 

Tavola 12Tavola 14
Relazione reo/vittimaValori assolutiPercentualeEtà della vittimaValori assolutiPercentuale
Tra sconosciuti3810%0 – 5 anni62%
familiare5113%6 – 10 anni328%
di contesto26568%11 – 13 anni7319%
contatto tramite rete226%14 -17 anni13534%
non so113%maggiore di 18 anni195%
   non definita12232%
Totale387100%Totale387100%


4i. Azione di gruppo, presenza di  maggiorenni nella commissione del reato.

La presenza di maggiorenni nell’ambito della consumazione del delitto è piuttosto ridotta: non risultano presenti figure adulte nell’82% dei casi, mentre risultano presenti persone adulte in grado a volte di manovrare ed influenzare il comportamento dei più giovani, nel 14% dei casi.

Nel 54% dei casi si è trattato di un’azione di gruppo, mentre nel 43% dei casi no. 

Gli USSM non hanno potuto definire se l’azione/reato era stata “di gruppo” rispetto a 10 minori e, se erano stati presenti maggiorenni al momento del reato rispetto a 14 casi. 

Tavola 13Tavola 13 bis
Azione di gruppovalori assolutiPercentualePresenza di maggiorennivalori assolutiPercentuale
SI21054%SI5514%
NO16743%NO31882%
Non so103%Non so144%
Totale387100%Totale387100%

4l. Presa in carico dei minori autori di reati a sfondo sessuale da parte dell’USSM congiuntamente con i S.S. degli Enti Locali, il Privato Sociale, altro. Appartenenza dei minori a sette.

I soggetti con i quali gli USSM lavorano congiuntamente sui casi di minorenni autori di reato a sfondo sessuale risultano essere, principalmente, i S.S. degli Enti Locali (42%), segue il Privato sociale (28%), poi le AA.SS.LL. (26%), e altri soggetti (4%). La prevalenza della collaborazione degli USSM si svolge con i S.S. degli Enti Locali.

Il 95% dei ragazzi oggetto della rilevazione, non risulta appartenere a sette. Vi risulta appartenere soltanto 1%, una percentuale del tutto trascurabile. Gli USSM non hanno potuto definire l’”appartenenza a sette” rispetto a 16 minori. 

Tavola 15Tavola 16
Presa in caricoValori assolutiPercentualeAppartenenza a sette
od organizzazioni
Valori assolutiPercentuale
S.S. Enti locali19942%SI31%
AA.SS.LL.12026%NO36895%
Privato sociale12828%Non so164%
Altro174%Totale387100%


i. Situazione giuridica e benefici concessi ai minori autori di reato a sfondo sessuale

Rispetto alla posizione giuridica e alle risposte valide, risulta che il 61% dei sex offender è imputabile, il 15% è indagato, il 6% è stato condannato e il 4% prosciolto. 

Tavola 17
Posizione giuridicaValori assolutiPercentuale
Indagato5915%
Imputato23361%
Condannato256%
Prosciolto144%
Non
definibile
5614%
Totale387100%


4l. Attività di trattamento

Nel sistema della giustizia minorile viene elaborato un piano trattamentale individualizzato per ciascun minorenne autore di reato. Rispetto alle risposte valide, risulta che gli autori di reato di cui si tratta sono stati impegnati in molteplici attività, tra cui, colloqui individuali (23%) e familiari (19%), interventi psicologici / psichiatrici (13%), attività scolastiche (10%), formative (7%), attività di volontariato (7%), attività socialmente utili (6%) e ricreative sportive (6%). Una piccola parte di essi è stato coinvolto anche in attività di mediazione penale (3%), attività di sostegno specifico alla relazione empatica e alla sessualità (3%), in attività culturali (2%), altre attività non rientranti nelle predette tipologie (1%).

Attività di trattamento 
 Piano trattamentale/Interventi (risposta multipla)Valori assolutiPercentuale
Colloqui individuali34523%
colloqui familiari29519%
interventi psicologici/psichiatrici19613%
Attività scolastiche15110%
attività formative1097%
attività socialmente utili946%
mediazione culturale70%
mediazione penale443%
attività ricreative/ sportive896%
sostegno specifico alla relazione empatica e alla sessualità383%
attività artistico/culturali252%
attività di volontariato1077%
altro181%

5. PARTECIPAZIONE AD ATTIVITA’ DI FORMAZIONE O PROGETTUALI

Sono state intraprese numerose iniziative di formazione ed aggiornamento a livello locale e nazionale sulla tematica in questione. Anche questo Dipartimento ha avviato percorsi di aggiornamento o progetti quali, “Italian Network for young offenders”, “Minori stranieri non accompagnati abusati” curate dall’Istituto Centrale di Formazione del Personale della Giustizia Minorile di Roma a cui ha partecipato l’USSM di Lecce.

Il Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell’Età evolutiva dell’Università La Sapienza di Roma ha dedicato un apposito modulo formativo per gli operatori del Centro per la Giustizia Minorile di Roma a cui hanno partecipato tutti gli operatori dell’USSM di Roma. Durante i moduli formativi sono stati illustrati i modelli di classificazione dei minori abusanti, le interpretazioni sociologiche relazionali, psicopatologiche e l’integrazione dei diversi modelli, nonché gli strumenti specifici per l’assessment degli abusanti sessuali.

Esiste un accordo di collaborazione tra l’USSM di Brescia ed il Centro per il Bambino e la Famiglia della ASL della provincia di Bergamo stipulato nel 2005 finalizzato alla valutazione, al sostegno e alla definizione del piano terapeutico nonchè alla conciliazione degli autori e delle  vittime di reati a sfondo sessuale.

Save the Children ha organizzato dei Seminari sulla tematica degli abusati e degli abusanti a cui hanno partecipato gli USSM di Catania e Potenza.

Il DGM ha realizzato un progetto di ricerca sui sex offender a cui hanno partecipato l’USSM di Catania

Alcuni USSM, Reggio Calabria, Catania, Lecce, Napoli, segnalano di aver attivato collaborazioni stabili a livello locale con i S.S. degli Enti locali, i Centri Antiviolenza del privato sociale e le AA.SS.LL. come risulta anche dalla rilevazione di cui sopra, finalizzate al sostegno di minori abusati e abusanti o alle vittime di grave trascuratezza o maltrattamenti puntando alla recuperabilità delle capacità relazionali della famiglia, o almeno delle figure di riferimento positivo nel caso di vittime di abuso intrafamiliare.

La Regione Molise ha definito le linee guida di intervento per minori vittime di abusi e maltrattamenti. Nonostante ciò l’USSM Campobasso segnala che durante le indagini per abuso su minori a carico di imputati maggiorenni, non viene avviato alcun intervento a tutela delle piccole vittime. La Regione Puglia sta definendo le linee guida sulla tematica.

Il Dipartimento di Scienze Neurologiche e psichiatriche – Sezione di psichiatria dell’Università di Bari ha effettuato una ricerca “personalità, cure parentali e stili di coping nei sexual offender” i cui risultati finali sono stati illustrati durante un Seminario a cui hanno partecipato tutti gli operatori dell’USSM di Lecce. L’USSM di Lecce partecipa, con l’Università degli studi di Sassari al progetto “ A new European network to Exchange and transfer knowlege and expertise in the field of treatment programmes for perpetrators of sexual assassments and violence against children and young people”.

Alcuni USSM riferiscono che l’Autorità Giudiziaria non richiede il loro supporto per l’assistenza alle vittime di abusi sessuali ai sensi dell’art.11, c.3, della legge 66/96. La maggior parte degli USSM segnala invece di essere coinvolta dall’Autorità Giudiziaria per tali fattispecie e che è assolutamente necessario un confronto tra gli operatori sui casi e la realizzazione di un lavoro di rete dovuto alla multiproblematicità che presentano tali situazioni, per rispondere adeguatamente ai bisogni delle vittime e per attenuare il peso emotivo della gestione di questi casi. Per affrontare e superare tali aspetti, gli USSM di Milano e Napoli effettuano riunioni ed incontri di discussione e confronto anche se non hanno avuto occasione di partecipare a Seminari o corsi di aggiornamento. La maggior parte degli USSM segnala la necessità di effettuare attività di aggiornamento anche attraverso apposite convenzioni con le Università o le strutture specializzate in tale ambito.

6. SINTESI

Per quanto concerne le vittime di reato a sfondo sessuale, riassumendo, possiamo concludere che esse sono per l’87% di nazionalità italiana, nel 76% dei casi di genere femminile, nel 45% dei casi di età compresa tra i 14 e i 17 anni.

Il reato si è consumato prevalentemente nell’ambito di conoscenza con la vittima nel 36% dei casi, nell’ambito familiare nel 28% dei casi, tra sconosciuti nel 19% dei casi, nell’ambito delle conoscenze che avvengono attraverso la rete internet nel 4% dei casi. Soltanto nel 10% dei casi la violenza sulle vittime è dovuta ad un’azione di gruppo, mentre nel 78% dei casi l’azione è svolta individualmente.

La segnalazione agli USSM avviene principalmente attraverso gli organi giudiziari (91%), quali il Tribunale per i minorenni (49%), la Procura (34%), l’Ufficio del Giudice per le indagini preliminari (7%) e l’Ufficio del Giudice per l’udienza preliminare (1%).

Le Procure, ordinarie e minorili, con le quali gli USSM hanno stipulato degli accordi per disciplinare le la segnalazione dei casi di minori abusati, sono relative ai territori di Cagliari, Roma, Catanzaro, Trieste, Reggio Calabria, Lecce, Messina e Caltanissetta.

Non si dispone di un numero sufficiente di dati per quantificare i casi in cui si è reso necessario avviare la procedura per l’apertura della tutela delle vittime; risulta che nell’8% dei casi si è proceduto ad avviare l’iter per l’apertura della tutela. L’audizione delle vittime si è svolta in un contesto riservato quale quello previsto dalla normativa sulle “audizioni protette” nel 20% dei casi. Gli USSM hanno stabilito degli accordi per lavorare congiuntamente sui casi soprattutto con  i Servizi Sociali degli Enti Locali (46%), le AA.SS.LL. (25%), i Centri anti-abuso e le Comunità (9%).

Gli USSM, così come previsto dal 3° comma dell’art.11 della legge 66/1996, svolgono un ruolo di sostegno alla vittima soprattutto durante l’iter giudiziario (45%) e attraverso colloqui con la vittima ed i familiari (26%), individuali con la vittima (10%), di raccordo con i Servizi territoriali (18%) a seconda del bisogno identificato.

Per quanto concerne i soggetti minorenni autori di reato a sfondo sessuale, riassumendo, possiamo concludere che essi: sono per l’83% di nazionalità italiana, nel 97% dei casi di genere maschile, nel 52% dei casi di età compresa tra i 16 ed i 17 anni. 

L’89% di essi non fa abitualmente uso di sostanze stupefacenti, l’85% di essi non né faceva uso al momento del reato, il 95% di essi non appartiene a sette.

L’82% dei ragazzi considerati non presenta disturbi psichiatrici, l’85% non ha avuto precedenti istituzionalizzazioni/affidamenti/adozioni, il 70% non è stato preso in carico prima della commissione del reato dai Servizi Sociali degli Enti Locali, ma il 27% lo era stato già prima dell’evento-reato.

L’85% dei ragazzi è disoccupato, il 58% di essi frequenta attività di formazione ed il 64% di essi è in possesso della scuola secondaria di 1°. Sembrerebbe che molti di essi, dopo aver conseguito il diploma di scuola media, non frequenti alcuna attività di studio (39%) e sia in cerca di occupazione. Quindi una buona parte di questi giovani non è impegnata in un progetto di vita per il proprio futuro.

Rispetto al ciclo intergenerazionale della violenza i dati sono parzialmente confortanti. L’83% del campione non ha subito abusi fisici, né maltrattamenti e l’80% non ha subito abusi psicologici.

Il nucleo familiare dei ragazzi oggetto di questa rilevazione presenta, nella maggior parte dei casi, le seguenti caratteristiche: è normocostituito (64%), è disgregato (64%), sono presenti altri fratelli o sorelle (69%), non è multiproblematico (54%), non presenta svantaggio economico (56%), non presenta patologie fisiche o psichiche (65%), non si trova in una situazione di isolamento, sociale, geografico o culturale (60%), non presenta comportamenti antisociali (65%), né forme di dipendenza da sostanze stupefacenti (74%), né relazioni di attaccamento problematiche (61%).

Il reato si è consumato prevalentemente nell’ambito di conoscenza con la vittima nel 68% dei casi, nell’ambito familiare nel 13% dei casi, tra sconosciuti nel 10% dei casi, nell’ambito delle conoscenze che avvengono attraverso la rete internet nel 6% dei casi. Nel 54% dei casi si è trattato di un’azione di gruppo e nel 14% di casi erano presenti figure adulte o comunque maggiorenni.

Prevale, nelle vittime, la fascia di età 14-17 anni (34%), seguita da quella 11-13 anni (19%).

Il 61% dei ragazzi è imputabile. I reati sono stati commessi prevalentemente verso minorenni appartenenti alla fascia di età 14-17 anni (34%), 11-13 anni (19%), 6-10 anni (8%) e maggiorenni (5%). Gli USSM effettuano la presa in carico dei ragazzi congiuntamente ad altri Servizi del territorio, di cui risultano prevalenti, i Servizi Sociali degli Enti Locali nel 42 % dei casi, il privato Sociale nel 28% dei casi, le AA.SS.LL. nel 26% dei casi.

Complessivamente il programma di trattamento degli autori di reato è denso di impegni che si sostanziano in interventi individuali di rimotivazione al cambiamento, quali colloqui individuali (23%) e familiari (19%), interventi psicologici / psichiatrici (13%), nonché in attività che contribuiscano alla  crescita, alla maturazione e all’assunzione da parte dei giovani di un ruolo attivo verso se stessi e gli altri, propositivo e costruttivo. Tra queste attività rammentiamo, le  attività scolastiche (10%), formative (7%), attività di volontariato (7%), attività socialmente utili (6%) e ricreative sportive (6%). Una piccola parte di essi è stato coinvolto anche in attività di mediazione penale (3%), attività di sostegno specifico alla relazione empatica e alla sessualità (3%), in attività culturali (2%), altre attività non rientranti nelle predette tipologie (1%).

Merita senz’altro una riflessione da parte delle istituzioni e di tutta la società civile il fatto che molti degli autori di reati a sfondo sessuale sono disoccupati e non proseguono gli studi quindi non sono impegnati in un progetto di vita per il loro futuro e, dall’impatto con il sistema giudiziario minorile, generalmente scaturisce un impegno nella società.

Roma, 16 luglio 2013

Fonte: Ministero della giustizia