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Germania – L’Organizzazione Centrale dell’Intelligence

Il sistema informativo tedesco

Si avvale di tre principali Servizi:- BND (Bundesnachrichtendienst – Servizio Federale di Informazione);- B.F.V. (Bundesamt fuer Verfassungsschutz – Ufficio Federale per la tutela della Costituzione);- M.A.D. (Militaerischer Abschirmdienst – Servizio di controspionaggio Militare).

Il Servizio informativo BND – Servizio Federale di Informazione (scheda n. 2) risulta composto sia da personale civile che militare con inquadramento e stato giuridico diversi.Il personale può essere impiegato temporaneamente o permanentemente.La struttura interna del BND è stata recentemente organizzata in modo da tener conto della nuove priorità operative individuate a livello politico, quali:- la non proliferazione (diffusione di armamenti),- traffico di stupefacenti,- riciclaggio e falsificazione di denaro,- terrorismo,- fondamentalismo islamico,- eventuale impiego delle forze armate tedesche all’estero. Per ciò che riguarda la criminalità organizzata e le misure di contrasto ad essa connesse, il Servizio può svolgere attività informativa solo quando siano minacciate apertamente la sicurezza e le relazioni esterne.

Al Servizio compete il controllo strategico che, come avviene in altri Paesi, viene sviluppato anche attraverso il globale controllo del sistema di telecomunicazioni.Il Servizio dispone di una Scuola di Addestramento.Specifiche funzioni di controspionaggio vengono svolte dal M.A.D. – Servizio di Controspionaggio Militare (scheda n. 3).

Il Servizio interno B.F.V. – Ufficio Federale per la Tutela della Costituzione (scheda n. 4) riveste rilievo costituzionale. In relazione alla connotazione federale dello Stato, esso è decentrato in uffici ubicati nei vari Laender che sono completamente autonomi gli uni dagli altri, hanno compiti identici e non possono ricevere ordini dall’istanza centrale che ha solo poteri di coordinamento e di gestione della banca dati comune.

La legge e poi lo statuto interno del Servizio disciplinano l’uso dei mezzi d’intelligence.

Al Servizio interno competono anche compiti di controspionaggio in territorio federale, nonché indagini sotto copertura.

Come già riferito è consentito l’uso dell’agente provocatore i cui limiti di attività sono discussi ma che certamente non può partecipare alla commissione di reati contro le persone.Gli agenti del Servizio, nello svolgimento delle loro mansioni, non agiscono di concerto e in collaborazione con la Polizia, pur mantenendo con essa buoni rapporti.Il Servizio sviluppa una politica di apertura nei confronti dell’opinione pubblica attraverso specifiche pubblicazioni sulla propria organizzazione ed attività e elabora in tal senso anche un rapporto annuale, ampiamente diffuso.

Il bilancio dei Servizi è indipendente e segreto e sottoposto al controllo di una sottocommissione del Parlamento. Per ciò che concerne il profilo legale, negli ultimi anni si è reso necessario l’intervento nella produzione normativa per disciplinare aspetti di attività dei Servizi. Così è stato fatto nella più recente legge (20 dicembre 1990) che si è anche occupata di disciplinare le attività non convenzionali.

L’ordinamento tedesco consente inoltre l’uso dell’agente provocatore sia per i Servizi di informazione che per la Polizia, ma rimane un problema aperto lo stabilire quale sia il limite che la provocazione incontra per non essere punibile.Specificamente per le intercettazioni telefoniche o postali (non è prevista la forma dell’intercettazione ambientale) i Servizi devono rivolgere al Ministro una richiesta motivata nel dettaglio, illustrando il caso specifico.Deve comunque trattarsi di questioni importanti e delicate, quali ipotesi di attentato alla Costituzione, di associazione terroristica e di altri reati tassativamente indicati nella legge.Sovrintende al controllo parlamentare su questa attività dei Servizi, una Commissione definita G10, composta dal Presidente (che deve essere uno stimato giurista), e da 2 membri scelti dal Parlamento ma non di estrazione parlamentare, che si avvale di una dettagliata procedura autorizzatoria (scheda n. 5).

La Commissione risiede in Parlamento e si riunisce una volta al mese.Nei casi urgenti il Ministro dell’Interno può decidere che le modalità richieste per una operazione possano essere adottate prima che si riunisca la Commissione, che deve comunque essere informata e, nel caso si pronunci negativamente, ha il potere di sospendere il provvedimento adottato. Ogni autorizzazione dura tre mesi alla scadenza dei quali, in caso di necessità, l’intera procedura deve essere rinnovata.In media ogni anno la Commissione esamina circa cento richieste. Le informazioni acquisite attraverso questa procedura possono essere utilizzate come prove processuali solo nel caso che ne venga rivelata la fonte.Il sistema di controllo sui Servizi è assai articolato.I controlli previsti sono i seguenti (scheda n. 6):- amministrativo, da parte del Sottosegretario presso la Cancelleria Federale, con le funzioni di coordinamento dei Servizi;- parlamentare, da parte della Commissione di controllo Parlamentare e della sottocommissione di controllo sul budget dei Servizi, e della Commissione e Comitato G10;- sui dati e la privacy, da parte dell’Incaricato federale per la Tutela dei Dati.

Fonte AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA GNOSISRivista

foto ilprimatonazionale

Espion – Une anthropologie historique du secret d’Etat contemporain

Alain Dewerpe – (Edizioni Gallimard, Parigi 1994)

L’opera costituisce un pregevole studio monografico dedicato alla figura della spia, cui l’Autore si compiace letterariamente di dare una configurazione filosofico-letteraria di tipo antropologico. Il risultato della colta indagine, che procede strettamente congiunta a un discorso storico-politico, è di indubbio interesse e fascino, come del resto il percorso intero seguito dall’Autore, che mostra di sapersi muovere con grande disinvoltura in un mondo spesso intessuto di prassi come quello dello spionaggio.

La scrittura fa ricorso ad un linguaggio raffinato, forse di non sempre facile lettura, la narrazione è corredata da una serie numerosissima di citazioni, il ricchissimo apparato bibliografico-documentario, certamente frutto di un lavoro capillare e puntiglioso, costituisce un ulteriore, pregevole merito di questo saggio che si rivolge forse più allo specialista che ad un largo pubblico che si muoverebbe con difficoltà tra le pagine del libro.

La lettura offre un intersecarsi continuo di riflessioni sulla figura della spia, il suo mestiere, i suoi rapporti con la morale pubblica e privata e indubbiamente l’affascinante viaggio alla scoperta di questo particolare universo costituisce ricco ed utile materiale di discussione e studio.

Organizzato sistematicamente in una introduzione dal titolo significativo “Il grande gioco” e in quattro grandi sezioni “Arcana Imperii”, “L’équipe mystérieuse”, “La lumière de l’occulte”, “L’homme clandestin”, a loro volta suddivise in capitoli, il lavoro si snoda attraverso un intrecciarsi progressivo di definizioni, riflessioni, citazioni sempre stimolanti e lucide anche se difficilmente riassumibili.

Nell’itinerario percorso dall’autore la ricerca storica si coniuga all’indagine antropologica e il libro si rivela quindi come un contributo importante e ricco di stimoli per una rivisitazione del mondo dello spionaggio e dei problemi innumerevoli ad esso legati, esplorati con attenzione ed efficacia e combinati in modo intelligente e nuovo.

Fonte: gnosis.aisi.gov.it

Legami tra cartografia e l’intelligence

Fitti legami intrecciano la cartografia con l’intelligence.

Non è un caso, infatti, che l’ulissidea vocazione dell’uomo a sondare e superare i confini della conoscenza abbia animato gli esploratori di mare e di terra al pari degli agenti segreti. Essi si ritrovano in una narrazione avventurosa che ancora oggi, in termini diversi ma non meno affascinanti, li pone ai confini delle colonne d’Ercole della conoscenza.

Dopo il tradizionale appuntamento con Sergio Romano, che offre spunti di riflessione su fattori competitivi e criticità legate alla leadership americana, da cui dipende il riposizionamento delle grandi potenze sullo scacchiere del mondo, Michele Castelnovi presenta il profilo cinquecentesco di Giovanni da Verrazzano in cui si colgono i segni dell’ibridazione tra scienza e spionaggio, sia statuale che lobbistico-finanziario, come dimostrano le eresie cartografiche funzionali a partigiane posizioni politiche. È un’intelligence pronta a cogliere le sfide della modernità – in una visione olistica del controllo geografico, geopolitico e sociale – quella che Alessandro Guerra rievoca ricordando, con la voce di Carlo Ginzburg, la necessaria vocazione predatoria umana a «fiutare, interpretare, classificare tracce infinitesimali come fili di bava».

L’emancipazione dello statuto della spia al servizio di un’idea di Stato, indotta dalla rivoluzione francese, ha profondamente mutato modelli e fini informativi dell’epoca e non averne compreso l’impatto internazionale più che interno – secondo il saggio di Federico Moro – è uno dei motivi del definitivo crollo della Serenissima a fine Settecento.

Nell’accelerazione della storia, la cartografia diventa spazio privilegiato di studio e di confronto politico e molti, che a essa si dedicano, svolgono un ruolo significativo anche sul piano informativo; esemplari i casi dell’apertura del Giappone all’Occidente, nella seconda metà dell’Ottocento (Philip Roudanovski) e del Grande Gioco nell’Asia centrale, in cui il confronto anglo-russo fa emergere l’ambiguo intrico di fervore scientifico, spirito d’avventura, spionaggio e patriottismo (Dario Citati). Non è un caso che anche i manuali di istruzione scientifica per i viaggiatori a cavallo del XX secolo – tra cui spiccano autori italiani e tedeschi – offrano spunti d’intelligence (Michele Castelnovi) e rappresentino occasioni di approfondimento per la conoscenza dei contesti.

La cartografia diventa sintesi e strumento per fini militari, logistici o politici, come attestano le esperienze scientifiche e irredentiste di Cesare Battisti (Matteo Marconi); le missioni segrete delle “navi civetta” antisommergibile nell’Egeo e nel Canale d’Otranto durante il Primo conflitto mondiale (Claudio Rizza); l’intensa attività in Medio Oriente della “terribile archeologa” Gertrude Bell – creatrice dello Stato iracheno e agente dell’Arab Bureau, istituito al Cairo dall’Intelligence Service – a riprova di come lo spionaggio sia arte comprensiva di molte altre (Marco Ventura).

A seguire, Gianluca Pastori approfondisce il ruolo delle missioni archeologiche e della diplomazia culturale a sostegno dell’attività di spionaggio e di promozione degli interessi italiani in Medio Oriente tra le due guerre; mentre Giacomo Pace Gravina consegna al lettore la memoria dell’archeologo Biagio Pace che, grazie alla sua profonda conoscenza dello spazio greco-anatolico, contribuì allo sbarco italiano ad Adalia nel 1919 e osservò, durante l’occupazione bolscevica della Georgia del 1921, le conseguenze economiche e sociali del regime comunista. Interessanti sono anche i contributi sul versante della storia dell’intelligence. Enrico Silverio, attraverso la biografia di uno dei vertici degli apparati informativi della media età imperiale romana, restituisce inalterata la complessità delle dinamiche di potere e del ruolo degli agenti segreti dell’epoca. Gianluca Falanga dagli archivi della Stasi trae elementi di valutazione sulla vocazione sovietica, durante la Guerra fredda, a destabilizzare un’area all’interno del blocco occidentale, come testimonia il caso del terrorismo secessionista altoatesino.

Paolo Bertinetti passa poi in rassegna la galassia delle detective e spy stories confermando come il clamoroso successo, spesso contingente, veicoli interessi transitori e sovente non corrisponda al valore letterario delle opere. Carlo Bordoni propone quindi la prometeica visione della scienza e della tecnica, sempre più legate da un rapporto ambiguo, concorrente e competitivo, in cui l’attuale primazia della tecnologia sembra il frutto della perdita di valore e d’intermediazione dei poli della conoscenza.

Enrica Simonetti, infine, svela la magia di alcune lingue minori rinvenibili sul territorio nazionale che rivelano di custodirne i valori tradizionali e la natura plurale da preservare. Le consuete rubriche si affidano ai contributi di Roberto Ganganelli per la numismatica sulla necessità, sin dall’antichità, di batter moneta anche durante i periodi di assedio; di Elisa Battistini sull’intreccio tra storia, realtà e rappresentazione cinematografica relativa alla morte di Osama Bin Laden; di Melanton per l’humour sulla sofisticazione semantica dell’agente segreto “Sapiens Sapiens”.

Fonte: AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA gnosis.aisi.gov.it

Quanto è influente l’analisi d’intelligence?

metodi analitici e la performance dei suoi analisti, per quanto difficile da misurare e non esente da gravi errori, è verosimilmente tra le migliori al mondo[2]. Di conseguenza l’influenza dell’intelligence stessa dovrebbe essere maggiore negli Stati Uniti che non in Paesi senza una comparabile tradizione analitica[3].

Se possiamo dimostrare che anche negli Stati Uniti l’influenza dell’intelligence è scarsa, avremo dimostrato la nostra tesi su un caso meno probabile, e potremmo dunque presumere che la tesi si applichi anche a casi più facili.

Tuttavia, l’analisi empirica di questo caso più difficile non è sempre convincente. Ad esempio, qualsiasi decisore politico che ha rigettato un’analisi pessimistica dell’intelligence poi rivelatasi corretta avrà interesse a dire che l’analisi era stata considerata, ma che nulla si poteva fare per prevenire l’esito negativo. Così hanno fatto le Amministrazioni di Bush padre e figlio riguardo rispettivamente all’implosione della Jugoslavia e alle conseguenze della guerra in Iraq. Marrin prende le loro giustificazioni per buone e le utilizza a sostegno della sua tesi, sia pur tradendo qualche incertezza. Tuttavia, una disamina più accurata avrebbe mostrato che, almeno nel caso della guerra in Iraq, la pianificazione per il post-invasione fu superficiale ed eccessivamente intrisa di ottimismo e che chi, all’interno della CIA, mise in guardia dalle conseguenze dell’invasione, fu duramente e pubblicamente criticato[4].

In altre parole, le spiegazioni tradizionali basate sulle convenienze politiche e sui difetti cognitivi appaiono più forti di quanto Marrin non le faccia sembrare, anche nei casi da lui esaminati.Infine, gli argomenti di Marrin concedono troppo alle capacità analitiche dei decisori politici. Senz’altro alcuni di essi saranno più esperti e magari anche più capaci degli analisti. Difficilmente un analista della CIA appena uscito dal college avrebbe molto da insegnare ad un Henry Kissinger. Non c’è dubbio poi che occasionalmente le previsioni dei decisori politici si riveleranno più accurate, ma lo stesso può dirsi di previsioni del tutto casuali, come quelle di una scimmia armata di freccette. Eppure è difficile sostenere che, in media, i decisori politici produrranno analisi migliori degli analisti. Hanno meno tempo a disposizione, spesso non hanno una preparazione adeguata e, per via dei loro interessi politici e dei loro difetti cognitivi, tenderanno a raggiungere conclusioni convenienti che altro non fanno che ripetere quanto vogliono sentirsi dire. Nei Paesi autoritari, dove raramente esiste un’analisi indipendente e neutrale, i decisori politici manipolano regolarmente i risultati dell’analisi stessa, con risultati spesso disastrosi[5].

Nonostante questi limiti, l’articolo di Marrin merita di essere letto da un pubblico più ampio dei soli specialisti accademici. Ancora non abbiamo una spiegazione completa e convincente del perché e del quando l’analisi sarà più o meno influente sul processo decisionale, ma Marrin ci mette in guardia dall’avere aspettative troppo elevate al riguardo. L’analisi non è monopolio degli analisti, e cercare di conquistare questo monopolio è una battaglia persa in partenza. Invece, gli analisti devono capire dove e quando possono arricchire la capacità di analisi dei decisori politici. Solo così potranno trovare il giusto equilibrio tra influenza da un lato ed obbietività dall’altro.

[1] Dieci giorni prima del briefing di Carver, Johnson aveva invocato pubblicamente «uno sforzo nazionale totale per vincere la guerra.» Vedi C. Andrew, For the President’s Eyes Only. Secret Intelligence and the American Presidency from Washington to Bush, Harper Perennial, New York (NY) 1995, pp. 344-346.[2] Si vedano, ad esempio, R. Kerr, The Track Record: CIA Analysis from 1950 to 2000 in Analyzing Intelligence: Origins, Obstacles and Innovations, a cura di R. George e J. Bruce, Georgetown University Press, Washington, DC, 2008, pp.35-54 e M. Lowenthal, e R. Marks, Intelligence Analysis: Is It As Good As It Gets?, in «International Journal of Intelligence and Counterintelligence», Vol. 28, pp. 662-665, 2015.[3] Sulla scarsissima influenza dell’analisi d’intelligence sovietica, si veda R. Garthoff, Soviet Leaders and Intelligence, Georgetown University Press, Washington, DC, 2015.[4] Vedi P. Pillar, Intelligence, Policy and the War in Iraq, in «Foreign Affairs», marzo-aprile 2016, https://www.foreignaffairs.com/articles/iraq/2006-03-01/intelligence-policy-and-war-iraq e, tra le tante critiche, The CIA’s Insurgency, in «The Wall Street Journal», 29 settembre 2004, https://www.wsj.com/articles/SB109641497779730745, e Stephen Hayes, Paul Pillar Speaks, Again. The latest CIA attack on the Bush Administration is nothing new, in «The Weekly Standard», 10 febbraio 2006, http://www.weeklystandard.com/paul-pillar-speaks-again/article/7897.[5] Vedi C. Andrew, Intelligence, International Relations and ‘Under-theorisation’, in «Intelligence and National Security», Vol. 19, No. 2, 2004, pp. 170-184, specie pp. 177-179; K. Pollack, Arabs at War. Military Effectiveness, 1948-1991, University of Nebraska Press, Lincoln (NE) and London, 2002, pp. 561-563; U. Bar Joseph, The Politicization of Intelligence: A Comparative Study, in «International Journal of Intelligence and Counterintelligence», Vol. 26, No. 2, 2013, pp. 347-369 p. 348 e Garthoff, Soviet Leaders and Intelligence, pp. 12 e 85.

M. Faini Fonte: sicurezzanazionale.gov.it

Sinone. La spia ‘dietro’ al cavallo di Troia

La storia del cavallo di Troia è indubbiamente una delle prime spy-story conosciute. Meno conosciuto è, invece, il nome della spia che mise in piedi l’inganno: Sinone.Sinone è l’antesignano della spia di guerra, il protagonista di un capolavoro di spionaggio divenuto un modello. Mettendo sé stesso al centro di un finto complotto, che sarebbe stato ordito contro di lui dai suoi stessi compagni, riesce astutamente a farsi accogliere dai nemici. Recitando la parte del falso disertore e inventando una storia con fatti e persone reali, riesce ad accreditarsi come attendibile nonostante i passaggi poco logici del suo discorso, oscillanti tra incertezze e ambiguità, e distogliendo continuamente l’attenzione dei personaggi coinvolti dal vero focus della vicenda.

Del suo operato Virgilio fornisce una descrizione nel secondo libro dell’Eneide, dove fa narrare a Enea le ultime ore della città di Troia. Siamo nel XII secolo A.C. circa e sono passati dieci anni ormai dall’inizio della guerra e i greci non riescono a espugnare la città. Fingono di ritirarsi con le navi, ma in realtà si nascondono dietro un’isola, di fronte alla piana di Troia. Hanno lasciato dietro di loro un enorme cavallo di legno con all’interno, nascosti, alcuni valorosi guerrieri. I troiani scorgono l’artefatto e sono indecisi su cosa farne. Tra la folla spunta Laocoonte il quale, nel tentativo di dissuadere la sua gente dall’accettare il cavallo, pronuncia una frase divenuta poi proverbiale anche nel mondo dell’intelligence: «timeo Danaos et dona ferentes», letteralmente «temo i greci anche quando portano doni». In parole più semplici, non fidarti mai dei nemici, anche quando appaiono benevoli.

L’ingresso della spia nella vicenda e il pathos narrativo

È a questo punto che compare sulla scena Sinone. Egli si è fatto catturare da alcuni pastori e, con le mani ancora legate dietro la schiena, lascia che la folla lo insulti, indossando subito i panni della vittima. Si finge perseguitato dai compagni greci per essere rimasto fedele al suo padrone Palamede, falsamente descritto come contrario alla guerra contro Troia. Ulisse, saputa di questa sua fedeltà, gli avrebbe teso un inganno. Avrebbe imposto all’indovino di fare il nome di Sinone come vittima sacrificale di un rito che avrebbe dovuto placare i venti per consentire il rientro in patria alle navi greche in ritirata.

Facendo leva sul desiderio di pace dei troiani, Sinone riesce ad attirare la loro simpatia con un commovente racconto accompagnato da finte lacrime. Abbassata la guardia, e così disarmati, i troiani placano il loro rancore nei confronti del greco. Egli si presenta come vittima di un’ingiustizia, uno sventurato che il destino ha reso sì infelice, ma fedele e mai disonesto o bugiardo. Non appare come un vigliacco traditore in fuga, una condizione che avrebbe potuto insospettire i suoi interlocutori. I troiani, infatti, hanno ben conosciuto la sciagura durante i dieci anni di assedio e, per questo, sono disposti a comprendere quella altrui. Il racconto di Sinone si colora della disperazione per la vendetta che i suoi infidi compagni greci, una volta ritornati in patria, avrebbero perpetrato nei confronti dei suoi familiari. Riesce quindi a far apparire la sua uccisione come gradita ai greci accomunando, così, il suo destino a quello degli stessi troiani. Ed è a questo punto che chiede accoglienza presso Troia.Virgilio, dimostra di essere un fine conoscitore di tecniche di interrogatorio e così, lì dove sarebbe rischioso aggiungere particolari nel discorso, sorvola. Ad esempio quando Sinone racconta la notte passata all’addiaccio dopo il ritiro dei greci, non chiarisce perché la partenza sia avvenuta comunque senza il previsto sacrificio umano, ma cambia rapidamente argomento. In altri casi fa interrompere la narrazione di Sinone con una supplica per distrarre l’attenzione da una narrazione poco lineare. Oppure, nonostante il maestoso cavallo di legno sia costantemente presente sulla scena, nella narrazione viene nominato solo di sfuggita allontanando, così, il sospetto che la finta cattura possa essere simulata al solo scopo di introdurre il cavallo nella città.Il capolavoro della deception.

La narrazione del cavallo di Troia nelle parole di Sinone

La preghiera finale di Sinone per aver salva la vita viene quindi accolta e in cambio gli viene chiesto di spiegare il significato di quel cavallo. Sinone promette di svelarne il segreto e, per aumentarne l’importanza, impegna i troiani a mantenere la promessa di accoglierlo tra le mura della loro città. Inizia così un altro capolavoro di arguzia e sottigliezza. Nelle parole di Sinone, il cavallo sarebbe stato costruito per rimediare al furto del Palladio, una statua posta sulla rocca di Troia a protezione della città. Con una dovizia di particolari non verificabili, Sinone racconta delle sventure che questa ruberia avrebbe portato nell’accampamento greco facendo, così, presagire la sconfitta in guerra. Il cavallo, quindi, è stato costruito per rimediare al sacrilegio compiuto e alle nefaste conseguenze. E aggiunge un particolare. Sarebbe stato appositamente costruito più alto delle porte di accesso a Troia per evitare che i troiani possano introdurlo nella città, guadagnandosene i favori. I ‘poteri’ del cavallo, infatti, avrebbero permesso loro di muovere guerra ai greci oramai in fuga.

I troiani ispirati dall’abile discorso di Sinone, accecati dalla voglia di rivalsa che questi era riuscito a suscitare, decidono di aprire una breccia nella cinta delle mura della città e introdurvi il cavallo. Il piano è poi noto. Col favore della notte, Sinone, dopo aver ricevuto il segnale luminoso dalle navi greche, apre il ventre del cavallo e libera i compagni che spalancano le porte all’esercito greco che metterà a ferro e fuoco la città.

Sinone, cugino e amico di infanzia di Ulisse, seguirà quest’ultimo nel suo viaggio di ritorno morendo però nel porto di Messina, prima di poter giungere a Itaca. Le sue capacità di inganno e manipolazione, tanto celebrate dai suoi compatrioti, convinceranno Dante Alighieri a ‘condannarlo’ all’inferno tra i falsificatori di persona, attribuendo le sue doti alla malizia e alla genialità fraudolenta. Il ‘triste’ destino di una spia

Fonte: sicurezzanazionale.gov.it