Le linee guida e le raccomandazioni dell’EIGE nella valutazione del rischio

Valutazione del rischio e gestione della violenza da parte del partner nell’UE

Gli agenti di polizia svolgono un ruolo di primo piano nella riduzione della violenza contro le donne da parte di un partner intimo. Spesso sono le prime autorità a cui le vittime si rivolgono per protezione, soprattutto nei paesi in cui ci si fida della polizia.

La valutazione del rischio e le strategie di gestione del rischio sono due passaggi fondamentali che garantiscono l’immediata sicurezza delle vittime e prevengono ulteriori violenze.

Le linee guida e le raccomandazioni dell’EIGE offrono un approccio comune a livello di UE alla valutazione e alla gestione del rischio.

Per integrare queste linee guida, l’EIGE ha anche pubblicato questa relazione, che mappa le misure politiche di valutazione del rischio, le disposizioni legali e gli sviluppi della ricerca in tutta l’UE.

Questa ricerca si basa sul precedente lavoro dell’istituto a sostegno degli Stati membri nel rafforzare le loro risposte alla violenza da parte del partner.

 

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Fonte: eige.europa.eu

Spionaggio e controspionaggio

Jean-Pierre Alem – (Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1984)

Il volume, pubblicato in lingua originale in Francia nel 1980 e apparso nella traduzione italiana curata dalle Edizioni scientifiche Italiane, nel 1984, è una piccola storia dello spionaggio e del controspionaggio dall’antichità ai nostri giorni.

L’autore, che cela la propria identità sotto lo pseudonimo di Jean Pierre Alem, dopo aver tracciato un brevissimo excursus storico dell’azione segreta, ricorda come lo spionaggio “non trasforma radicalmente il corso della storia, ma accade che cambi profondamente le vicende“.

Alem analizza tre fasi dell’attività spionistica: l’acquisizione, la trasmissione e la protezione delle informazioni e, rivolgendo la sua attenzione alla figura degli “agenti”, esamina alcune motivazioni che spesso sono alla base di una scelta professionale a volte così “ingrata”, e cioè il denaro, il patriottismo, talora il desiderio di avventura, la costrizione, procedimento spesso comodo, usato frequentemente dai Servizi Segreti comunisti.

L’autore del volumetto, rivelati i sistemi del reclutamento e dell’istruzione, si sofferma sulle intercettazioni, fonte ricchissima di informazioni e sui mezzi tecnologici più sofisticati utilizzati a tale scopo.

Alem ritiene tuttavia che l’impiego di metodi e materiali sempre più elaborati, pur fornendo ai Servizi di Informazione possibilità sempre più vaste, dimostri che essi “prolungano e affinano l’azione degli agenti ma non la escludono”.

L’autore descrive poi i mezzi di comunicazione usati dall’agente per contattare il suo ufficiale di collegamento per passare alla illustrazione delle protezioni delle informazioni segrete e cioè delle articolate misure di sicurezza applicate per difenderle.Un capitolo è dedicato al controspionaggio e ai suoi compiti: la controingerenza e l’intossicazione, con particolare riguardo alla figura degli agenti doppi.

Il volumetto si conclude con una brevissima rassegna dei servizi segreti occidentali (Francia, Stati Uniti, Inghilterra, Germania federale, Italia, Israele), di quelli speciali del blocco sovietico e di quelli speciali arabi (Egitto, altri Paesi del Vicino Oriente arabo e l’organizzazione per la Liberazione della Palestina).Il libro, di scorrevole lettura, nato, come afferma l’Autore nella conclusione, dal tentativo “di demistificare un’attività e di esorcizzare una parola”, consente una rapida incursione nel mondo dei servizi e costituisce uno strumento utile per conoscerne le tecniche dall’interno, sia pur in maniera non approfondita.

Presumibilmente poco attuale la parte dedicata alla tecnologia, in considerazione del fatto che il libro è stato pubblicato nel 1980.

Fonte: AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA gnosis.aisi.gov.it

Foto: spiare.com

Quanto è influente l’analisi d’intelligence?

metodi analitici e la performance dei suoi analisti, per quanto difficile da misurare e non esente da gravi errori, è verosimilmente tra le migliori al mondo[2]. Di conseguenza l’influenza dell’intelligence stessa dovrebbe essere maggiore negli Stati Uniti che non in Paesi senza una comparabile tradizione analitica[3].

Se possiamo dimostrare che anche negli Stati Uniti l’influenza dell’intelligence è scarsa, avremo dimostrato la nostra tesi su un caso meno probabile, e potremmo dunque presumere che la tesi si applichi anche a casi più facili.

Tuttavia, l’analisi empirica di questo caso più difficile non è sempre convincente. Ad esempio, qualsiasi decisore politico che ha rigettato un’analisi pessimistica dell’intelligence poi rivelatasi corretta avrà interesse a dire che l’analisi era stata considerata, ma che nulla si poteva fare per prevenire l’esito negativo. Così hanno fatto le Amministrazioni di Bush padre e figlio riguardo rispettivamente all’implosione della Jugoslavia e alle conseguenze della guerra in Iraq. Marrin prende le loro giustificazioni per buone e le utilizza a sostegno della sua tesi, sia pur tradendo qualche incertezza. Tuttavia, una disamina più accurata avrebbe mostrato che, almeno nel caso della guerra in Iraq, la pianificazione per il post-invasione fu superficiale ed eccessivamente intrisa di ottimismo e che chi, all’interno della CIA, mise in guardia dalle conseguenze dell’invasione, fu duramente e pubblicamente criticato[4].

In altre parole, le spiegazioni tradizionali basate sulle convenienze politiche e sui difetti cognitivi appaiono più forti di quanto Marrin non le faccia sembrare, anche nei casi da lui esaminati.Infine, gli argomenti di Marrin concedono troppo alle capacità analitiche dei decisori politici. Senz’altro alcuni di essi saranno più esperti e magari anche più capaci degli analisti. Difficilmente un analista della CIA appena uscito dal college avrebbe molto da insegnare ad un Henry Kissinger. Non c’è dubbio poi che occasionalmente le previsioni dei decisori politici si riveleranno più accurate, ma lo stesso può dirsi di previsioni del tutto casuali, come quelle di una scimmia armata di freccette. Eppure è difficile sostenere che, in media, i decisori politici produrranno analisi migliori degli analisti. Hanno meno tempo a disposizione, spesso non hanno una preparazione adeguata e, per via dei loro interessi politici e dei loro difetti cognitivi, tenderanno a raggiungere conclusioni convenienti che altro non fanno che ripetere quanto vogliono sentirsi dire. Nei Paesi autoritari, dove raramente esiste un’analisi indipendente e neutrale, i decisori politici manipolano regolarmente i risultati dell’analisi stessa, con risultati spesso disastrosi[5].

Nonostante questi limiti, l’articolo di Marrin merita di essere letto da un pubblico più ampio dei soli specialisti accademici. Ancora non abbiamo una spiegazione completa e convincente del perché e del quando l’analisi sarà più o meno influente sul processo decisionale, ma Marrin ci mette in guardia dall’avere aspettative troppo elevate al riguardo. L’analisi non è monopolio degli analisti, e cercare di conquistare questo monopolio è una battaglia persa in partenza. Invece, gli analisti devono capire dove e quando possono arricchire la capacità di analisi dei decisori politici. Solo così potranno trovare il giusto equilibrio tra influenza da un lato ed obbietività dall’altro.

[1] Dieci giorni prima del briefing di Carver, Johnson aveva invocato pubblicamente «uno sforzo nazionale totale per vincere la guerra.» Vedi C. Andrew, For the President’s Eyes Only. Secret Intelligence and the American Presidency from Washington to Bush, Harper Perennial, New York (NY) 1995, pp. 344-346.[2] Si vedano, ad esempio, R. Kerr, The Track Record: CIA Analysis from 1950 to 2000 in Analyzing Intelligence: Origins, Obstacles and Innovations, a cura di R. George e J. Bruce, Georgetown University Press, Washington, DC, 2008, pp.35-54 e M. Lowenthal, e R. Marks, Intelligence Analysis: Is It As Good As It Gets?, in «International Journal of Intelligence and Counterintelligence», Vol. 28, pp. 662-665, 2015.[3] Sulla scarsissima influenza dell’analisi d’intelligence sovietica, si veda R. Garthoff, Soviet Leaders and Intelligence, Georgetown University Press, Washington, DC, 2015.[4] Vedi P. Pillar, Intelligence, Policy and the War in Iraq, in «Foreign Affairs», marzo-aprile 2016, https://www.foreignaffairs.com/articles/iraq/2006-03-01/intelligence-policy-and-war-iraq e, tra le tante critiche, The CIA’s Insurgency, in «The Wall Street Journal», 29 settembre 2004, https://www.wsj.com/articles/SB109641497779730745, e Stephen Hayes, Paul Pillar Speaks, Again. The latest CIA attack on the Bush Administration is nothing new, in «The Weekly Standard», 10 febbraio 2006, http://www.weeklystandard.com/paul-pillar-speaks-again/article/7897.[5] Vedi C. Andrew, Intelligence, International Relations and ‘Under-theorisation’, in «Intelligence and National Security», Vol. 19, No. 2, 2004, pp. 170-184, specie pp. 177-179; K. Pollack, Arabs at War. Military Effectiveness, 1948-1991, University of Nebraska Press, Lincoln (NE) and London, 2002, pp. 561-563; U. Bar Joseph, The Politicization of Intelligence: A Comparative Study, in «International Journal of Intelligence and Counterintelligence», Vol. 26, No. 2, 2013, pp. 347-369 p. 348 e Garthoff, Soviet Leaders and Intelligence, pp. 12 e 85.

M. Faini Fonte: sicurezzanazionale.gov.it

Sinone. La spia ‘dietro’ al cavallo di Troia

La storia del cavallo di Troia è indubbiamente una delle prime spy-story conosciute. Meno conosciuto è, invece, il nome della spia che mise in piedi l’inganno: Sinone.Sinone è l’antesignano della spia di guerra, il protagonista di un capolavoro di spionaggio divenuto un modello. Mettendo sé stesso al centro di un finto complotto, che sarebbe stato ordito contro di lui dai suoi stessi compagni, riesce astutamente a farsi accogliere dai nemici. Recitando la parte del falso disertore e inventando una storia con fatti e persone reali, riesce ad accreditarsi come attendibile nonostante i passaggi poco logici del suo discorso, oscillanti tra incertezze e ambiguità, e distogliendo continuamente l’attenzione dei personaggi coinvolti dal vero focus della vicenda.

Del suo operato Virgilio fornisce una descrizione nel secondo libro dell’Eneide, dove fa narrare a Enea le ultime ore della città di Troia. Siamo nel XII secolo A.C. circa e sono passati dieci anni ormai dall’inizio della guerra e i greci non riescono a espugnare la città. Fingono di ritirarsi con le navi, ma in realtà si nascondono dietro un’isola, di fronte alla piana di Troia. Hanno lasciato dietro di loro un enorme cavallo di legno con all’interno, nascosti, alcuni valorosi guerrieri. I troiani scorgono l’artefatto e sono indecisi su cosa farne. Tra la folla spunta Laocoonte il quale, nel tentativo di dissuadere la sua gente dall’accettare il cavallo, pronuncia una frase divenuta poi proverbiale anche nel mondo dell’intelligence: «timeo Danaos et dona ferentes», letteralmente «temo i greci anche quando portano doni». In parole più semplici, non fidarti mai dei nemici, anche quando appaiono benevoli.

L’ingresso della spia nella vicenda e il pathos narrativo

È a questo punto che compare sulla scena Sinone. Egli si è fatto catturare da alcuni pastori e, con le mani ancora legate dietro la schiena, lascia che la folla lo insulti, indossando subito i panni della vittima. Si finge perseguitato dai compagni greci per essere rimasto fedele al suo padrone Palamede, falsamente descritto come contrario alla guerra contro Troia. Ulisse, saputa di questa sua fedeltà, gli avrebbe teso un inganno. Avrebbe imposto all’indovino di fare il nome di Sinone come vittima sacrificale di un rito che avrebbe dovuto placare i venti per consentire il rientro in patria alle navi greche in ritirata.

Facendo leva sul desiderio di pace dei troiani, Sinone riesce ad attirare la loro simpatia con un commovente racconto accompagnato da finte lacrime. Abbassata la guardia, e così disarmati, i troiani placano il loro rancore nei confronti del greco. Egli si presenta come vittima di un’ingiustizia, uno sventurato che il destino ha reso sì infelice, ma fedele e mai disonesto o bugiardo. Non appare come un vigliacco traditore in fuga, una condizione che avrebbe potuto insospettire i suoi interlocutori. I troiani, infatti, hanno ben conosciuto la sciagura durante i dieci anni di assedio e, per questo, sono disposti a comprendere quella altrui. Il racconto di Sinone si colora della disperazione per la vendetta che i suoi infidi compagni greci, una volta ritornati in patria, avrebbero perpetrato nei confronti dei suoi familiari. Riesce quindi a far apparire la sua uccisione come gradita ai greci accomunando, così, il suo destino a quello degli stessi troiani. Ed è a questo punto che chiede accoglienza presso Troia.Virgilio, dimostra di essere un fine conoscitore di tecniche di interrogatorio e così, lì dove sarebbe rischioso aggiungere particolari nel discorso, sorvola. Ad esempio quando Sinone racconta la notte passata all’addiaccio dopo il ritiro dei greci, non chiarisce perché la partenza sia avvenuta comunque senza il previsto sacrificio umano, ma cambia rapidamente argomento. In altri casi fa interrompere la narrazione di Sinone con una supplica per distrarre l’attenzione da una narrazione poco lineare. Oppure, nonostante il maestoso cavallo di legno sia costantemente presente sulla scena, nella narrazione viene nominato solo di sfuggita allontanando, così, il sospetto che la finta cattura possa essere simulata al solo scopo di introdurre il cavallo nella città.Il capolavoro della deception.

La narrazione del cavallo di Troia nelle parole di Sinone

La preghiera finale di Sinone per aver salva la vita viene quindi accolta e in cambio gli viene chiesto di spiegare il significato di quel cavallo. Sinone promette di svelarne il segreto e, per aumentarne l’importanza, impegna i troiani a mantenere la promessa di accoglierlo tra le mura della loro città. Inizia così un altro capolavoro di arguzia e sottigliezza. Nelle parole di Sinone, il cavallo sarebbe stato costruito per rimediare al furto del Palladio, una statua posta sulla rocca di Troia a protezione della città. Con una dovizia di particolari non verificabili, Sinone racconta delle sventure che questa ruberia avrebbe portato nell’accampamento greco facendo, così, presagire la sconfitta in guerra. Il cavallo, quindi, è stato costruito per rimediare al sacrilegio compiuto e alle nefaste conseguenze. E aggiunge un particolare. Sarebbe stato appositamente costruito più alto delle porte di accesso a Troia per evitare che i troiani possano introdurlo nella città, guadagnandosene i favori. I ‘poteri’ del cavallo, infatti, avrebbero permesso loro di muovere guerra ai greci oramai in fuga.

I troiani ispirati dall’abile discorso di Sinone, accecati dalla voglia di rivalsa che questi era riuscito a suscitare, decidono di aprire una breccia nella cinta delle mura della città e introdurvi il cavallo. Il piano è poi noto. Col favore della notte, Sinone, dopo aver ricevuto il segnale luminoso dalle navi greche, apre il ventre del cavallo e libera i compagni che spalancano le porte all’esercito greco che metterà a ferro e fuoco la città.

Sinone, cugino e amico di infanzia di Ulisse, seguirà quest’ultimo nel suo viaggio di ritorno morendo però nel porto di Messina, prima di poter giungere a Itaca. Le sue capacità di inganno e manipolazione, tanto celebrate dai suoi compatrioti, convinceranno Dante Alighieri a ‘condannarlo’ all’inferno tra i falsificatori di persona, attribuendo le sue doti alla malizia e alla genialità fraudolenta. Il ‘triste’ destino di una spia

Fonte: sicurezzanazionale.gov.it