Archivi categoria: Violenza di genere

Le linee guida e le raccomandazioni dell’EIGE nella valutazione del rischio

Valutazione del rischio e gestione della violenza da parte del partner nell’UE

Gli agenti di polizia svolgono un ruolo di primo piano nella riduzione della violenza contro le donne da parte di un partner intimo. Spesso sono le prime autorità a cui le vittime si rivolgono per protezione, soprattutto nei paesi in cui ci si fida della polizia.

La valutazione del rischio e le strategie di gestione del rischio sono due passaggi fondamentali che garantiscono l’immediata sicurezza delle vittime e prevengono ulteriori violenze.

Le linee guida e le raccomandazioni dell’EIGE offrono un approccio comune a livello di UE alla valutazione e alla gestione del rischio.

Per integrare queste linee guida, l’EIGE ha anche pubblicato questa relazione, che mappa le misure politiche di valutazione del rischio, le disposizioni legali e gli sviluppi della ricerca in tutta l’UE.

Questa ricerca si basa sul precedente lavoro dell’istituto a sostegno degli Stati membri nel rafforzare le loro risposte alla violenza da parte del partner.

 

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Fonte: eige.europa.eu

La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani

L’UE ha da tempo riconosciuto che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione basata sul genere che ha un forte impatto negativo sulle vittime e costi significativi per la società.

È più probabile che le donne subiscano violenza per mano di qualcuno che conoscono, con una su cinque che ha subito violenza per mano di un partner intimo. Poiché le donne sono colpite in modo sproporzionato dalla violenza da parte del partner, questo rapporto si concentrerà sulle donne vittime.

Mentre il dovere principale di proteggere le donne dalla violenza spetta allo Stato, la percezione che la violenza da parte del partner sia “una questione privata” deve cambiare nella società, a livello individuale così come nella sfera privata, professionale e pubblica.

Questo rapporto esamina i fattori che incoraggiano i testimoni di violenza da parte del partner a intervenire (inclusa la segnalazione della violenza alle autorità competenti). Si basa sulla ricerca a tavolino in tutta l’UE e su un’approfondita ricerca qualitativa in Danimarca, Germania, Francia e Portogallo.

Poiché la ricerca a tavolino ha riscontrato una mancanza di dati e prove che esaminano il sostegno dei testimoni alle vittime di violenza da parte del partner, questo rapporto fornisce nuove prove su quando i testimoni intervengono e in quali tipi di ambiente.

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Violenza di genere: crimine europeo

Il Parlamento Europeo ha approvato in data 16 settembre una risoluzione dal titolo “Riconoscimento della violenza di genere come nuova fattispecie di reato fra i reati di cui all’articolo 83, paragrafo 1, TFUE“. (P9_TA(2021)0388).

Sul presupposto che ad una più efficace lotta contro tutte le forme di violenza di genere (online ed offline) debba contribuire anche l’Unione, il Parlamento Europeo avanza al Consiglio una proposta di decisione con la quale i reati di genere verrebbero inseriti nel novero degli “euro-crimes” (art. 83 del TFUE). Così poi sulla scorta di questa base legale, la Commissione potrà avanzare una proposta di direttiva “globale” sul fenomeno in questione, che verrà poi discussa dagli organi legislativi eurounitari.

Inoltre, nella prospettiva del Parlamento europeo, con la suddetta direttiva, l’Unione potrebbe dare efficace attuazione alla Convenzione di Istanbul (ad oggi, non è ancora stata ratificata dall’UE).

In altri termini, il Parlamento Europeo con un atto d’indirizzo, sia pure non vincolante, definisce come prioritario l’intervento delle politiche europee a contrasto di tale fenomeno, che può ormai definirsi come un “fenomeno transnazionale”.

 

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Fonte:ovd.unimi.it

Violenza di genere relazione del Dr.Salvi

Relazione del dott. Giovanni Salvi, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, tenuta nell’ambito dell’Assemblea generale della Corte sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2021, relativo al fenomeno della violenza di genere.

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Fonte:ovd.unimi.it

Tavolo Interistituzionale sul fenomeno della violenza sulle donne

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO
Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

Abstract – L’Ufficio Studi del Dap ha partecipato ad alcuni tavoli della Task Force interministeriale sulla violenza di genere, coordinata dal Dipartimento per le PP.OO. della PCM, per elaborare il Piano straordinario previsto dalla cd legge sul femminicidio (art. 5 del DL 93/13 convertito nella L. 119/13). Ha contribuito quindi alla elaborazione delle LINEE GUIDA sulla valutazione del rischio ponendo l’attenzione sul modello interdisciplinare di osservazione scientifica della personalità previsto in ambito penitenziario. La enucleazione e la valutazione dei fattori di rischio, da parte degli autori, di commettere violenza verso le donne è un’attività necessaria per individuare le misure penali ed il trattamento più adeguato a prevenire la recidiva e assicurare così una tutela delle vittime davvero efficace e duratura. Le indicazioni proposte dal gruppo di lavoro si rivolgono a tutti gli operatori coinvolti sul territorio (forze di polizia, pronto soccorso, centri antiviolenza e per i maltrattanti, magistrati e servizi penitenziari) che dovranno coordinarsi e mettere in comune dati, saperi ed esperienze maturate sul campo. Si presenta qui un estratto dal documento finale 2014, poi recepito nel DPCM 7 luglio 2015 “Piano straordinario d’azione contro la violenza sessuale e di genere“, in particolare all’Allegato d) sulle Linee Guida.

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO NEL SISTEMA PENITENZIARIO

GRUPPO DI LAVORO PER LA REDAZIONE DELLE:
“LINEE GUIDA PER LA VALUTAZIONE DEI FATTORI DI  RISCHIO”


A fronte dei vincoli normativi riguardo al giudizio sulla capacità di intendere e volere e quindi sull’imputabilità giuridica dell’autore accertato o sospettato, nel sistema penale italiano e l’Ordinamento penitenziario[1]; formano un insieme organico di norme fondate sul principio costituzionale della funzione rieducativa della pena che prevedono, oltre ai diritti e doveri dei detenuti, l’organizzazione degli istituti, un complesso di attività di accertamento e valutazione delle caratteristiche della personalità dei soggetti condannati ed internati. Attività organizzate che coinvolgono la Magistratura di Sorveglianza e l’Amministrazione penitenziaria  (DAP) in due distinti momenti:

  1. per evidenziare uno degli elementi  necessari all’Autorità giudiziaria al fine di stabilire la pericolosità sociale del condannato e internato, deducibile anche dai “motivi a delinquere e dal carattere del reo” (artt. 133-comma 2,n.1  e  203  C.p.),  al fine di decidere sull’applicazione o meno delle misure di sicurezza e la loro eventuale proroga, con il procedimento di riesame della pericolosità a cura della Magistratura di Sorveglianza;
  2. come elemento dell’Osservazione scientifica della personalità (OSP), quale attività tipica condotta dagli operatori penitenziari, per rilevare fin dal primo ingresso i bisogni, le carenze fisiopsichiche e le altre cause di disadattamento sociale che hanno portato alla condotta criminale (art 13 O.p. e 27,28 e 29 R.d’E.) ;  sulla base di questi risultati viene formulato il  programma individualizzato di trattamento, con gli interventi, immediati e in itinere, più adeguati al recupero sociale e quindi alla prevenzione della recidiva e forniti i pareri e le osservazioni a supporto delle decisioni della Magistratura di Sorveglianza per la concessione dei benefici penitenziari (permessi, detenzione domiciliare, affidamento in prova, semilibertà ecc).

Per gli autori dei più gravi reati a sfondo sessuale (fra cui la violenza di gruppo art. 609-octies C.P.) l’O.P. prescrive, fra l’altro, almeno un anno di osservazione anche da parte degli esperti ex art. 80 (psicologi, criminologi) quale condicio sine qua non per poter accedere ai benefici. Se la vittima è minorenne l’autore può inoltre sottoporsi per almeno un anno ad un trattamento psicologico di recupero e sostegno.
L’OSP è condotta in equipe dal Gruppo di osservazione e trattamento (GOT) composta dagli operatori penitenziari (educatori, assistenti sociali, medici, esperti psicologi o criminologi, polizia penitenziaria ed altri che conoscono il detenuto es.  insegnanti, volontari ecc ), sulla base di un contatto diretto col detenuto in una relazione costruttiva. Si procede, ognuno secondo l’area di competenza, con  la raccolta sistematica e l’esame  di tutte le informazioni (giuridiche, familiari, sanitarie, psicologiche, sulla carriera criminale, situazione socio-familiare, lavorativa, istruzione, sul vissuto e le relazioni interpersonali dentro e fuori dal carcere, il comportamento auto lesivo, tossicodipendenza, ecc). Si segue quindi un approccio di tipo multifattoriale per arrivare ad una visione unitaria della persona espressa nella relazione di sintesi redatta dal GOT con la supervisione del direttore del carcere.
Nel sistema penale italiano, storicamente ancorato al fatto, ma attento ai contributi della Scuola positiva sulle tipologie di autore, tale approccio attraverso l’OSP consente, se non una illusoria esatta predizione della condotta criminale, la conoscenza approfondita degli aspetti della vita e della personalità dell’autore rilevanti che hanno influito sulla commissione del reato.
Le complesse dinamiche personologiche che investono i reati legati alla violenza di genere e la gravità della escalation esigono che il sistema penitenziario possa elaborare, recepire , sperimentare e fare affidamento anche  su strumenti e metodiche di assessment per la valutazione del rischio facilmente fruibili dai suoi operatori, in modo che la scelta del tipo di trattamento sia quella più adatta a favorire nel singolo caso gli interventi di recupero,  da intendere come sviluppo degli aspetti positivi della personalità e modifica del comportamento lesivo (consapevolezza del suo agito, auto-responsabilizzazione ed azioni risarcitorie della vittima) con la partecipazione attiva e non meramente utilitaristica dell’autore al progetto educativo.
Gli operatori penitenziari, grazie alla presa in carico e alla conoscenza diretta degli autori entrati nel circuito penale, possono mettere a frutto il tempo della pena e delle misure alternative o di comunità e svolgere quindi, dentro e fuori dal carcere, un ruolo importante nell’ambito del territorio per l’integrazione degli interventi, la condivisione delle informazioni (non ostative sotto il profilo giudiziario e di sicurezza) e dei risultati delle verifiche sul trattamento nella prospettiva di prevenire la ricaduta nel reato da parte del singolo autore. Inoltre, gli studi e le ricerche finora condotte sulla popolazione detenuta italiana con la collaborazione del DAP hanno rappresentato e rappresentano occasioni importanti anche ai fini della maggiore conoscenza del fenomeno,  per la validazione di strumenti scientifici e la sperimentazione di diversi approcci metodologici per la valutazione dei livelli di rischio[2] ; ed il perfezionamento di altri già sperimentati positivamente. 

Il  ruolo e le risorse professionali  dell’Amministrazione penitenziaria vanno  quindi orientati : 

  • attrezzando i suoi operatori, attraverso la formazione congiunta con gli altri destinatari  di Primo e Secondo Livello, di conoscenze e competenze specifiche sul fenomeno della violenza di genere e sugli strumenti scientifici convalidati e fruibili per la valutazione dei livelli di rischio di condotte violente, aggressive, anche a lungo termine, mettendo a frutto i risultati delle più acclarate ricerche scientifiche, criminologiche e sociologiche riguardo alla prevenzione della violenza di genere e nelle relazioni interpersonali;
  • sviluppando gli interventi sugli autori con la partecipazione anche della comunità esterna, in un approccio integrato con le reti del territorio istituzionali e non, e in particolare con i Centri di recupero per i maltrattanti;
  • favorendo gli studi e le ricerche scientifiche sulla popolazione detenuta dei sex offenders e sulla qualità della valutazione del rischio in collaborazione con le Università, le Forze dell’Ordine, i Servizi sanitari, gli Enti e Istituzioni, Associazioni e Organismi del territorio e la Comunità scientifica internazionale, e la sperimentazione di protocolli e metodiche convalidate, utili e fruibili, sia ai fini delle indagini investigative da parte delle FF.OO.  sia  per mettere a punto specifiche modalità di gestione e trattamento (risk management) ai fini del recupero di tali autori nella comune prospettiva di prevenirne la recidiva e quindi tutelare le vittime reali e potenziali.

Roma, 7 Luglio 2015

Redatto da Antonella Paloscia
   Dirigente Penitenziario

IL DIRETTORE DELL’UFFICIO
Roberta Palmisano

[1] Legge 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” e il suo Regolamento d’Esecuzione (DPR 30 giugno 2000, n. 230). Tali norme, recepiscono le regole minime dell’ ONU e le regole penitenziarie europee sul trattamento dei detenuti

[2]Al riguardo si cita la ricerca S.O.Cr.A.Te.S. dell’Arma dei Carabinieri e del DAP con il prof. Caretti dell’Università di Palermo, sulla validazione in Italia della PCL-R, proseguito poi con i risultati positivi raggiunti in alcuni istituti con il progetto Stalking (prof. A. Baldry Università di Napoli 2) che ha utilizzato, fra gli altri, il metodo S.A.R.A. (per quest’ultimo si rinvia al Report conclusivo inviato al DPO nel 2011). Inoltre il DAP sta valutando, in collaborazione con l’Università di Sassari, l’adozione da parte degli UEPE (Uffici locali di esecuzione penale esterna) di un Modello di valutazione scientifica dei livelli di rischio di tenuta di comportamenti devianti per i soggetti che chiedono di essere ammessi ad una misura o sanzione alternativa alla detenzione o di comunità, in modo da adempiere a quanto previsto dalle Regole europee sul Probation (2010)1 ed uniformarsi alle realtà più avanzate presenti in Europa. Tale modello, comprensivo di item sia di natura sociale che psicologica, è stato elaborato nell’ambito dell’attività internazionale del DAP ispirandosi ampiamente soprattutto all’esperienza maturata da alcuni paesi europei (Regno Unito e Irlanda). Vedi anche alcune esperienze significative di trattamento intensificato per i sex offenders in carcere con la collaborazione del territorio (Carcere di Milano Bollate con il Centro di Mediazione Penale di Milano) anche dopo la scarcerazione. Altri progetti e ricerche condotti dal DAP, fra cui WOLF e For-Wolf sui rei pedofili (vedi a cura di L. Mariotti Culla, G.De Leo “Attendi al lupo”, ed. Giuffrè, Milano 2005), ed interventi specifici sul trattamento dei sex offenders, sono illustrati nella rivista ufficiale del DAP La rassegna penitenziaria e criminologica consultabile sul sito www.rassegnapenitenziaria.it e su www.Giustizia.it

Fonte: Ministero della Giustizia A.Paloscia report 2015

Valutazione del rischio di recidiva dei condannati per reati sessuali e di mafia

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO

Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

Si tratta di un programma di ricerca scientifico-criminologica proposto da un team di professionisti ed accademici (responsabile scientifico: prof. V. Caretti, Università LUMSA di Roma) articolata in due progetti da svolgere in diverse carceri del territorio nazionale, su un campione di detenuti per reati commessi con violenza sulle persone. Finalità: rispondere alle esigenze di valutazione del rischio in ambito giuridico e psichiatrico-forense e formare gli operatori con indicazioni operative per il trattamento penitenziario più efficace a prevenire la recidiva di questi gravi reati. valutare la validità predittiva di uno strumento diagnostico, l’HCR-20 V3, per i crimini sessuali e la possibilità di utilizzarlo nel contesto italiano. Metodologia: indagine documentale, sulla storia personale, interviste professionali, semistrutturate e di autovalutazione (HCR-20 V3, PCL-R adattamento italiano di Caretti et al., 2011 validato in Italia con la ricerca S.O.Cr.A.TE.S, PID-5), con la partecipazione di detenuti condannati per reati a sfondo sessuale, violenti, nonché su affiliati ad organizzazioni a stampo mafioso. Si presenta in questa sezione una sintesi dei DUE PROGETTI 1. La valutazione del rischio della pericolosità sociale e del rischio di recidiva in soggetti detenuti condannati per reati sessuali. Indagine su un campione di sex offenders e su un gruppo di controllo con reati contro la persona presenti nelle carceri di diverse regioni italiane. Seguirà una fase di follow up per verificare la capacità predittiva dell’ HCR-20 V3 e l’uso di tale strumento per valutare il rischio di crimini sessuali anche nel contesto italiano. Obiettivo: individuare i diversi fattori – storici, clinici attuariali e di personalità – che possono differenziare i sex offenders dagli altri autori violenti e restituire i risultati dando agli operatori penitenziari strumenti più adeguati ed efficaci per la valutazione del detenuto ai fini del trattamento. 2. La valutazione del rischio criminologico in soggetti afferenti a organizzazioni mafiose. Indagine sui detenuti per reati di mafia presenti in due carceri (Palermo e Trapani). Obiettivo: approfondire i tratti di personalità diversi dalla psicopatia e l’incidenza del trattamento penitenziario, al fine di individuare gli elementi di rischio criminologico maggiormente presenti nei soggetti appartenenti ad organizzazioni mafioseperfezionare il sistema di valutazione del rischio criminologico e migliorare i protocolli di trattamento rieducativo rivolti ai detenuti per reati di mafia.

Fonte Ministero della Giustizia – A. Paloscia, 2015

La violenza di genere in ambito internazionale ed europeo

I riconoscimenti all’impegno italiano Il contrasto alla violenza di genere si può sicuramente definire un obiettivo “globale” in considerazione dei numerosi strumenti regolativi finalizzati a contrastare il fenomeno adottati in ambito internazionale. Appare importante mettere a fuoco quali attese e necessità abbiano condotto all’adozione del Codice Rosso, per verificare, dopo il primo anno di applicazione, se le stesse siano state soddisfatte. L’ambito ONU La prima sede internazionale nel cui ambito è stato disciplinato il tema della violenza nei confronti delle donne, come aspetto del connesso fenomeno della discriminazione di genere, è costituita dalla Organizzazione delle Nazioni Unite, dovendosi ricordare la costituzione sin dal 1946, nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, di una apposita Commissione sullo Status delle Donne (United Nations Commission on the Status of Women – UNCSW), operante nel Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, avente lo scopo di promuovere i diritti delle donne in ambito politico, economico, civile, sociale ed educativo. In parallelo alle attività della Commissione, si possono enucleare tre passaggi fondamentali per la tutela dei diritti delle donne contro la violenza di genere nell’attività dell’ONU. Nel 1967 la Commissione dei Diritti Umani dell’ONU elaborò la Dichiarazione sull’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Declaration on the Elimination of Discrimination Against Women), adottata dall’Assemblea Generale con la Risoluzione 2263 (XXII) del 7 novembre 1967. Come ogni Dichiarazione, essa non costituiva uno strumento giuridicamente vincolante, ma ha avuto il pregio di evidenziare la necessità di attenzione al fenomeno da parte degli Stati membri e l’esigenza di approntare interventi in difesa delle donne.

Nel 1979 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò, con la Risoluzione 34/180 del 18 dicembre 1979, la Convenzione sull’Eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of all forms of Discrimination Against Women – CEDAW)1 , che rappresenta la pietra miliare di riferimento in materia di tutela dei diritti delle donne. La Convenzione2 è entrata in vigore il 3 settembre 1981, al raggiungimento delle 20 ratifiche necessarie previste all’articolo 27. L’Italia ha ratificato la Convenzione con legge del 14 marzo 1985, n. 132. Il Comitato CEDAW (Committee on the Elimination of Discrimination against Women), organismo indipendente composto da 23 esperti che vigila sull’attuazione della Convenzione, ha emesso poi nel corso degli anni diverse Raccomandazioni Generali (ex art. 21 C.E.D.A.W.) con le quali ha proposto agli Stati misure da adottare o ha approfondito tematiche specifiche.

Con riferimento al tema della violenza di genere in particolare vanno citate le seguenti raccomandazioni: – la Raccomandazione Generale n.19, adottata nel 1992, relativa alla violenza per motivi legati alla differenza di genere, in cui la violenza di genere viene definita come “una forma di discriminazione che inibisce gravemente la capacità delle donne di godere dei diritti e delle libertà fondamentali su una base di parità con gli uomini”; -la Raccomandazione Generale n. 12, adottata nel 1989, relativa alla violenza contro le donne, che ha esortato gli Stati Parti ad includere nei loro rapporti periodici alComitato informazioni sulla legislazione in vigore volta a proteggere le donne dall’incidenza di ogni tipo di violenza nella vita quotidiana (ivi compresa la violenza sessuale, i maltrattamenti in famiglia, le molestie sessuali sul posto di lavoro ecc.), sulle altre misure adottate per estirpare tale violenza, sull’esistenza di servizi di sostegno alle donne vittime di aggressioni o maltrattamenti, sui dati statistici sull’incidenza della violenza di ogni tipo contro le donne; -la Raccomandazione Generale n. 28 afferma che la discriminazione basata sul sesso e/o sul genere costituisce una violazione dei diritti umani e un ostacolo al godimento dei diritti e delle libertà fondamentali; – la Raccomandazione Generale n.35, adottata il 26 luglio 2017, con cui è stata aggiornata la Raccomandazione n.19, riconoscendo il divieto della violenza di genere come norma di diritto consuetudinario internazionale e sottolineando la natura sociale del fenomeno. Sulla scia della Raccomandazione n. 19 ed in seguito alla Conferenza Mondiale sui diritti umani tenutasi a Vienna del 1993, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha inoltre adottato, con la Risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993, la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (Declaration on the Elimination of Violence Against Women – DEVAW)3, espressamente dedicata al tema della violenza di genere.

Passando ad azioni più recenti, dal 2008 è stata lanciata dal Segretario Generale delle Nazioni Unite la campagna UNiTE to End Violence Against Women; risale invece al luglio del 2010 la creazione dell’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne (United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women – U.N. Women), nuovo organismo delle Nazioni Unite avente lo scopo, appunto, di favorire l’uguaglianza di genere e l’emancipazione (empowerment) femminile, fornendo sostegno sia agli organismi intergovernativi (a partire dalla Commissione sullo Status delle Donne – C.S.W.)4 nell’elaborazione di politiche, standard e norme internazionali, che agli Stati membri nell’applicazione di tali misure.

Tali politiche sono svolte anche attraverso l’amministrazione del Fondo fiduciario delle Nazioni Unite per porre fine alla violenza contro le donne (U.N. Trust Fund to End Violence Against Women) istituito nel 1996 dalla risoluzione 50/166 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel 2017 l’Unione europea e le Nazioni Unite hanno poi lanciato l’iniziativa congiunta denominata Spotlight Initiative, finalizzata al contrasto di tutte le forme di violenza contro donne e ragazze e finanziata con un ulteriore apposito Fondo fiduciario multilaterale che vede l’UE quale principale contributore, aperto ad altri donatori anche attraverso l’eliminazione di ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine sia nella sfera privata che in quella pubblica, passando attraverso il raggiungimento della uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze.

Quanto all’impegno dell’Italia rispetto alle raccomandazioni ONU in materia, nell’ultimo Rapporto di Revisione Periodica Universale (Universal Periodic Review –U.P.R.) dell’Italia5 , approvato il 12 marzo 2020 dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONUnel quadro dei lavori della 43ª sessione6 , è stato riconosciuto il significativo contributo alla lotta alla violenza di genere derivato dall’adozione nuova legge sul Codice Rosso.

Nella lettera inviata in data 13 maggio 2020 dall’Alto Commissario per i diritti umani Michelle Bachelet al Ministro degli Esteri Luigi di Maio a conclusione della procedura di revisione7 , la nuova normativa in materia di contrasto alla violenza domestica ed alla violenza di genere viene salutata come una delle azioni più efficaci e idonee a far avanzare il Paese nella lotta alla discriminazione di genere e alla protezione delle donne.

1 https://undocs.org/en/A/RES/34/180 ; per una traduzione in Italiano del testo della Convenzione e delle raccomanda-zioni emesse dal Comitato: http://cidu.esteri.it/resource/2016/09/48434_f_CEDAWmaterialetraduzione2011.pdf 2 Si ricorda che con il Protocollo Opzionale del 1999 (entrato in vigore nel 2000 e ratificato dall’Italia nel 2002) è stata riconosciuta la competenza del Comitato CEDAW a ricevere ed esaminare le denunce provenienti da singoli o gruppi di individui.3 https://www.esteri.it/mae/approfondimenti/20090827_allegato2_it.pdf 4 UN Women svolge sostanzialmente un ruolo di segretariato rispetto alla Commissione sullo Status delle Donne (CSW) 5 https://undocs.org/A/HRC/43/4 6 Tutti gli atti riferibili alla Revisione periodica universale sono rinvenibili al sito https://www.ohchr.org/EN/HRBodies/UPR/Pages/ITIndex.aspx7 https://lib.ohchr.org/HRBodies/UPR/Documents/Session34/IT/Letter-OHCHR-HC-Italy.pdf

Il Rapporto: un anno di “Codice Rosso”

Fonte: Ministero della giustizia