CAFISC-EJ Cafisc Il vittimista e il suo imporre il senso di colpa

Il vittimista e il suo imporre il senso di colpa

Tutti, talvolta, viviamo un po’ in modalità «mai una gioia», con l’impressione che nella nostra vita le cose vadano sempre per il verso sbagliato, tuttavia si tratta di stati passeggeri. Il più delle volte riusciamo a stare bene con noi stessi, assumerci le nostre responsabilità e a trarre il meglio dalle circostanze della vita. Non va affatto così per le persone che riversano costantemente le proprie responsabilità sugli altri. «La sola persona che non può essere aiutata è la persona che getta la colpa sugli altri» – Carl Rogers. Diciamocelo francamente, per alcune persone incolpare gli altri o il fato, è una modalità pervasiva utilizzata in più occasioni quotidiane per allontanare da sé le responsabilità e ottenere attenzioni.

Quali sono le caratteristiche di queste persone?
In psicologia si parla di deresponsabilizzazione, sindrome del deresponsabilizzato o vittimismo patologico. In questo articolo, metterò da parte la teoria per vedere, in termini pratici, quali sono le dinamiche più comuni e le frasi che fanno emergere questa triste tendenza. Alla base della deresponsabilizzazione c’è un forte senso di impotenza e un’indomabile attitudine a colpevolizzare l’altro per scaricare frustrazione e rabbia. Quali sono le caratteristiche del vittimista?

Crede fermamente che tutto ciò che accada sia colpa degli altri.
Tendono a interpretare qualsiasi evento (o tua azione) in termini negativi, senza mai tentare di assumere un’altra prospettiva.
Si appigliano a ogni dettaglio per accusare e condannare l’altro.
Si lamentano senza però tentare qualsiasi strategia risolutiva, senza provare a cambiare la situazione.
Sono indulgenti con se stessi e severi con gli altri. Per esempio, un proprio errore è frutto di circostanze sfavorevoli, un errore commesso da altri è frutto di incapacità o malafede.
Si sentono incompresi, nonostante la tua empatia.
I suoi problemi sono sempre più grandi di quelli degli altri (compresi i tuoi).
Analogamente, i suoi bisogni sono sempre più importanti di quelli degli altri (compresi i tuoi).
Hanno bisogno di molte attenzioni perché riferiscono livelli di sofferenza elevati.
Usano una comunicazione drammatica, affliggente.
Hanno sempre troppe cose da fare, sono costantemente sopraffatti.
Il vittimista miete molte vere vittime. Il motivo? Deve trovare il suo capro espiatorio, il soggetto che dovrà assumersi la responsabilità di tutte le sue insoddisfazioni. Solitamente capro designato è una persona affettivamente vicina come il partner o un amico malcapitato. Ci sono poi anche vittime collaterali, più occasionali. Qualsiasi persona che tenterà di correre in suo aiuto finirà per sentirsi attaccato e incolpato di non essere in grado di capire o aiutare. Questi soccorritori finiscono per sviluppare sentimenti di inadeguatezza e di colpa, possono sentirsi ferite e, a lungo andare, vedere la propria autostima declinarsi inesorabilmente. Qualsiasi cosa facciano per essere di supporto, è sempre e comunque sbagliata.

Frasi tipiche di chi riversa sempre la colpa sugli altri
Chi scarica sempre le proprie responsabilità sull’altro sente l’esigenza di giudicare l’altro per primo, per non essere giudicato. Vede il male negli altri per non dover fare i conti con il proprio, amplifica le mancanze altrui e minimizza le sue. Delegittima sentimenti e azioni altrui, mentre ciò che sente e fa lui/lei è sempre dovuto. Nel delegittimare l’altro, il vittimista si limita a mettere i suoi sentimenti su un piano di superiorità o fare l’offeso quando gli si fa notare una verità indiscutibile.

«Tu non puoi capire, non sai cosa sto passando!»
«Allora credi che io stia mentendo? È questo che pensi di me? Che sono un bugiardo?!»
«Mi aggredisci, calmati un po’» quando in realtà sono loro ad aggredire ed essere alterati.
I vittimisti creano confusione, sono capaci di rimangiarsi la parola mille volte e ritrattare pur di non ammettere un proprio errore. Nelle conversazioni con loro, ci vorrebbe un registratore costantemente sul replay perché nello stesso discorso, se messi alle strette, sono capaci di dire tutto e il contrario di tutto!

«Non era mia intenzione dire questo, mi hai frainteso!»
«Mi vuoi imporre la tua visione ma non è andata così»
«Ciò non contraddice ciò che ho detto, capisci bene!»
«È inutile discutere con te, distorci sempre tutto»
Sono capaci di calcare la mano per ottenere attenzioni e favori. Il loro calcare la mano si traduce nell’impiego di ricatti affettivi e quindi manipolazione psicologica. Frasi come:

«Io non faccio così quando tu…»
«Con tutto quello che faccio per te..»
«Il minimo che tu possa fare…»
«Va bene così, come sempre dovrò arrangiarmi da solo»
Il suo «va bene» non è come un semplice e autentico va bene, è ricco di rabbia, rancore, e sottende una velata minaccia: tu fai pure così, io me lo ricorderò e te la farò scontare. Non sanno chiedere scusa, anche quando sono palesemente in torto, le loro scuse somigliano più a giustificazioni atte a scaricare la colpa del loro comportamento sulle circostanze. Oppure, colpevolizzano te per esserti ferito!

«Questo periodo è molto difficile, sono molto stressato…»
«Per te non ne faccio mai una giusta! Hai sempre da ridire…» (e questo è paradossale!)
«Con tutte le preoccupazioni che ho, ovvio che l’ho dimenticato»
Cosa fare?
Che tu sia un vittimista o una sua vittima, hai bisogno di comprendere una cosa. Per quanto dura possa sembrare, sei tu l’unico artefice della tua felicità. Non puoi affidare agli altri il compiuto di accudirti, rassicurarti e risolverti la vita (facendosi carico dei tuoi conflitti interiori), ciò significa implicitamente che non puoi assumere il gravoso compito di salvare l’altro.

Se credi di essere vittima di un vittimista, hai bisogno di comprendere che si tratta di una persona che assume questo ruolo a prescindere da tuo operato. È importante che tu capisca questo passaggio per non cadere nella trappola dei sensi di colpa e dei ricatti affettivi. L’unica cosa che puoi fare è porre dei limiti invalicabili, lavorare su te stesso per comprendere cosa c’è alla base di questa tua tendenza all’eccessivo accudimento. Chi, da bambino, si è dovuto fare carico delle responsabilità genitoriali (inversione dei ruoli, il figlio che finisce per accudire un genitore fragile, una dura forma di adultizzazione infantile tipica dei bambini che maturano troppo in fretta, bruciando le tappe), può facilmente legare con persone così.

Spesso, nella storia del vittimista possono emergere vissuti di violenza fisica, abusi psicologici o ambienti familiari estremamente trascuranti. Il vittimismo diviene l’espressione di un apprendimento che recita a gran voce: nessuno potrà mai aiutarmi. Queste persone, infatti, non sono mai state aiutate veramente da qualcuno, non hanno mai conosciuto la genuina disponibilità genitoriale. Anche se la loro infanzia ha una facciata di felicità e provano nostalgia, nella realtà dei fatti sono cresciuti in un ambiente ambivalente e pericoloso.

Impara a esprimere i tuoi bisogni
Gli adulti di riferimento erano abusanti, ambigui e inaffidabili. Crescendo in questo ambiente, il vittimista ha sviluppato la convinzione che nessuno possa o voglia davvero aiutarlo e che tutti, in fondo, se ne freghino. Crescendo in un ambiente così, quel bambino non ha mai imparato a esprimere in modo diretto i suoi bisogni e quindi ha imparato a manifestarli in modo indiretto ed esasperato nel disperato tentativo di farsi ascoltare. In un certo senso, è ciò che fai anche oggi: nel tentativo disperato di farti notare e accudire, esasperi e abbracci ogni disavventura. Hai molta rabbia dentro di te, per ciò che ti è stato negato da bambino. Un percorso introspettivo di consentirà di risolvere il tuo passato.

Frasi tipiche di chi vuole riversare le colpe su di te
Fonte: A.De Simone , Psicologia Sociale

L’IDENTIKIT DEL VITTIMISTA PATOLOGICO

Nota anche come Sindrome di Calimero, quella del vittimista patologico è una modalità immatura di vivere la relazione e di affrontare la realtà, che si innesca quando il soggetto percepisce come non paritario il confronto con l’altro e quindi ricorre ad una “stampella” per reggere il confronto. Il vittimista patologico non si presenta mai come tale, bensì come vittima. Ma attenzione, esiste una differenza sostanziale tra una vittima e un vittimista: entrambi possono aver subìto disgrazie o ingiustizie più o meno gravi, ma il modo di reagire alle stesse è diametralmente opposto. La vittima può avere consapevolezza dell’ingiustizia che vive e la gestisce con se stessa, il vittimista non è interessato alla risoluzione del suo problema (laddove questo esista realmente) bensì alla sua strumentalizzazione. Questo gli consente di detenere una posizione di potere sull’altro, che alimenta infondendo sensi di colpa, strumentalizzando cose e/o persone che l’altro ha a cuore e toccando i suoi nervi scoperti e le sue parti deboli. E può tenerlo sotto scacco anche per tutta la vita. Il tutto senza applicare coercizione fisica, ma tessendo una invisibile tela che la vittima non percepisce immediatamente, ma solo quando sente di non potersene più liberare. Questa tipologia di autori di violenza può tranquillamente definirsi manipolatrice ed ha alcuni aspetti in comune col narcisista patologico.

QUAL É L’INTENTO DEL VITTIMISTA PATOLOGICO?

La messa in atto di comportamenti subdoli, finalizzati a non farsi scoprire e quindi a non rendersi attaccabili, ha il preciso intento di tenere in pugno le persone che manipolano (senza dargli la reale percezione che questo stia avvenendo) al fine di piegarle al proprio “progetto”. Diventano così tiranni relazionali perchè, facendo leva sul compatimento o sul senso di colpa dell’interlocutore, gli viene facile ottenere ciò che desiderano. Inoltre, il vittimista patologico vive ed alimenta condizioni di sofferenza fino a farle diventare il proprio habitat naturale, una barriera difensiva patologica senza la quale non sarebbe più in grado di andare avanti: generando senso di colpa e compatimento nell’altro e strumentalizzando problemi reali o fantasmagorici, attira verso di sè tutta l’attenzione. Non è un caso che, quasi sempre, la controparte sia una persona fortemente empatica. E non è un caso nemmeno il fatto che, nel momento in cui la vittima cerca di divincolarsi dai tentacoli di quella piovra, questa – nel terrore di vedere sgretolare quel malsano equilibrio sul quale ha costruito la sua intera esistenza – diventa aggressiva oltremodo e oltre ogni misura. Ed ecco il motivo per cui, in dinamiche di questo tipo, il primo nemico che la vittima deve combattere è se stessa, se non vuole consentire o prolungare la presenza di parassiti che si cibano della sua vita per sopravvivere. Come il parassitismo è una forma di simbiosi in cui il parassita trae vantaggio a danno dell’ospite, allo stesso modo la relazione tossica è una forma di simbiosi in cui l’autore di violenza psicologica trae vantaggio a spese di chi la subisce. Perché il parassita sopravvive là dove l’organismo che lo ospita è disposto a morire

Identikit del vittimista patologico: una bestia silente. Fonte:scirokko.it

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